Rivista "IBC" XIV, 2006, 4
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali, storie e personaggi
Nel settembre di quest'anno è scomparso Lucio Gambi, il geografo a cui si deve un'interpretazione nuova e moderna della propria disciplina e che fu il primo presidente, quasi uno dei padri fondatori, dell'IBC. Ed è difficile, nel momento in cui il ricordo deve prendere atto dolorosamente di un congedo, non ripensare al debito intellettuale e umano che il nostro istituto, o meglio tutti i ricercatori che ne fanno parte, deve alla sua intelligenza e al suo rigore, quello che gli faceva dire, con la semplicità di una convinzione profonda, che "fare cultura è impegnarsi per la società".
Certo, se l'IBC poté contare sin dall'origine su un programma di lavoro che era fatto di concreta ricerca e di severa riflessione, lo si deve a Lucio Gambi: un maestro che era insieme un amico, un fiducioso compagno di strada. Ruvido, leale, appassionato, pronto, come era suo costume, a indagare problemi e conflitti di idee dialogando con i giovani, sempre disponibile e prodigo di consigli, di sapienti e lungimiranti indicazioni. Pochi hanno avuto come lui il gusto autentico dell'esplorazione, il piacere di un dibattito scientifico, che era insieme umano, con un occhio rivolto sempre alle cose dell'uomo, al "senso e alla sollecitudine della vita".
Il paesaggio era per lui "la realtà delle strutture umane" da guardare con la mente non dell'"ecologo", ma dello "storico", con una visione davvero globale, ed è questa una prospettiva che vale ancora oggi, in un contesto culturale largamente mutato rispetto a quello fervido degli anni Settanta. Per quanto ha potuto e saputo, anche tra le difficoltà che non sono mancate, e che continuano a non mancare, l'IBC ha cercato di restare fedele a quell'insegnamento e di farne uno dei principi direttivi del proprio lavoro e della propria indagine pluridisciplinare.
Così ricordare oggi Lucio Gambi è un modo per riconoscerlo più che mai vivo nella nostra opera quotidiana; è tener fede al suo programma, che era a un tempo una lezione di vita, un esempio di dignità civile e umana. E rileggendolo, ritornando alle sue pagine limpide, franche e illuminanti, ritroveremo ancora qualcosa del suo volto, il suo sorriso tra ironia e affetto, il suo accento cordiale di Maestro amico e di uomo indimenticabile. Anche di questo gli siamo debitori mentre ci confrontiamo con la sua eredità intellettuale e tentiamo di non esserne indegni. Discutere di catalogazione e delle discipline che vi sono coinvolte, come si fa nel dossier di questo numero, vuole essere appunto il segno di un rapporto che continua. Di una eredità e di un dialogo a cui non possiamo rinunciare.
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