Rivista "IBC" XV, 2007, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / storie e personaggi

Biagio Dradi Maraldi, insigne storico di Cesena, ci ha lasciati.
Il professore e la sua città

Andrea Emiliani
[presidente dell'Accademia Clementina di Bologna]

Biagio Dradi Maraldi, che era del 1918, infilò la sua giovinezza pari pari dentro la guerra e anzi addirittura nei suoi preparativi. Dovette così lasciare l'Università di Bologna, dove si era iscritto e aveva incominciato a frequentare. Anche lui, com'è naturale, aveva subìto il fascino dell'insegnamento di Longhi: e insieme il piacere d'una frequentazione di quel luogo, l'Istituto che non poté essere intitolato alla memoria di Igino Benvenuto Supino per le immonde leggi razziali del '38. Lì passavano e studiavano Francesco Arcangeli e altri già impegnati purtroppo nei preparativi di guerra, come Alberto Graziani oppure Augusto Frassineti, Attilio Bertolucci o Lanfranco Caretti. Quanto a Giorgio Bassani, per lui era già incominciata una separazione dalla società italiana che fu ragione del Giardino dei Finzi Contini oppure degli Occhiali d'oro.

Dradi, detto amichevolmente Pino, come si usava fare in quella stagione di soprannomi, non vide moltissimo neppure Longhi, che era a Roma, impegnato a collaborare come molti altri giovani con Giuseppe Bottai, onde rimettere in piedi una già scassata direzione generale alle Belle Arti. Di quella segreteria straordinaria si servì l'uomo, intelligente e contraddittorio, che finirà nella Legione straniera subito dopo la notte del 25 luglio '43 e le forzate dimissioni di Mussolini. C'erano dentro Argan e Grandi, Antonio Giolitti e Pizzinato, nonché Bianchi Bandinelli. A quei lavori si deve se le soprintendenze italiane non morirono d'inedia e ripresero fiato dopo la guerra. In compenso, stanno morendo ai nostri giorni.

Fu alla liberazione di Firenze, fine di agosto '44, che venne in mente a Biagio di conoscere la sorte della famiglia Longhi, il cui studio era saltato in aria con la distruzione delle vie prossime ai ponti sull'Arno. E poiché lavorava al Town Major dell'Ottava Armata a Cesena, riuscì a mettersi in contatto con il professore e con la signora, Anna Banti, ovvero Lucia Lopresti. Raccontava divertito che, per facilitare la comunicazione, prima di riuscire a correre a Firenze su per il Muraglione, in jeep, aveva dovuto dichiarare di essere cugino di Longhi. Fu così che per Longhi, che di "Cugini" pittori ne aveva creati altri, Biagio rimase per la vita il cugino Biagio di Cesena. Che si laureò, guarda caso, indagando su Guido Reni; e che avendo conosciuto bene Cesare Gnudi, oltre che Cavalli, e appena dopo anche chi scrive, dichiarò sempre di apprezzare molto la bella mostra che fu messa in piedi dalla Soprintendenza di Bologna nel 1954.

La sua condizione lo indusse a persistere nell'insegnamento liceale, a Cesena, fino a divenire preside del Liceo "Vincenzo Monti". Fu così che conobbe, scrutinò ed ebbe modo di apprezzare e spesso ammirare (come era solito fare con la sua vera cortesia) tutti i cittadini di Cesena che passassero oltre la soglia del Liceo e della Biblioteca di Renato Serra. La capacità di conoscere e di valutare, insieme alla reale sapienza che egli aveva sviluppato a riguardo della sua città, intesa come nucleo di storia e di costumi, si coniugavano con la sincera passione e devozione nei confronti della personalità e delle opere di Renato Serra. E tutto questo faceva di Biagio Dradi Maraldi il punto di riferimento e di ormeggio d'ogni iniziativa di studio, di congresso. Non c'è evento e impegno maturato in Cesena dopo il '50 che, per più di mezzo secolo, non abbia conosciuto la sua cauta e misurata garanzia organizzativa.

Proprio il suo grado di identificazione con la città e con la sua vasta espressione culturale o artistica ne fecero, nella tradizione dell'ormai vecchia struttura governativa di Corrado Ricci, un vero e duraturo ispettore onorario: un Giovan Battista Cavalcaselle dell'arte di Cesena e del suo circondario, dalla marina ai greppi appenninici. E in questo spirito si colloca anche il suo impegno nel consiglio dell'Istituto per i beni culturali tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta.

Quando ancora la tutela del patrimonio artistico si allargava con antica naturalezza alla vastità del territorio, e la campagna, con le sue pievi e le sue straordinarie parrocchie, viveva d'una vita storica altrettanto importante che quella della città e degli insediamenti diffusi e maggiormente abitati e vissuti, l'opera di salvaguardia critica e storica aveva nell'ispettore onorario "Pino" un osservatore sollecito e conoscitore. E la Romagna intera, in un abitante così conscio dei doveri sociali e politici, riconosceva la risposta che il progetto democratico del vivere chiedeva alla comunità e al suo sentimento di progresso civile.

 

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