Rivista "IBC" XV, 2007, 2

Dossier: Sulla Linea della storia

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier / progetti e realizzazioni, leggi e politiche

Dal luogo al paesaggio

Giuseppe Masetti
[direttore dell'Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea in Ravenna e provincia]

In questi anni è stato sempre più facile toccare con mano l'affievolirsi del rapporto fra la nostra storia più recente e la passione civile con cui questa era stata vissuta e studiata nei decenni precedenti. Non è piacevole ammetterlo, ma la conclusione del biennio dedicato al Sessantesimo anniversario della Liberazione ha praticamente concluso quella che è stata, con significati diversi, l'"era del testimone". Infatti, in questi anni, gran parte della storiografia rivolta agli eventi della prima metà del Novecento è stata segnata, prima, da una forte autorappresentazione dei protagonisti, poi, con l'apertura degli ambiti didattici, l'attenzione si è spostata gradualmente sul delicato rapporto fra storia, memoria e identità. Oggi la storia dell'ultimo secolo, intesa come disciplina scientifica, deve difendersi ogni giorno dai frequenti usi pubblici a cui è sottoposta; d'altro canto la memoria, proprio nella sua natura pluralistica, divisa e discussa, diventa spesso "leva della storia", e viene usata dai media come unico spazio comune per ogni discorso pubblico rivolto al passato.

Una nuova didattica della storia ha bisogno di provocare un cortocircuito fra ricostruzioni storiografiche e memoria del tempo soggettivo per ordinare ogni racconto.1 Per continuare a dialogare al di là dei soli addetti ai lavori converrebbe allora stipulare un patto di reciproco riconoscimento, tra storia e memoria, ricorrendo, quando è possibile, a una storiografia narrativa che, per guadagnare attenzioni e lettori, sappia ben utilizzare "l'arte, soprattutto nella sua forma letteraria, perché è quella che getta i ponti più stabili tra il privato e il pubblico",2 ma anche tra il passato e il presente, insieme alle discipline figurative, che rispetto a quel tempo hanno accumulato enormi debiti d'ispirazione.

La vivacità della scrittura vince la distanza del tempo trascorso, ma l'autenticità dell'ambiente è un'ulteriore risorsa per osservare la storia. A metà degli anni Novanta, negli Stati Uniti, John Gillis scriveva: "Memoria e identità sono due dei territori più frequentemente usati nel discorso contemporaneo, pubblico e privato, sebbene la loro assunzione a parole chiave sia relativamente recente. Identità [...] ha assunto una così stupefacente varietà di significati da diventare il più puro dei clichés. Anche memoria sembra stia perdendo un significato preciso in proporzione al suo potere retorico".3

Da allora l'uso di quei termini non ha fatto che dilatarsi e perdere ulteriormente d'incisività, mentre si è fatto strada un approccio più consapevole e meno celebrativo verso i luoghi di memoria. Intendendo, con questo, non tanto il significato estensivo che Pierre Nora diede a questa espressione vent'anni fa in Francia, e che Mario Isnenghi ha ripreso e definito in ambito italiano, bensì i luoghi fisici, i detentori di eventi significativi e comuni che, con la loro forza evocativa, riescono a metterci in contatto con un passato difficile da trasmettere.4 Sono loro, i luoghi, i custodi più affidabili di un tempo fuori da noi. Se non sono diventati monumento ispirano ancora autenticità, letture trasversali e sane curiosità, di fronte alla contesa politica, al superficiale ricorso alla web documentation e alla frammentazione cognitiva prodotta dalle varie "giornate" a cui si affida l'insegnamento del passato.

In Italia la considerazione per i luoghi storici della guerra risale al 1955, in occasione nel primo Decennale della Liberazione, quando Piero Calamandrei concluse il suo famoso discorso agli studenti milanesi invitandoli a visitare le montagne e le carceri, teatri della lotta partigiana, per conoscere le origini della nostra Costituzione. Poi bisogna attendere gli anni Settanta per ascoltare la lezione della nuova geografia interdisciplinare, applicata alla storia di questa regione dall'insegnamento di Lucio Gambi, e gli anni Ottanta, quando Massimo Quaini e il gruppo "Hérodote-Italia" ci proposero la geografia, la scienza dei luoghi e degli uomini, come il più efficace degli antidoti contro la retorica che ammanta le rappresentazioni storiche.5

Sono in molti a riconoscere l'importanza del convegno internazionale "In Memory", tenuto ad Arezzo nel 1994, per avviare le riflessioni più innovative sul rapporto fra storia, memoria e identità locale a proposito delle stragi nazifasciste durante l'ultima guerra, sui due versanti dell'Appennino, fra piccole comunità che non avevano avuto alcuna voce sul palcoscenico della grande storia. Da lì partirono le principali ricerche sistematiche e topografiche sugli episodi di violenza contro la popolazione civile e ne uscì una mappa nuova, di località fino ad allora assai poco conosciute, spesso vittime di una doppia violenza: quella perpetrata dai nazifascisti, prima, e poi quella dell'oblio pubblico, che preferiva ignorare quei luoghi. Successivamente gli anniversari e le giornate decise per legge hanno spesso coperto e vanificato la più recente produzione storiografica che negli ultimi anni, partendo proprio dagli ambiti locali e dagli eventi di forte rilevanza identitaria, ha riscritto pagine importanti a proposito del passato che più ci fa riflettere.6

Mentre sui musei del XX secolo si è discusso in diverse occasioni, è stato proprio su queste stesse pagine che qualche anno fa Ersilia Alessandrone Perona ha proposto un ribaltamento della prospettiva tradizionale, dai luoghi di memoria alla memoria dei luoghi, ribadendo l'attenzione all'ambiente come elemento che ospita, condiziona e detiene la storia degli uomini che vi risiedono.7 Perciò potremmo adottare anche noi la convenzione usata oggi in Germania per definire il valore dei siti da tutelare:

- che essi siano stati autentico teatro degli eventi ricordati;

- che siano resi leggibili da un'esposizione permanente in grado di riconoscere le tracce dell'accaduto;

- che siano animati da un continuo lavoro educativo.8

Se le regioni venete avevano avviato per prime tale sperimentazione per studiare la Grande Guerra tra gli scenari dolomitici e carsici, le istituzioni piemontesi si sono distinte in questi ultimi tempi per aver riportato tra le vallate alpine un Ecomuseo diffuso della Resistenza che ha dato respiro alla storia delle formazioni partigiane, nate e cresciute in quell'ambiente, fino alla primavera del 1945, e per aver promosso un progetto Interreg insieme a Svizzera e Francia, che si chiama appunto "La Memoria delle Alpi. La Mémoire des Alpes".

La consapevolezza che un ambito cittadino poteva documentare solo una parte della guerra di liberazione si è fatta strada anche nella nostra regione durante l'ultimo decennio, facendo emergere l'idea che la Linea Gotica, lungo la dorsale appenninica, era stata qualcosa di ben più complesso della semplice "convenzione militare" tramandataci dalla letteratura postbellica. Le comunità montane e i sentieri dell'Appennino hanno conosciuto la stagione più intensa e sofferta dell'ultimo anno di guerra, dalla precarietà delle prime formazioni nella primavera del 1944, all'entusiasmo per le zone libere in quell'estate, fino al dramma delle stragi autunnali.

I tempi e i modi della guerra erano stati fortemente condizionati dalla morfologia ambientale e dal sistema viario che collegava l'Italia centrale con quella settentrionale, poiché la guerra, prima di essere storia, non è altro che geografia applicata per il dominio del territorio. In momenti quasi paralleli sono state approntate, a opera degli istituti culturali delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, cartoguide illustrate dei musei della Seconda guerra mondiale, guide del Touring Club agli itinerari tematici e una vasta banca dati che contiene la documentazione di tutti i luoghi e i segni della guerra ancora leggibili.

Da questa consapevolezza, dall'attenzione per il coinvolgimento della parte civile e ambientale in quelle vicende, sono nate nuove forme di rappresentazione e di didattica storica, come i "Sentieri Partigiani" nel Reggiano, i "Sentieri animati" nel Modenese, l'associazione "Terra, memoria e pace" a Monte Sole (Bologna) o il percorso tra "Le case nell'acqua" della Bassa ravennate e ferrarese. I musei e i siti di interesse storico delle tre maggiori regioni del Nord Italia, riconoscendo il Museo di Casa Cervi come capofila, si sono impegnati da alcuni anni attorno a un portale web per coordinare una rete di esperienze, di progetti e di competenze (www.luoghidimemoria.it). Si tratta per ora di una rete virtuale, fatta soprattutto di scambi di informazioni e di buone pratiche, che registra il non facile passaggio dalla conflittualità dei campanili al riconoscimento delle reciproche specificità.

Anche se cresciuti lontano dalle accademie, solo con l'aiuto delle amministrazioni pubbliche, questi luoghi conservano preziose testimonianze e una forte capacità educativa nei confronti di un passato che ha ancora una sua fisicità ben visibile. Solo salendo in cima alle colline di Gemmano, infatti, si può intuire l'inevitabile durezza degli scontri sostenuti dall'Ottava armata britannica per aprirsi un varco lungo il litorale riminese. Nella collina forlivese bisogna arrampicarsi bene, fra Tredozio e San Valentino, per arrivare a Ca' Cornio e capire che solo se guidate da un esperto delatore le milizie potevano circondare in quel luogo Silvio Corbari e il suo comando. Nella Pialassa ravennate bisogna navigare fino all'Isola degli Spinaroni per farsi un'idea dell'autodisciplina raggiunta dai partigiani che consentì a cinquecento uomini di nascondersi per oltre un mese in un fazzoletto di terra circondato da motovedette tedesche, in attesa della liberazione di Ravenna. Solo percorrendo a piedi gli argini del fiume Senio si comprende quanto fossero importanti quei sei metri di altezza per consentire ai tedeschi di controllare tutta la pianura sottostante nei quattro mesi della sosta invernale, ma anche per far saltare tutte le case a due piani che dal lato sud del fiume potevano servire da osservatorio sulle retrovie germaniche. E solo volgendo lo sguardo nella piana reggiana di Gattatico, dove sorge la grande Casa dei Fratelli Cervi, si capisce che senza la complicità delle famiglie confinanti, nessuno lì si poteva muovere o nascondere.

La leggibilità di queste storie e il loro potenziale educativo sono riposti oggi in piccole sedi che, da sole, non possono che sopravvivere. Ma organizzate in sistemi territoriali, in distretti tematici anche a vocazione turistica, sono in grado di documentare una storia più ampia, di rendere affascinante il racconto e di entrare nell'immaginario dei giovani. Convincendoli che la storia della Resistenza è stata davvero una storia di paesaggi. Soprattutto nella terra di Lucio Gambi.

 

Note

(1) G. Bertacchi, D. Nardelli, M. L. Playsant, I respiri della memoria, relazione al convegno "Insegnare storia, costruire memoria", Modena, 24-25 ottobre 2000.

(2) H. Weinrich, Oblio pubblico e oblio privato, "Il Mulino", 2000, 4, pp. 611-620.

(3) J. R. Gillis, Introduction. Memory and Identity: the history of a relationship, in Commemorations. The Politics of National Identity, edited by J. R. Gillis, Princeton - New Jersey, Princeton University Press, 1994, pp. 3-24.

(4) N. Baiesi, Tra storia e memoria: percorsi educativi attorno ai luoghi, in Il presente ha un cuore antico. Atti del seminario residenziale sulla didattica della Shoah (Bagnacavallo, 16-18 gennaio 2003), a cura di A. Chiappano e F. Minazzi, Milano, Thélema Edizioni, 2003, pp. 179-188.

(5) L. Gambi, Una geografia per la storia, Torino, Einaudi, 1973; M. Quaini, Dopo la geografia, Roma, L'Espresso, 1978.

(6) Si vedano in particolare: G. Contini, La memoria divisa, Milano, Rizzoli, 1997; A. Portelli, L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma, Donzelli, 1999; più in generale, si pensi alla difficoltà a incontrare il grande pubblico per un'opera importante come: S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Torino, Einaudi, 2004.

(7) E. Alessandrone Perona, Dai luoghi della memoria alla memoria dei luoghi, in Rappresentare la storia. Musei e contemporaneità, a cura di P. Tamassia, "IBC", XII, 2004, 2, pp. 62-67.

(8) N. Baiesi, Memoria e Storia nei conflitti contemporanei. I luoghi della memoria, relazione tenuta al convegno LANDIS di Monte Sole (Bologna), 13-14 settembre 2001.

 

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