Rivista "IBC" XIV, 2006, 3
biblioteche e archivi / convegni e seminari, media, pubblicazioni
A un anno dal seminario bolognese per la presentazione del volume La storia a(l) tempo di Internet. Indagine sui siti italiani di storia contemporanea (2001-2003) concludiamo in questo numero la pubblicazione degli interventi di alcuni dei relatori della giornata di studi (per le prime due parti si vedano il n. 4-2005 e il n. 2-2006). Il volume - curato da Antonino Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo e Stefano Vitali per l'edizione congiunta dell'IBC e dell'editore Pàtron - è il frutto di un'indagine condotta da un autorevole gruppo di ricercatori con il sostegno della Soprintendenza regionale per i beni librari e documentari. Qui di seguito proponiamo il contributo critico di Guido Abbattista, docente di Storia moderna e Metodologia della ricerca storica all'Università di Trieste, fondatore e condirettore della rivista elettronica di storia della storiografia moderna "Cromohs" (www.cromohs.unifi.it) e della biblioteca digitale di fonti storiografiche "Eliohs" (www.eliohs.unifi.it).
Il problema che sta al centro di questo interessante contributo curato dal compianto Antonino Criscione, insieme a Noiret, Spagnolo e Vitali, è uno di quelli sui quali da anni si affaccendano gli storici - ricercatori e docenti di ogni ordine - senza finora essere riusciti a raggiungere una soluzione accettata. Mi riferisco al problema della selezione e della valutazione dei prodotti digitali in rete, o risorse che dir si voglia, di argomento storico. Ho avuto modo di occuparmene e di riflettere sulla materia in più di un'occasione e devo ammettere di non essere approdato ad alcun punto veramente definitivo. Considero la materia importante, ma ancora molto fluida. E forse impossibile da esaurire sposando una tesi piuttosto che un'altra. Per questo è tanto più benvenuto questo contributo, che sicuramente scaturisce da uno sforzo molto serio di elaborazione di strumenti di analisi e valutazione.
Certo, si potrebbe pensare che il termine "valutazione" si sia caricato di una valenza negativa, quasi che il farvi ricorso stia a significare la predilezione per procedure di giudizio meccaniche, automatiche e impersonali - e, dunque, solo falsamente oggettive. Contribuisce il fatto che la tematica della valutazione viene spesso percepita come un prodotto d'importazione, espressione di un tipo particolare di cultura di provenienza nordamericana. In effetti è nell'ambito del sistema bibliotecario nordamericano, particolarmente quello universitario, che il tema è stato trattato con maggiore ampiezza e continuità. Se il termine può suscitare qualche diffidenza, spero però che non la produrrà un'espressione forse a noi più congeniale, come "metodo critico".
Quando parliamo di valutare risorse digitali, soprattutto quelle telematiche, immagino che nessuno vorrà mettere in discussione il fatto che sia necessario, ai fini di una lettura critica, utilizzare un buon metodo di analisi. Ora, a questo proposito si può adottare una delle due seguenti visioni estreme.
Si può sostenere che è necessario mettere a punto un insieme di precise regole di lettura e, appunto, valutazione, esprimerle mediante procedure, applicarle proprio come si può immaginare di usare un setaccio a trama sempre più stretta. In questo caso l'obbiettivo desiderabile è che a questa forma rigorosa di vaglio resistano solo risorse rigorosamente rispondenti a certi requisiti formali e che quindi si possa giungere - tipicamente - alla stesura di repertori, frutto appunto di simili procedimenti.
D'altra parte si può assumere una posizione diversa e contestare l'obbiettivo appena esposto. Si può cioè dire che è sostanzialmente errato usare un metodo troppo formalizzato, e tanto meno pensare alla produzione di un repertorio, quando si ha a che fare con un patrimonio di risorse in espansione e diversificazione costante. Questa stessa continua diversificazione, soprattutto dal punto di vista delle tecniche di comunicazione e presentazione dei materiali, tenderebbe infatti a indebolire qualsiasi sistema più o meno rigido di regole e procedure di analisi e valutazione. C'è poi il rischio che un eccesso di formalismo possa portare a un risultato indesiderabile: ossia che buone informazioni possano sfuggire al ricercatore solo a causa dell'esistenza di una prassi di valutazione troppo rigida che allontana dal contenuto a favore della presentazione esteriore.
In questo atteggiamento c'è un elemento sicuramente apprezzabile: la volontà, cioè, di non introdurre principi di esclusione, magari presupponendo che una posizione di tipo corporativo professionale dia titolo a fissare gerarchie e autorizzi una logica selettiva imposta dall'alto. L'atteggiamento è apprezzabile anche perché è conforme all'esperienza, la quale dice che non di rado sono reperibili in rete - anche presso siti non professionali o addirittura totalmente amatoriali - informazioni di notevole interesse, perché tali sono rispetto alle esigenze di una particolare ricerca. La conclusione - secondo questa impostazione, di carattere, per così dire, liberista - è che il processo di proliferazione di siti con informazione storica non è controllabile né arrestabile; che le buone informazioni sono tali spesso solo in riferimento alle domande di un particolare ricercatore impegnato in una specifica ricerca; e che le "buone pratiche" possono emergere e affermarsi solo in presenza di un libero confronto tra produttori d'informazione storica e in conseguenza della possibilità di discutere e giudicare la qualità in una sorta di nuova "repubblica delle lettere" telematica, costituita da liberi soggetti.
Il problema, però, è che il liberismo di questa seconda impostazione tende piuttosto ad aggirare che a risolvere il problema di partenza, che forse necessiterebbe di più chiara esplicitazione. L'esigenza di valutare e selezionare, infatti, non appartiene a chi, facente parte a qualsiasi titolo del mondo dei ricercatori o degli insegnanti di storia, è anche esperto utente delle risorse di rete. Per queste persone la preparazione professionale costituisce una garanzia generalmente sufficiente per affrontare in modo consapevole l'uso delle risorse telematiche, che verosimilmente si sapranno giudicare proprio come si è usi a fare con un prodotto editoriale più tradizionale, fatte salve le pur non trascurabili e non sempre evidenti specificità del prodotto telematico.
Diversamente, esiste un pubblico larghissimo costituito soprattutto da studenti di ogni grado, e dal lettore, o utente, comune, la cui difficoltà ad affrontare la rete è esattamente la stessa che rende problematica l'elaborazione di un giudizio su un libro, un saggio, un repertorio, una monografia, una rivista o quant'altro appartenga al mondo dell'editoria cartacea. Anche qui l'esperienza soccorre e ci dice che pure studenti avanzati - per esempio i candidati al dottorato di ricerca - sono quasi del tutto all'oscuro di ciò che la rete può offrire loro: sono spaesati di fronte alla quantità di informazione non selezionata che trovano mediante i motori di ricerca, anche quelli più recenti, specializzati nella ricerca testuale su libri inseriti in biblioteche digitali (come molto ambiguamente sono definite le raccolte di materiali librari digitalizzati da Google, Yahoo!, Amazon o altri).
Da uno studente di dottorato ci si può aspettare che tale spaesamento, accoppiato a una sensibilità metodologica che è lecito presupporre, finisca per indurre cautela, o addirittura diffidenza. Ma cosa ci si può attendere da studenti universitari di primo o talvolta anche secondo livello? O, peggio, da studenti delle scuole medie, spesso privi di un'adeguata preparazione critica e di guida specifica, e sollecitati essenzialmente dal desiderio di completare una relazione scritta (anzi, stampata) con una procedura sicuramente più rapida e facile da eseguire che non andando in una tradizionale biblioteca? In questo caso è ragionevole supporre la possibilità che qualsiasi tipo di materiale finisca per confluire nel lavoro individuale, con risultati formativi molto discutibili.
Di fronte a questa eventualità, purtroppo, la posizione "liberista", ancorché basata su corretti principi e di comoda applicazione, non funziona. Appare insomma fuor di dubbio che, di fronte a un prodotto o risorsa telematica di argomento storico, è necessario far precedere il suo impiego dalla verifica di alcune condizioni, esattamente le stesse che vengono richieste a un testo a stampa. Ossia: chi è l'autore, qual è la sua competenza, quale il suo intento, quali le sue fonti, quale la sua logica argomentativa, quale la chiarezza della sua esposizione, quale la bibliografia impiegata, quale il livello di trattamento critico di fonti e letteratura, se è obbiettivo o partigiano, a che pubblico si rivolge, se lo fa con un linguaggio adeguato.
Esistono certamente dei parametri supplementari, legati alla specificità del mezzo informatico e telematico: la stabilità del testo, la sua reperibilità, la sua rispondenza a standard di codifica testuale, la cosiddetta "usabilità", la chiarezza architetturale, l'agilità di movimento, la precisione descrittiva di materiali multimediali, l'uniformità qualitativa nelle varie sezioni di un sito, la solidità e trasparenza di concezione e costruzione, e la multifunzionalità di un database di dati numerici o testuali. Sono sostanzialmente le stesse domande che gli esperti bibliotecari di valutazione hanno ordinato in cosiddette "griglie" e procedure (delle quali mi sono occupato in vari interventi editi), la cui utilità può sembrare dubbia, ma che hanno un indiscutibile valore esemplificativo e didattico.
La disponibilità a impiegare, e perfino ad accettare in linea di principio, sistemi di valutazione come questi, nel nostro Paese mi sembra molto scarsa. Forse è un sintomo di diffidenze a mio parere immotivate, ma che sono un dato da tenere in considerazione. Dunque non vedo prospettive legate alla riproposizione di metodi di valutazione eccessivamente formalizzati. Ma tutto sommato non ne vedo neppure la necessità. Ciò che invece è necessario è che esistano istanze formative e luoghi di dibattito (dalle riviste ai convegni, dalle monografie alla didattica dedicata a ogni livello) che permettano lo svilupparsi nel pubblico di un adeguato e sempre maggiore senso critico. L'obbiettivo della crescita collettiva di una capacità critica delle risorse di rete, soprattutto nel pubblico degli studenti, non può dipendere da un singolo contributo, da un libro, da un corso, da una rivista. È un processo lento, che richiede capacità di affermazione di tematiche nuove in ambienti ancora relativamente refrattari, ma che appartiene alla più solida tradizione della formazione e trasmissione del metodo critico.
Da questo punto di vista non si può che salutare con grande favore la pubblicazione di un volume come La Storia a(l) tempo di Internet, soprattutto sapendo che costituisce un ulteriore contributo a un lavoro che i suoi autori da tempo stanno svolgendo per favorire la maturazione di un uso consapevole dei prodotti telematici di carattere, argomento o interesse storico. Del resto, così come straordinariamente cresciuto appare il panorama delle risorse, sia in termini di servizi sia in termini di prodotti storiografici, altrettanto si presenta incrementato il novero delle pubblicazioni e delle occasioni di insegnamento, discussione e confronto diretto sui temi della produzione e comunicazione telematica di sapere storico. E questo lascia decisamente ben sperare per ulteriori progressi.
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