Rivista "IBC" XVI, 2008, 2
pubblicazioni, storie e personaggi
"Alla memoria di Dino Sasdelli - mio padre - e ai molti altri che come lui conobbero la Facoltà di Ingegneria di Bologna non come luogo di studio o lavoro, ma come carcere e luogo di tortura". Così inizia l'opera di Renato Sasdelli: un libro nuovo, utile e puntuale, che sollecita riflessioni e mette assieme, in modo organico, cose già note e cose inedite o dimenticate. Attraverso questa pubblicazione anche Porta Saragozza diventa un luogo della memoria: qui vicino, nel 1935, l'architetto Vaccaro edificò la Facoltà di Ingegneria con una costruzione in puro stile fascista che diventò un punto di riferimento e di orgoglio per l'Alma Mater di Bologna. Poi arrivò l'8 settembre 1943. Da quella data, e per quattro anni, la Facoltà interruppe l'attività didattica e negli ultimi dieci mesi di guerra l'edificio assunse un ruolo oscuro.
Bologna attendeva l'arrivo delle truppe alleate fin dall'autunno del 1944, ma il blocco del fronte sugli Appennini intrappolò in città molti partigiani già pronti all'insurrezione. La loro cattura fu facilitata da delazioni e tradimenti, "premiati" con una taglia in denaro o cinque chili di sale. Iniziò allora il nuovo ruolo dell'edificio di via Risorgimento, sotto il segno delle Brigate nere. Formate da avventurieri e uomini di partito a cui era concesso il "diritto di saccheggio", le Brigate praticavano la tortura a morte non solo per estorcere nomi e informazioni, ma come oltraggio alla dignità di chi aveva ideologie diverse dalle loro. Tanto che, come scrive Luciano Casali nella prefazione, "il passaggio dall'Ingegneria al carcere di San Giovanni in Monte - sotto l'autorità tedesca - era visto come un purgatorio dopo l'inferno".
All'inizio del 1945, per riportare ordine in città e tentare di mantenerne il controllo, il generale tedesco Frido Von Senger chiese e ottenne l'allontanamento da Bologna dei capi e dei militi delle Brigate nere, definendoli testualmente "assassini da strada", "autentico flagello della popolazione", "capaci di qualsiasi nefandezza quando si tratta di elimiminare un avversario politico". Quel freno ai continui rastrellamenti, agli arresti indiscriminati, alle sparatorie senza scopo sotto i portici, allentò la tensione, ma la dura repressione già operata in via Risorgimento contribuì a impedire alle forze partigiane di realizzare l'insurrezione, per partecipare all'autoliberazione: Bologna fu l'unica grande città a non avere questo privilegio. Il ruolo della Facoltà di Ingegneria in quel periodo è un altro scheletro nell'armadio, venuto alla luce dopo sessant'anni grazie a un'opera di importante valore storico e sociale.
Il libro - frutto della fattiva collaborazione e della caparbietà di Giancarlo Grazia (per la sezione di Porta Saragozza dell'ANPI - Associazione nazionale partigiani d'Italia), di Lino Michelini (presidente dell'ANPI di Bologna), di Simona Salustri (Archivio storico dell'Università di Bologna), con l'appoggio del rettore Pier Ugo Calzolari, di Luciano Casali e di Nazario Sauro Onofri - raccoglie le testimonianze di una settantina di partigiani detenuti o torturati in quel luogo, sebbene il numero di chi è "passato" per via Risorgimento è di ben cinque volte superiore. A questi vanno aggiunti una trentina fra docenti, tecnici e studenti, sottoposti a detenzione e atrocità. Neanche con la fine della guerra si esaurì il ruolo "extradidattico" della Facoltà: venne pure il momento della resa dei conti, con la caccia a chi aveva scambiato un luogo di cultura in uno di tortura e con l'identificazione di delatori e traditori. Anche di quest'ultimo periodo il libro riporta riscontri e testimonianze, oltre a un nutrito portfolio fotografico a cura di Cristina Chersoni e Simona Salustri.
Ingegneria in guerra. La Facoltà di Ingegneria di Bologna dalla RSI alla Ricostruzione. 1943-1947, a cura di R. Sasdelli, Bologna, CLUEB, 2007, 253 pagine, 14 euro.
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