Rivista "IBC" XIV, 2006, 4

Dossier: Una rete di cataloghi - La catalogazione informatizzata nei musei

musei e beni culturali, dossier /

Il Novecento senza museo

Orlando Piraccini
[IBC]

Solo numeri. Numeri scritti a mano, a inchiostro, a pennello, leggibili a stento. Numeri stampati su ossidate etichette ottonate o impressi su grigioline etichette metalliche autoadesive di foggia computerizzata. Numeri, cifre, codici alfabetici ad attestare una qualche serie patrimoniale e una qualche titolarità d'appartenenza per quei poveri quadri e quei poveri disegni appesi alla parete fra una finestra e l'altra del corridoio al terzo piano, residenza comunale, assessorato ai lavori pubblici. Etichettati, bollati, numerati: come quell'armadiaccio tinto d'avorio con gli angoli arrugginiti e con la serratura rotta, come quella bacheca in legno d'abete colorata finto noce ricoperta di avvisi sindacali, come quel buffo portaombrelli con tre piedi leonini, ceramicato alla faentina.

Ma come, di quell'incisione, tiratura 1/20, firmata da Guttuso a matita in basso a destra, solo il numero d'inventario, il "BA6189" in bella vista sul vetro della cornice tipo picoglass, fu chiesto in ufficio economato? Nient'altro? Nessuna scheda, neppure una fotografia? E anche quel paesaggio niente male, si sarebbe detto a prima vista d'un pittore romagnolo attorno agli anni Trenta, mai prima d'ora è stato catalogato e fotografato? Nemmeno quel "bozzetto" in legno? Il foglietto attaccato con una puntina alla base dell'opera lo dava riferito a un concorso "due per cento", anno 1966...

Quando più di una ventina d'anni fa l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) volle dare il via, primo in Italia, all'iscrizione delle arti visive del secondo Novecento, e di quelle connesse alla più stretta contemporaneità, nella grande famiglia dei beni culturali (e quindi iniziammo a estendere a questi ambiti le nostre consuete attività esplorative e ricognitive, di ricerca, di rilevamento e di catalogazione), poteva dirsi finalmente diffusa nel nostro territorio regionale una discreta volontà di garantire alle significative manifestazioni della creatività del nostro tempo una pari dignità e una pari opportunità rispetto alle altre ben più affermate componenti dell'allora nascente sistema museale emiliano e romagnolo.

Ma dove e come reperire l'arte moderna e contemporanea da Piacenza a Rimini? Quali i musei, le gallerie, le collezioni pubbliche dei grandi e piccoli centri della regione? Quale lo stato della conoscenza di tale patrimonio, in termini di schedatura e di catalogazione? I primi accertamenti fecero subito pensare all'esistenza di un patrimonio ben più vasto di quello che risultava allora conservato all'interno delle grandi istituzioni museali della modernità, a Bologna, a Ferrara, a Modena. In breve un nuovo museo dell'arte contemporanea, un museo diffuso, si è detto anche "stellare", cominciò a delinearsi in territorio emiliano e nella Romagna. Un museo evidentemente virtuale, fatto con tanti pezzi di altri musei (una saletta, un corridoio alla fine del percorso espositivo, un polveroso e mal odoroso deposito di questa o quella civica pinacoteca, ognuna orgogliosa piuttosto delle proprie antichità, tanto da trascurare quasi per intero la creatività dell'ultimo nostro secolo), ma reso sorprendentemente ancora più ricco da un'arte senza museo.

Un Novecento sommerso è stato dunque rivelato nel breve volgere di qualche anno. Ciò è potuto accadere grazie allo strumento graduato della catalogazione, dall'analitico censimento all'ordine repertoriale, dalla schedatura alla campagna fotografica. Già a partire dal 1994, con tanto di mostra e di catalogo intitolati "Archivi dell'Arte", venivano divulgati i primi effetti delle indagini condotte dall'IBC su nuclei novecenteschi esistenti nella nostra regione, e in particolare nell'area-campione romagnola. Scriverà un anno più tardi, a questo proposito, Ezio Raimondi che "i risultati scaturiti da quel primo censimento, anche attraverso le opere 'esemplari' raccolte nella mostra del '94, hanno aperto, ci sembra, un nuovo orizzonte di lavoro. Ora che il quadro d'insieme è divenuto più chiaro, si può operare concretamente nelle singole realtà locali alla luce di una prospettiva comune di relazioni, scambi, metodi convergenti, entro cui viene a disegnarsi, nelle varietà delle forme e storie diverse, il museo policentrico dell'arte contemporanea in Romagna".

Gli scavi più impegnativi si erano comunque svolti all'esterno e nei dintorni del sistema museale. Qualche esempio (per non dimenticare)? Per la serie "quadri in Comune" (ovvero l'arte nei palazzi civici) negli uffici della residenza muncipale e in altri pubblici edifici di Riccione (Rimini) è stata scoperta l'esistenza di diverse centinaia di "pezzi" di Novecento: e dunque, subito il via alla catalogazione, dagli artistici arredi di Villa Franceschi (la palazzina di bello stile Liberty che da qualche anno è museo di sé stessa) ai "doni" di artisti celebri ospiti con le loro mostre della perla dell'Adriatico. A Forlì, dopo anni di laboriosi riscontri inventariali e di analitiche schedature, sta ormai per completarsi la riannessione alla Civica pinacoteca delle pitture d'arredo degli uffici cittadini (tra queste, le opere dei maestri forlivesi d'inizio secolo e quelle esposte a partire dai primi anni Cinquanta nelle varie edizioni delle biennali romagnole) e ciò significa che la prestigiosa Collezione "Verzocchi", con i suoi pittorici inni al mondo del lavoro, presto non sarà più sola.

Tanti anche i "quadri in Provincia" (ovvero l'arte nelle sedi delle amministrazioni provinciali): nel bel palazzo settecentesco sede della Provincia di Forlì-Cesena il bravo schedatore ha contato alla fine del suo lavoro quasi trecento opere, segnalando la presenza dei più bei nomi della pittura romagnola per gli anni di mezzo del secolo scorso. Poi, salendo la scala istituzionale, ecco i "quadri in regione" (ovvero il patrimonio accumulato dall'amministrazione regionale emiliano-romagnola nel corso dei suoi primi venticinque anni di vita): dipinti, sculture, opere grafiche, oltre cinquecento esemplari di varia provenienza: da enti soppressi, da lasciti e donazioni, da abbellimenti secondo la legge del "due per cento" e perfino da qualche sporadica compera.

Va certamente ricordato lo scavo archeologico effettuato in questo territorio del Novecento e che ha portato al rinvenimento e alla stessa ricomposizione della collezione intitolata al poeta e scrittore Gaetano Arcangeli, acquisita nel 1973, ma poi dispersa tra una torre e l'altra del dominio regionale. Negli uffici di viale Aldo Moro un'"anguria" di Moreni fu rinvenuta seminascosta da un attaccapanni del tipo uomo nero, mentre un nereggiante informale di Morlotti venne rilevato accanto a un posterone con la foto aerea del castello estense di Ferrara; uno strepitoso dipinto di Pompilio Mandelli venne identificato tutto ricoperto da giallognoli post it, appeso al muro dietro lo schienale della tipica poltrona dirigenziale in pelle nera. Segnalò allora, il nostro schedatore, l'esistenza di un grande pannello dipinto da Pirro Cuniberti trasformato nel personale tazebao d'un ignoto impiegato regionale: frasette svirgolate, simbolini miniaturizzati in discreto stile cunibertiano fecero pensare a un seguace del maestro bolognese.

Marzabotto, Casa "Cervi", Associazione nazionale partigiani d'Italia (ANPI) di Bologna, ANPI di Ferrara: nel corso degli ultimi dieci anni, a cavallo tra il cinquantesimo e il sessantesimo anniversario della Liberazione in Emilia-Romagna, è pure riemerso uno straordinario complesso di opere sulle tematiche resistenziali, risalenti al periodo dell'immediato dopoguerra. E altri nuclei, anch'essi posizionati ai margini del sistema museale regionale e disseminati specialmente in piccoli paesi della pianura e dell'entroterra (Modigliana, Santa Sofia, Cesenatico, Copparo, Argenta, Sant'Ilario d'Enza) hanno consentito di rivivere quell'epoca oggi comunemente nota come la "stagione dei premi di pittura", fiorita anch'essa nei difficili anni della ricostruzione.

Altri cantieri catalografici sono stati aperti più di recente: nelle strutture ospedaliere, per esempio, dopo che di Novecento erano riapparse tracce significative ed era stata notata la presenza di un'arte generosa, accumulatasi nel corso del secolo attraverso donazioni e lasciti, ma pervenuta anche nel nome d'una solidarietà attiva e pure comunicativa dai creativi di oggi, maestri e giovani emergenti insieme, come si può vedere negli spazi d'accoglienza del grande nosocomio di Lugo di Romagna (Ravenna).

Ma poi censitori attenti e scrupolosi sono entrati in azione anche nei parchi, nei giardini, negli spazi urbani, nelle aree perimetrali di scuole, palestre, tribunali, case di riposo e altri luoghi pubblici. Non meritavano forse una scheda di catalogo le cosiddette sculture all'aperto? Alla mostra allestita qualche anno fa al Salone del restauro di Ferrara risultò chiaro a tutti che le grandi costruzioni di Benetton o di Minguzzi o di Zauli o di Staccioli o di Cascella o di Somaini avevano talmente segnato con la loro presenza il territorio emiliano e romagnolo da farlo infine apparire come un vero e proprio paesaggio dell'arte, un immenso, stupefacente parco delle meraviglie. Così, scavando e schedando, a poco a poco anche il Novecento senza museo è entrato di diritto a far parte del nostro patrimonio artistico.

 

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