Rivista "IBC" XV, 2007, 1

musei e beni culturali / didattica, progetti e realizzazioni, pubblicazioni

Partire dagli oggetti per raccontare storie di incontro tra culture diverse, o fare delle storie stesse i propri oggetti di esposizione? Un progetto europeo mette a confronto strategie opposte.
Nel bazar dei racconti

Antonella Salvi
[IBC]

A conclusione del primo anno di apprendimento del progetto europeo "Museums Tell Many Stories" può essere interessante diffondere alcune considerazioni su questa esperienza di parternariato che si concentra su un tema tanto delicato quanto attuale: la mediazione interculturale nei musei, attuata attraverso iniziative didattiche centrate sullo strumento dello story-telling (il racconto di una storia). Coordinato dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e articolato su due annualità, il progetto è rivolto al personale che nei musei si occupa appunto di educazione e di comunicazione, e sono circa una trentina le persone coinvolte provenienti dalle istituzioni dei paesi partner: Chester Beatty Library (Irlanda), Imagine IC (Olanda), Engage (Gran Bretagna), e per l'Italia la Città di Torino, oltre al gruppo di partecipanti emiliano-romagnoli coordinati dall'IBC.1

Nel corso di questo primo anno si sono svolti seminari a Dublino e ad Amsterdam ed entrambi si sono rivelati, seppure nella diversità di contenuti e contesti culturali, preziose occasioni per conoscere nuovi approcci di educazione alla percezione della diversità culturale. Si tratta molto spesso di approcci lontani dall'esperienza nostrana. E proprio da questa diversità nascono le riflessioni animate e le proposte stimolanti dei partecipanti italiani, che abbiamo ritenuto opportuno raccogliere in una pubblicazione realizzata insieme al partner torinese: Museums Tell Many Stories: un'esperienza di formazione alla mediazione interculturale.2

Particolarmente coinvolti, tra gli operatori della nostra regione, coloro i quali, lavorando nei musei che dispongono di raccolte etnografiche, rientrano anche nel progetto "Etno. Indagine conoscitiva del patrimonio di cultura extraeuropea presente in Emilia-Romagna". L'indagine è stata così denominata poiché la parola-logo "Etno" è apparsa adatta a "compendiare in sé interi mondi di idee e suggestioni focalizzate sulla dimensione di estraneità culturale e sulla necessità di conoscerla, rispettarla, condividerla".3 I nostri partecipanti dunque, in qualche modo, partivano già "in sintonia", visto che le finalità del progetto "Etno", avviato nel 2004 e articolato in varie direzioni e con molteplici iniziative, sono molto vicine alle finalità del progetto europeo. Non è un caso che la filosofia di "Etno" e i risultati delle prime azioni abbiano contribuito alla strutturazione del profilo progettuale all'interno di "Museums Tell Many Stories". Nei due progetti gli obiettivi prevalenti coincidono nella parte tesa a esplorare tecniche e strumenti efficaci che fungano da "ponte", per aiutare i differenti pubblici a interpretare le manifestazioni delle altre culture, fatte di oggetti, di linguaggi e di storie.

Si tratta di finalità formative di estrema attualità e spesso innovative per il panorama museale italiano: occorre analizzarne le modalità praticate e ricercarne di nuove con cui esporre e contestualizzare le proprie collezioni, e in particolare quelle etnografiche, così da renderle "significative" agli occhi dei differenti "pubblici" e farne strumenti di dialogo interculturale. I primi due seminari si focalizzavano proprio su questi temi. L'istituzione ospite ha presentato le proprie iniziative utilizzando l'espediente dello story-telling e coinvolgendo il gruppo a esplorarne di nuove. Come si è detto, entrambe le proposte, quella irlandese e quella olandese, sono state molto interessanti, ma anche molto diverse.

L'esperienza alla Chester Beatty Library di Dublino è risultata di più immediata comprensione e interpretazione, forse perché è un'istituzione di stampo tradizionale e quindi a noi più vicina (www.cbl.ie). Qui le iniziative di story-telling presentate sono costruite sugli "oggetti" delle importanti collezioni etnografiche possedute: il patrimonio materiale riconferma il proprio "tranquillizzante" ruolo di punto di avvio della "narrazione" e dà prova della sua impressionante potenza espressiva. In questo caso è stato semplice per i partecipanti acquisire i nuovi stimoli per poterli poi trasferire nelle singole realtà museali in cui operano. Mentre il confronto con l'esperienza olandese ha rappresentato un impatto talmente forte da essere percepito quasi come una provocazione: è il patrimonio immateriale, qui, a essere privilegiato, sono le storie e le persone e non gli oggetti e i loro messaggi a essere posti al centro di progetti di didattica e di dialogo interculturale.

Il primo contatto è stato con la Imagine IC (dove IC sta per "Identity and Culture"), l'istituzione partner di Amsterdam: la sua missione è proprio raccogliere e archiviare le "storie" di chi rappresenta le diverse comunità etniche presenti in città (www.imagineic.nl). L'istituzione non possiede infatti collezioni e, in assenza di patrimoni concreti, stimola il recupero di un patrimonio immateriale, anche operando all'esterno della propria struttura, su temi molto impegnativi legati all'attualità e alle difficoltà di convivenza e integrazione multiculturale (problemi occupazionali, di inserimento sociale, di disagio generazionale, di degrado urbano), temi proposti con una leggerezza che li rende spesso più efficaci.

Per fare un esempio: al nostro arrivo, nei locali di Imagine IC, era allestita la mostra "The Red Dress": appena accolti, sembravamo tutti immersi in una sorta di medina, un animato bazar composto da una miriade di abiti rossi, di ogni tipo, foggia e provenienza, appesi alle pareti, sistemati su manichini, penzolanti dal soffitto, che affollavano l'ambiente con la funzione di incuriosire i passanti, indurli a fermarsi e a stimolare la narrazione delle "storie" legate a quegli abiti e alle differenti culture che essi rappresentano (cosa che accadeva realmente, visto che i locali si affacciano con ampie vetrate su una via pedonale molto trafficata). Divertente e interessante trovarsi a lavorare in gruppo per ideare attività che stimolano "storie" nello stesso spazio in cui si generano "storie" in diretta, fra un chimono rosso alle spalle e un visitatore algerino che vorrebbe tanto mostrarci come si arrotola quello strano lenzuolo rosso per portarlo come un cappello!

Questo rovesciamento totale di prospettiva, rispetto alle nostre consuetudini, è risultato ancora più "incredibile" al Wereldmuseum e all'Historisch Museum di Rotterdam, dove l'attività di mediazione interculturale mediante la narrazione avveniva in modo del tutto autonomo e slegato dal patrimonio materiale, nonostante esso sia rappresentato da collezioni di importanza internazionale. Particolarmente forte è stato l'impatto con il Wereldmuseum: un museo etnografico noto per l'importanza delle collezioni provenienti dal "mondo"... che si propone con una grande e stravagante mostra sulle scarpe da tennis, alternate, nell'allestimento, con video in cui le nuove generazioni di immigranti si raccontano per mezzo di storie e filmati. Nessun collegamento ai materiali del museo, nessun rimando nel percorso della mostra che inviti a proseguire la visita fino alle sale delle importanti collezioni, e si parla di oltre duecentomila fantastici oggetti appartenenti alle culture precolombiane, islamiche, africana, cinese (www.wereldmuseum.nl). Un'operazione quasi "rivoluzionaria" per la nostra concezione di istituzione culturale tradizionale: un museo così importante e prestigioso sceglie di trascurare totalmente le proprie collezioni, rinunciando alla loro capacità di mediazione culturale, e preferisce optare per una soluzione che racconta dell'attualità e che in questo modo attrae maggiormente i giovani e le comunità di altre etnie.

Qui, come all'Imagine IC, la "storia" sembra divenire il vero "oggetto" museale, capace di esplorare con molta intensità le differenti tradizioni culturali, di stimolarne la conoscenza. La prospettiva adottata indica ovviamente quanto le linee di indirizzo dei rispettivi governi puntino su politiche culturali con forti risvolti sociali sui temi di integrazione e di multiculturalità, politiche determinate anche dalle emergenze sociali evidenti sia nella moderna Dublino che in Olanda in generale. Mentre la politica culturale a noi familiare difficilmente si concilia con un progetto di didattica museale che procede totalmente avulso dagli oggetti delle collezioni del museo, sulla base del condiviso presupposto che essendo prodotti da popoli di altre culture sono veicoli essi stessi di potenti messaggi di conoscenza e di scambio culturale. Le discussioni più accese e animate sono state sollevate proprio da questo differente punto di vista: ha più senso creare storie dagli oggetti o fare delle storie gli oggetti stessi? Il quesito è aperto.

Un ultimo aspetto è stato fonte di commenti e di riflessioni e riguarda il ruolo sociale oltre che culturale del museo. Le istituzioni visitate, oltre che sede di conservazione ed esposizione, sono realmente luogo di incontro, di partecipazione allargata e di scambio. L'offerta culturale è visibilmente più articolata e attraente, con l'ingresso libero sia al museo che alle mostre temporanee allestite al suo interno; con zone di ristoro e di ritrovo, ampie e salottiere, tra fornitissimi bookshop. E non è tutto: c'è anche la possibilità di conoscere promettenti artisti di ogni nazionalità, che il museo a turno ospita in residenza e che "si mostrano" in attività, coinvolgendo il pubblico nel lavoro creativo.

Insomma: il bilancio di scambio e confronto di questa esperienza di parternariato europeo è estremamente positivo, già a metà del percorso. I partecipanti sono entusiasti e fra profonde riflessioni e accese discussioni hanno trovato spunti per elaborare nuove possibili iniziative da realizzare nell'ambito dei propri musei. Poco importa se partendo dagli o arrivando agli oggetti delle collezioni etnografiche, l'importante è che si accompagni il pubblico a una comune e condivisa esperienza conoscitiva di altri "mondi" e di altri linguaggi espressivi. E il secondo anno del progetto, che sta per iniziare, rappresenterà senza dubbio un affondo sulla nostra capacità di fare dei musei un luogo di incontro tra culture diverse.

 

Note

(1) L'IBC è capofila del progetto "Museums Tell Many Stories" (coordinamento generale: Margherita Sani; coordinamento dei partecipanti per l'Emilia-Romagna: Antonella Salvi).

(2) La pubblicazione è disponibile anche in versione inglese (Museums Tell Many Stories: a training experience for intercultural communication), presso il Servizio musei e beni culturali dell'IBC: ASalvi@regione.emilia-romagna.it.

(3) Il progetto "Etno" è coordinato da Antonella Salvi (Servizio musei e beni culturali dell'IBC); le parole citate sono di Massimo Vidale, componente del comitato scientifico in qualità di esperto dell'arte e della cultura oceaniana.

 

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