Rivista "IBC" XV, 2007, 1

Dossier: La storia torna a scorrere

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Le acque nella città contemporanea

Piero Orlandi
[IBC]

Se oggi il rapporto esistente tra Bologna e le acque è così frammentario e fragile, nascosto forse, certo non percepibile nel paesaggio urbano, lo si deve alla frenesia modernista degli anni della ricostruzione postbellica. Così si dice, di solito, ed è in buona parte vero: dopo secoli di grande intensità nelle reciproche relazioni, dagli anni Cinquanta del ventesimo secolo l'architettura, l'urbanistica, il paesaggio, hanno definitivamente smarrito l'elemento adatto a dare alla scena urbana una vera completezza: l'acqua è fastosità scenografica e insieme presenza popolare; spesso è vanitoso rispecchiamento, ma può prender la forma di scorci paurosi e cupi; trasmette un senso di industriosità e altre volte evoca la leggerezza dello svago; è vivacità e insieme pacatezza.

Ma a voler essere più precisi, in città questo processo di rimozione era già iniziato almeno da un secolo. Non c'è dubbio che nella seconda metà del Novecento l'immagine di Bologna cambia radicalmente, ma a trasformare il volto della città - e le forme del suo rapporto con i canali esistenti all'interno delle mura - avevano già contribuito in modo sensibile altri due periodi di grande fervore di opere pubbliche: dapprima gli anni immediatamente seguenti all'Unità d'Italia, poi quelli in cui si attua il piano regolatore del 1889.

Intorno al 1860 vengono infatti ideati e creati alcuni assi viari di sapore parigino, come adeguamento alla moda europea venuta dalla capitale transalpina e dal vasto programma di demolizioni e risanamenti voluto dal barone Haussmann: le vie Farini e Indipendenza si incuneano nel tessuto urbano con violenza, come più tardi sarà per la via Rizzoli, per la direttrice Irnerio-Mille-Don Minzoni, e infine per la via Roma. Quasi tutti questi interventi tagliano i canali, li deviano, li interrano, e vanno a sconvolgere e cancellare l'antica darsena di città. Il piano del 1889, oltre a prevedere nuove strade, decreta la demolizione delle mura e l'interramento dei fossati: anche in questo caso l'effetto è che scompare la vista dell'acqua, e allo stesso tempo scompaiono i principali manufatti, come per esempio i ponti che connettono le porte alle strade extraurbane. Oggi non resta più nessuno dei tanti ponti (c'è chi dice cinquanta) che servivano a collegare le rive opposte dei canali nella città storica.

Di suo, il secondo Novecento aggiunge ai motivi già validi da sempre per l'eliminazione dei canali - le precauzioni igieniche e la valorizzazione immobiliare dei terreni ricavati - le ragioni della fluidità del traffico automobilistico e del reperimento di spazio per il parcheggio delle auto. I timori per la cattiva qualità delle acque non sono infatti una preoccupazione solo novecentesca. L'ultimo tratto del canale di Reno, in via Riva di Reno, fu coperto nel 1957, ma già nei primi anni Trenta l'amministrazione comunale aveva promosso un piano per la progressiva copertura di tutti i canali, e ragioni igieniche avevano causato fin nel 1738 il tombamento del ramo di Savena corrente in Borgonuovo. Nel 1840 si era realizzata la copertura del canale di Savena in un tratto dell'attuale via Rialto, e ancora per fini igienici connessi a una epidemia di colera nel 1865 era stato coperto un lungo tratto dell'Aposa.

Curiosamente, nonostante il fetore dell'acqua, il rischio di straripamenti in occasione delle piene, il rumore dei filatoi e delle officine, e soprattutto nonostante i divieti, molta gente continua ancora per tutto l'Ottocento e oltre a fare il bagno nelle acque di città. E così nel 1889 - lo stesso anno in cui si approva il piano regolatore che avvia la copertura dei canali - viene inaugurato il nuovo bagno pubblico alla Grada, e nel 1910 la vasca natatoria in via Milazzo, entrambi alimentati dal canale e dalle sue acque. Ma nel 1931 si prosegue con la copertura del Cavaticcio, nel 1934-35 con quella della darsena, mentre il piano regolatore degli anni Cinquanta prevede la quasi totale tombatura dei canali di Reno e delle Moline.

Il tombamento veniva spesso effettuato anche per fini immobiliari. Il primo caso noto data al 1583. I Gesuiti chiedono di coprire il canale di Savena, e nuovamente lo chiedono nel 1623 per la costruzione della Chiesa di Santa Lucia. Molta parte delle superfici conquistate alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso con la copertura dei canali è diventata terreno edificabile o destinabile a parcheggi, al giorno d'oggi una risorsa non piccola per le casse comunali. La presenza dei parcheggi è al momento - più che la qualità dell'acqua, molto migliorata con gli interventi di regolamentazione degli scarichi fatti nell'ultimo decennio - l'ostacolo più forte e insormontabile a ogni ipotesi di riapertura, anche parziale, di tratti dei canali, soprattutto di quello di Reno.

Il colpo di grazia definitivo al paesaggio d'acque viene, nel corso degli anni Cinquanta, dal diverso modo di usare la città provocato dall'automobile. L'autoveicolo di massa esige trasformazioni epocali: scompare la filotramvia, nascono i sottopassaggi nella cosiddetta "T" di via Ugo Bassi-Rizzoli-Indipendenza, e per effetto dello stesso brutale e ingenuo spirito modernista scompaiono i canali, che vengono cancellati con un programma progressivo di tombature. Accade nel centro della città quello che avviene anche nel territorio fuori le mura, con le bonifiche nella pianura padana. Qui come là le vecchie fotografie dell'epoca, da quelle di Enrico Pasquali alle moltissime dell'archivio dell'Ente Delta Padano,1 ci mostrano sindaci, onorevoli e assessori entusiasti di inaugurare moderne opere di miglioramento igienico e infrastrutturale. Non è facile però trovare, a commento delle fotografie, testi che raccontino questa intensa storia di ingegneria che oggi possiamo facilmente riconoscere anche come storia di costume, di ideologia, di cultura.

Anche quando, poco più di un decennio dopo, l'impresa della tutela del centro storico consegnò alle stampe libri ormai celebri e ricercati come il Bologna. Centro storico dalla copertina rosso mattone,2 anche lì, dove si scriveva con passione ed enfasi della necessità di invertire una rotta pericolosa per la conservazione della città storica, il tema delle acque "cancellate" ai tempi del mitico sindaco Dozza era sostanzialmente rimosso, o almeno sottaciuto. Si diceva solo che le acque nel 1950 caratterizzavano parte del centro storico, e che poi i canali furono "travolti da un malinteso igienismo". A quei tempi l'acqua in città aveva già perso il suo ruolo nella produzione e nel trasporto. L'ultimo anno di esercizio per la navigazione del Navile è il 1948, quando cessa del tutto il movimento di merci, che aveva interessato, nei decenni precedenti, fino a millecinquecento navi all'anno.

Finisce così nel nulla l'idea dell'acqua come comunicazione. In senso di trasporto, di movimento; ma anche in senso culturale. C'era nella vita della città un modo di pensare legato all'acqua, che oggi è scomparso, malamente sostituito dalla logica individualistico-automobilistica. È evidente che per la fluidità del traffico automobilistico le strettoie, i ponti, lo spazio occupato dall'acqua sono vincoli e limiti. Ma la tombatura ha privato la città di una serie rilevante di pezzi di arredo urbano. I ponti, in primo luogo. Oggi a Bologna i ponti sono soltanto sul Savena e sul Reno, lontani dal centro come lontani sono i fiumi; oppure sono sottopassi sotto la ferrovia e la tangenziale; ma i ponti e le passerelle in città non ci sono più, come non ci sono i parapetti, le scalette, gli argini. E come non esiste più il rapporto visivo tra residenza e acqua; non c'è più la visione dell'acqua da casa, come era un tempo per molte famiglie. Non deve essere sottovalutata l'importanza di questa possibilità di riflessione, in senso ottico e psicologico, che oggi la popolazione di Bologna non ha più modo di esercitare.

E tuttavia non sembrano essere molte le occasioni per tentare di ripristinare qualche cosa di tutto ciò che si è perduto, nel campo energetico, produttivo, urbanistico. Negli ultimi dieci anni si è tentata una inversione di tendenza, affidata ad alcuni interventi eseguiti riaprendo gli affacci sui canali, nelle vie Malcontenti, Piella e Oberdan. La lenta attuazione del piano di recupero del canale Navile, avviato negli anni Ottanta, inserisce il tema in una logica di parco urbano dove sono centrali gli aspetti connessi al tempo libero da un lato, al recupero di un corretto e sensibile rapporto con la storia dall'altro. Ma non si tratta di interventi capaci di riconfigurare, se non parzialmente, l'antico paesaggio urbano d'acqua, né tanto meno di riproporre nel centro della città la perduta logica idrica, perché si sviluppano dal centro storico verso l'esterno e non incidono propriamente sulla vita quotidiana delle persone.

Per questo obiettivo avrebbe più peso lo sviluppo di alcuni progetti, anche minuti e a carattere simbolico, di riapertura di brevi tratti del canale di Reno: in via della Grada, presso la chiesa delle Lame, nella piazzetta della Pioggia, segnando per tratti la presenza di un percorso d'acqua non più ripristinabile in senso materiale-funzionale, ma che è possibile indicare alla percezione di chi ne sia interessato. E recentemente, anche il progetto della nuova sede della Galleria d'arte moderna alla Manifattura delle arti, il MamBo (di prossima inaugurazione), propone un rapporto molto ravvicinato tra il parco urbano del nuovo museo e le acque del canale Cavaticcio. Può essere in nuce un riavvicinamento anche tra la città, i cittadini e i canali, se non altro da un punto di vista di fruizione paesaggistica, e in questo caso è particolarmente significativo il rinascere di un triangolo relazionale eccellente: opere d'arte all'aperto, parco e acqua, tre protagonisti di una storia secolare.

 

Note

(1) Si vedano in proposito, rispettivamente: Emilia-Romagna '50, "IBC", XIII, 2005, 2, p. 4; R. Vlahov, P. Zucco, Terra e acqua, "IBC", XI, 2003, 4, p. 3.

(2) Bologna. Centro storico, Bologna, Alfa, 1970.

 

Bibliografia

F. Foresti, Il lessico e il racconto delle acque, in Bologna e l'invenzione delle acque. Saperi, arti e produzione tra '500 e '800, a cura di M. Tozzi Fontana, Bologna, IBC - Editrice Compositori, 2001, pp. 144-165.

R. Matulli, C. Salomoni, Il canale Navile a Bologna, Venezia, Marsilio, 1984.

A. Zanotti, Il sistema delle acque a Bologna dal XIII al XIX secolo, Bologna, Editrice Compositori, 2000.

 

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