Rivista "IBC" XV, 2007, 1

Dossier: La storia torna a scorrere

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Dal Navile ai mari del mondo

Matilde Callari Galli
[docente di Antropologia culturale all'Università di Bologna]

Sin dalla preistoria gli abitanti della regione emiliana hanno stabilito con le acque che l'attraversano un rapporto che è insieme di rispetto e di timore reverenziale ma anche di desiderio di imbrigliare la loro violenza e di utilizzare la loro forza per sviluppare economia, commercio e cultura. Analogamente a quanto succede in molte regioni del nostro pianeta, per secoli i diversi gruppi che hanno abitato l'Emilia-Romagna hanno disegnato il loro spazio culturale lottando per costruire argini, chiuse e canali; inventando tecniche di bonifica per acquitrini e paludi e macchine idrauliche per mettere al servizio dei loro sistemi di produzione la forza motrice delle acque.

Se da un lato l'assetto territoriale della regione testimonia una lontana eredità per quella "ingegnosità e laboriosità" ancora parte costitutiva del "carattere culturale emiliano", un modo più aggiornato e più corretto di considerare il rapporto tra eredità biologica e sedimenti culturali ci spinge a domandarci quanto questi aspetti superficialmente definiti "caratteriali" siano dovuti a pratiche di vita, a politiche di relazioni interpersonali, a tecniche e abilità sviluppate e consolidate proprio in questo lavorio costante, svolto dagli abitanti della regione emiliana, per frenare le acque là dove esse distruggevano, con le loro piene, campi e abitazioni, o al contrario per portarle là dove esse mancavano per la coltivazione, per la navigazione o per suggerire al loro ingegno le invenzioni di macchinari utili.

Così sin dall'antichità le acque hanno costituito un elemento di grande importanza per determinare molti aspetti della vita e della cultura bolognese: hanno determinato gran parte del suo sviluppo economico, la sua produzione di merci, i suoi commerci, la sua apertura alle regioni circostanti (dalla pianura padana a Venezia e da qui all'Oriente), la struttura della sua mappa urbanistica. E a partire da questi aspetti la presenza delle acque ha determinato lo sviluppo dell'osservazione scientifica e delle tecnologie, ha riempito l'immaginario mitico e sociale, ha influenzato la lingua, il nascere della partecipazione collettiva alla gestione della cosa pubblica; sull'uso dell'acqua si è strutturata la vita comunitaria del vicinato. Il torrente Aposa fornì ai primi abitanti di Bologna l'acqua necessaria alla loro vita ma è nel I secolo a.C. che la città ebbe acqua costante e abbondante dall'acquedotto costruito dai romani: riattivato alla fine del XIX secolo, ancora fornisce il 20% del fabbisogno della città.1

È suggestivo sapere che al di sotto delle nostre strade e delle nostre piazze vive una città sotterranea che si sviluppa con una intrecciata rete di canali che ricevono acqua dai fiumi Reno e Savena; e ricordare che al porto del Navile, i cui resti sono ancora visibili, approdavano ogni anno centinaia di imbarcazioni provenienti dalle città emiliane e venete. A questi richiami del passato, le cui testimonianze ancora presenti offrono la possibilità di aprire un orizzonte ambientale e paesaggistico probabilmente foriero di sviluppi economici e turistici promettenti, ne vanno aggiunti altri che aprono la nostra riflessione a temi molto legati a valori, atteggiamenti, comportamenti propri della contemporaneità.

La Chiusa di Casalecchio fu costruita nel XII secolo per portare a Bologna le acque del Reno: ed esse, incanalate in un sistema di canali e chiuse, hanno fornito per secoli alla città l'energia idraulica per sviluppare un sistema preindustriale assai fiorente: alla fine del XVII secolo esistevano a Bologna 119 mulini da seta, mossi da 353 ruote che costituivano la più alta concentrazione di motori urbani presente in Europa. I mulini erano disposti su più piani all'interno delle case e davano lavoro a centinaia di uomini, donne e bambini. Le sete, la canapa e le pelli, lavorate a Bologna, venivano esportate con facilità nel mercato nazionale e internazionale, grazie alla rete di canali che, partendo dal Navile e attraversando acquitrini e paludi, collegava la città con la rete del Po, e quindi con Ravenna, Venezia e l'Oriente.

Sono i mutamenti tecnici prima, quelli economico-culturali poi, che, condensatisi soprattutto nel XIX secolo, fanno abbandonare l'utilizzazione dell'acqua come fonte energetica e come agevole via di comunicazione; altre fonti energetiche, altri mezzi di trasporto si affermano con prepotenza come più comodi, più efficaci, più moderni: e canali e fiumi vengono abbandonati in favore di reti ferroviarie e strade asfaltate.

Le acque cittadine, per secoli, hanno costituito fattore di aggregazione fra i diversi quartieri, punto di incontro per gruppi coinvolti in attività simili che hanno come punto focale l'acqua: tintori, tessitori, lavandaie, trovavano i luoghi della loro socialità lungo i canali, e i tempi della festa e della ritualità traevano dalle acque ispirazioni e originali modalità di attuazione. Ma, con il passar degli anni e con il mutamento delle conoscenze e delle pratiche igienico-sanitarie, questi aspetti assumono connotazioni minacciose: sin dal XVIII secolo dalle cronache cittadine emergono con sempre maggior ampiezza le critiche alle acque maleodoranti, ai loro miasmi pestiferi, agli insetti e ai topi che nelle acque trovano alimenti e condizioni di incremento assai favorevoli. E sin da questo secolo iniziano interventi tesi a eliminare queste situazioni pericolose per la salute della popolazione con la copertura di canali e rami di fiume.2

Tuttavia, sottolineando solo questi aspetti negativi, che ovviamente andavano eliminati, si sono cancellati dalla memoria collettiva anche gli elementi positivi che il lavoro di centinaia di generazioni aveva saputo trarre dall'utilizzazione delle acque. La sicurezza negli alti potenziali energetici che potevano essere prodotti con altri macchinari e con altri materiali spinse a compiere interventi drastici e frettolosi: in altre parole, l'arroganza propria del modernismo impedì che mentre si compievano le necessarie trasformazioni si fosse più rispettosi della storia e dell'identità della nostra città. Solo ora, in un periodo in cui appaiono evidenti i danni di uno sfruttamento ambientale sfrenato, non arginato dalla coscienza del limite che l'esistenza della natura impone all'onnipotenza dell'homo faber, guardiamo con maggior rispetto alle modalità con cui, in passato, venne mantenuto l'equilibrio tra cultura e natura.

Legare l'educazione a una ricostruzione più fedele di questa storia e di questa identità appare sempre più importante: in un futuro assediato dai processi di desertificazione in atto, dall'aumento vertiginoso della popolazione del pianeta, dalla crescente scarsità delle riserve energetiche, l'acqua e il suo uso divengono sempre più preziosi. E un grande insegnamento può essere tratto dalla ricostruzione delle modalità con cui il nostro passato seppe valorizzarli.

C'è poi un altro aspetto, meno immediatamente legato alla concretezza della vita quotidiana, che tuttavia ha grande importanza a livello simbolico. Il sistema delle acque attivo nei decenni a noi precedenti legava Bologna a un territorio ben più vasto dell'area delimitata dalle sue mura. La visione di una Bologna chiusa nei suoi confini cittadini, orgogliosa della sua "bolognesità", è falsa e fuorviante: fin dall'XI secolo, con la sua università e con i suoi commerci, essa si aprì al mondo allora conosciuto in termini di accoglienza di uomini, donne, idee, immagini, linguaggi. E sin da allora gli sforzi della sua cittadinanza furono tutti tesi a collegarsi al territorio circostante. Tramite canali, chiuse, porti fluviali, chiatte e barche dai nomi pittoreschi, il fermento della città, i suoi prodotti, le sue idee furono scambiati, commerciati con il tessuto sociale del suo contado e da qui con le città delle regioni vicine. È importante oggi, costretti come siamo tra un cosmopolitismo di superficie e un localismo asfittico, ribadire, con i molti esempi del passato, la vocazione di Bologna alla comunicazione, alla socialità diffusa, al rapporto con le diversità: la predisposizione ad accogliere il nuovo per inserirlo nel suo presente.

 

Note

(1) G. Tarabusi, Sulle tracce dell'acquedotto romano di Bologna: moderne tecnologie applicate alla ricerca di un tesoro dimenticato, "Strenna storica bolognese", LVI, 2006, pp. 387-413.

(2) Si veda in proposito, nel prosieguo di questo dossier, il contributo di Piero Orlandi.

 

Bibliografia

Acquedotto 2000. Bologna, l'acqua del duemila ha duemila anni, Casaleccchio di Reno (Bologna), Grafis Edizioni, 1985.

Bologna e l'invenzione delle acque. Saperi, arti e produzione tra '500 e '800, a cura di M. Tozzi Fontana, Bologna, IBC - Editrice Compositori, 2001.

M. Tozzi Fontana, S. Pezzoli, La ruota gira ancora, "IBC", XIV, 2006, 2, pp. 28-33.

 

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