Rivista "IBC" XVI, 2008, 4
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / didattica, editoriali
In tempo di crisi, con la minaccia di una recessione che di giorno in giorno si rivela più grave, discorrere di beni culturali, e magari di finanziamenti adeguati, sembra quanto mai inopportuno, per non dire sconveniente. Ma in attesa che le cose si compongano con un nuovo ordine, si può invece riprendere una riflessione sul ruolo dei beni culturali, a cominciare dal mondo dell'arte, in una società più moderna e più equa e nella scuola che ne sappia interpretare le esigenze e i bisogni.
E viene subito da pensare che l'educazione civica, di nuovo introdotta nei nostri programmi scolastici, debba correlarsi strettamente a una storia dell'arte che sia davvero una storia della cultura e della civiltà, luogo principale della nostra identità "italiana", in un orizzonte aperto di scambi e di dialoghi, in cui il particolare è sempre anche una figura dell'universale. Ma resta da chiedersi come tradurle in una pratica concreta, soprattutto quando si pensa alla scuola elementare, da cui si deve naturalmente partire; intanto dovrebbe comprendere anche una storia del paesaggio come palinsesto di forme e messaggi da riconoscere e da osservare, quasi da "leggere". E questo dovrebbe implicare un'educazione dello sguardo, l'attenzione alle cose e al loro comporsi in un quadro unitario, in un insieme carico di storia e di senso.
In questo caso si tratta di costruire un metodo, una logica percettiva delle forme e dei loro significati, come ci hanno insegnato i grandi maestri delle arti figurative. Non una disciplina, ma una cultura diffusa, una conoscenza di ciò che sta intorno e del suo linguaggio molteplice. Certo una politica dei beni culturali ha bisogno di una scuola che, per così dire, la sostenga e in qualche modo la prepari. Se i musei sono uno dei luoghi che vogliono essere la testimonianza del passato e lo specchio paradigmatico del contemporaneo, occorre che il mondo giovanile sia educato a metterli a frutto, a farne lo spazio di un'esperienza che possa divenire anche una consuetudine, un colloquio che si ripete nel tempo, così come si rilegge un libro e se ne traggono sempre nuovi insegnamenti e piaceri.
Ciò che importa è di formare una sensibilità, una consapevolezza comune con un lavoro paziente che vuole tempo e intelligenza, se crediamo che il nostro Paese abbia un futuro di crescita e una presenza attiva in un mondo globale. Come si diceva al principio, i tempi difficili sono anche i tempi della meditazione e del confronto, con il rigore paziente e industrioso che essi impongono alla nostra responsabilità di cittadini.
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