Rivista "IBC" XIV, 2006, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / inchieste e interviste, itinerari, progetti e realizzazioni

La passione otto-novecentesca per i simboli, gli stili e i personaggi dell'Età di Mezzo ha lasciato segni ancora ben visibili nelle città e nei paesaggi dell'Emilia-Romagna. Una ricerca è in corso per ricostruirli, e per raccontarli.
Un volto medievale

Maria Giuseppina Muzzarelli
[docente di Storia medievale e di Storia delle città all'Università di Bologna, membro del Consiglio direttivo dell'IBC]

Non c'è poi molta differenza fra il disegno di costruzione merlata tracciato all'inizio del XIV secolo da chi vergava le carte relative ai Consigli e Ufficiali del Comune (Comune e Governo, 65, Bologna, Archivio di Stato) e il profilo del palazzo comunale di Piacenza o quello del palazzo re Enzo di Bologna restaurato da Alfonso Rubbiani. Il fatto che questi ultimi abbiano assunto solo da circa un secolo l'aspetto "così medievale" che hanno, e che tanti ammirano, non ha poi tanta importanza. La fisionomia che oggi presentano molti palazzi e molte piazze cittadine è la prova provata della passione per il Medioevo che tanti uomini dell'Ottocento e del primo Novecento hanno avuto. Una passione così potente e diffusa da aver saputo lasciare un segno duraturo sulle città, grandi e piccole, della nostra regione ma anche di altre, in Italia e fuori d'Italia. Una passione per la storia della quale non si è esitato a fare un uso politico.

Il fatto, noto come neomedievalismo, interessa tanto gli storici come gli architetti, sia gli urbanisti sia gli studiosi della storia della cultura e della mentalità. È un fenomeno vistoso, in un certo senso una moda, sul quale ci si è soffermati più volte a riflettere relativamente all'una o all'altra città, prendendo in considerazione ora l'una o l'altra forma, dal mito del Medioevo in pittura all'influsso sulle arti applicate. Disponiamo di buoni studi di carattere generale (uno per tutti: Lo specchio di Shalott. L'invenzione del medioevo nella cultura dell'Ottocento, di Renato Bordone)1 e di lavori specifici (valga come esempio il libro di Guido Zucconi, L'invenzione del passato. Camillo Boito e l'architettura neomedievale)2 ma manca per la nostra regione una messa a punto di carattere generale sui progetti compiuti fra Otto e Novecento, sulle personalità che hanno espresso tale progettualità, sugli incroci fra letteratura, storia e architettura in un'area sovracittadina che spesso fu sovraregionale - facendo riferimento a una realtà che non esisteva a quel tempo e cioè la Regione - e anche nazionale.

L'idea di partenza per una ricerca che attualmente sta coinvolgendo una dozzina di persone (Maria Giuseppina Muzzarelli, Piero Orlandi e Guido Zucconi come coordinatori e, oltre a loro, Roberto Balzani, Mario Lupano, Francesco Ceccarelli, Daniela Romagnoli, Otello Mazzei, Ippolita Checcoli, Danilo Morini, Elisa Tosi Brandi, Simona Boron, Enrico Gallerani) è quella di analizzare genesi e sviluppo delle iniziative concepite e intraprese per dotare le città di un volto medievale. Si tratta di prendere in esame alcune città capoluogo ma anche altri centri urbani e di individuare per ogni caso gli studi compiuti e le fonti impiegabili per censire gli interventi promossi e descriverli nella loro realizzazione ma anche nella genesi e nelle motivazioni culturali che hanno ispirato la scelta del Medioevo come periodo di riferimento estetico ma certamente non solo tale.

Il progetto - che vede collaborare il Dipartimento di paleografia e medievistica dell'Università di Bologna (professoressa Maria Giuseppina Muzzarelli) con l'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna (architetto Piero Orlandi) - coinvolge numerosi studiosi, alcuni alle prime armi e altri già affermati, che affrontano lo studio di diverse città o di ambiti specifici nei quali ha preso forma il neomedievalismo. Senza prefiggerci di predisporre un atlante degli interventi attuati nei più diversi ambiti nel mezzo secolo che corre fra il 1860 e il 1920 circa - tanto e ancor più a lungo è durato il fenomeno - ci basti offrire una panoramica vasta e densa di suggestioni dei segni del Medioevo nelle città o, forse meglio, dell'idea del Medioevo che in quell'epoca fu propria di uomini che ebbero importanti responsabilità: architetti, sovrintendenti, storici, poeti, musicisti, pittori, studiosi appassionati. Quanti allora condivisero l'idea del Medioevo come epoca fondante dell'identità italiana vollero lasciare nei loro specifici ambiti di competenza un'impronta che a noi oggi tocca interpretare.

Se per alcuni centri urbani, Piacenza per esempio, o Bologna, si possono utilizzare come base scientifica gli esiti di ricerche compiute in anni relativamente recenti - basti pensare al lavoro di Otello Mazzei su Alfonso Rubbiani, e alla mostra dedicata all'Aemilia Ars: "Aemilia Ars: 1898-1903. Arts and Crafts a Bologna" (Bologna, Collezioni comunali d'arte, 2001), ma anche alla mostra a cura di Marco Dezzi Bardeschi intitolata "Gotico, neogotico, ipergotico: architettura e arti decorative a Piacenza. 1856-1915" (Piacenza, Palazzo Gotico, 1985)3 - per altre città non vi è in pratica alcuno studio del quale ci si possa valere.

Per Ferrara, Faenza e Rimini stanno rispettivamente lavorando a un'interessante ricostruzione Enrico Gallerani, Simona Boron e Elisa Tosi Brandi. I primi due, sotto la guida di Roberto Balzani che vanta un'importante esperienza in questo campo, si occupano della costruzione del mito estense a Ferrara al tempo di Italo Balbo e della creazione a Faenza, a opera di Ballardini, del Museo delle ceramiche come luogo di conservazione di manufatti ma anche come occasione per dare alla città un'identità a partire dal suo passato medievale. Quanto a Rimini, nel primo Novecento si provvide, tramite restauri e più vaste operazioni culturali, a un'impresa di recupero dell'epoca romana filtrata attraverso il rinascimento malatestiano. Sigismondo Malatesta veniva indicato quale novello Augusto nell'ambito di un'iniziativa di restauro dell'Arco di Augusto voluta da Mussolini, tentato dall'idea di essere assimilato a Sigismondo e più ancora ad Augusto e di entrare nella storia anche in questi panni.

Per restare nell'area romagnola, Bertinoro è un caso interessante di elaborazione di identità intorno ad alcuni miti medievali, quello dell'ospitalità in particolare, incentrato sulla Colonna degli Anelli "simbolo dell'anima gentile del romagnolo". Secondo Paolo Amaducci l'origine della Colonna rimonterebbe al XIII secolo quando venne eretta per eliminare discussioni all'arrivo in città di un forestiero che tutti avrebbero voluto ospitare. Si tratta di un racconto che ha suscitato dubbi ma l'Amaducci (si veda la recente riedizione de Le origini di Bertinoro e altri scritti)4 non esitò a riproporla negli anni Venti del Novecento fino a ispirare nel 1926 una solenne inaugurazione della Colonna risorta sulle antiche fondamenta. Qui una colonna, là un palazzo, in un caso un museo, in un altro un personaggio, che sia Dante Alighieri oppure Matilde di Canossa. Il Medioevo si è offerto come grande serbatoio di personaggi e di oggetti, di valori e di riferimenti per dare alla città un'immagine nella quale riconoscersi, per rendere disponibili elementi su cui poggiare per costruire il futuro.

La scommessa della ricerca in corso è di mettere a fuoco per più città il fulcro dell'operazione tentata di caso in caso e volta a individuare un elemento trainante nel passato medievale usato per mettere in moto progetti per intervenire sulla città conferendole una più forte individualità. Si è trattato di vere e proprie operazioni culturali e politiche costruite con accuratezza da personaggi tutt'altro che isolati, che condividevano l'idea di ripartire dal Medioevo.

Il mito del passato funse in quel periodo da elemento motore, energizzante e rivitalizzante, utile a riscrivere la storia delle singole città per trovare radici profonde, necessarie in una fase nella quale la nuova unità del paese tendeva a sacrificare le più recenti appartenenze generando disincanto e confusione. Campagne di restauro o nuovi monumenti (interessante il caso di Ximenez che sta studiando Daniela Romagnoli), giornate celebrative (un caso per tutti: le celebrazioni nel 1921 del VII centenario dantesco) e iniziative editoriali (pubblicazioni di fonti medievali giuridiche o narrative, per esempio), cicli di affreschi realizzati secondo lo stile dei preraffaeliti o nuove denominazioni di strade e piazze ricavavano frequentemente dall'età medievale ispirazione e linfa e contemporaneamente forgiavano e trasmettevano un'idea di Medioevo funzionale al progetto politico di rafforzamento dell'Italia appena costruita. Ilaria Porcini ha pubblicato nel 1988 un saggio appropriatamente intitolato Il medioevo nella costruzione dell'Italia unita: la proposta di un mito.5

Accanto ad architetti, a mettere in moto un'ampia operazione di riscoperta, e non di rado di invenzione, del passato, furono uomini di diversa formazione e cultura: pittori, letterati o professori nelle Università (Ippolita Checcoli attende allo studio delle basi storico-culturali di molte iniziative così come vennero poste nelle aule universitarie, nelle deputazioni di storia patria e nei circoli culturali cittadini). Chi studiando Dante, chi progettando torri (le torri di molte case del fascio sembrano richiamarsi alle torri medievali), chi aggiungendo merli a palazzi (è noto il caso di Rubbiani) chi ripristinando palii che in qualche caso è dubbio fossero esistiti in età medievale.

Vennero concepite e attuate imprese anche ardite che portarono, come a San Marino, a sostenere l'origine medievale di quel centro contro chi la collocava invece nel XVI secolo: Gino Zani, che sosteneva la prima tesi, ebbe la meglio, come ci ricorda Guido Zucconi, studioso del fenomeno e membro del gruppo di coordinamento di questa ricerca. Come il caso di San Marino insegna, l'operazione di riscoperta del Medioevo aveva anche finalità turistiche e di consumo che vanno studiate nella loro novità e urgenza. L'architetto Mario Lupano intende occuparsi proprio dell'uso a fini turistici del Medioevo inventato fra Otto e Novecento.

In Emilia-Romagna operarono alcuni personaggi-chiave quali Corrado Ricci e Giosue Carducci, Alfonso Rubbiani e i meno noti Gino Zani o Paolo Amaducci, che ebbero probabilmente molti più contatti fra loro di quanto non si sia fino a oggi saputo. Anche questa rete di relazioni, se ricostruita, getterà luce, nell'ambito dell'Emilia-Romagna, ma anche fuori dai limiti regionali, sul fenomeno del neomedievalismo che riguarda tanto il Medioevo vero e proprio come il Medioevo dell'Ottocento, tanto ieri come oggi giacché è in tutti i tempi che si è fatto e si fa un uso politico del passato. Ora come allora, in più di un caso per andare avanti ci si volge al passato per ricavarne stimoli e per rinforzare identità vacillanti.

Non sempre si è pienamente consapevoli del fenomeno e a molti, ieri come oggi, sfuggono gli imprestiti, le citazioni e i repêchages. La dimenticanza o la mancata conoscenza di quello che è stato fa apparire nuovo quanto nuovo non è. Il volto "nuovo" assunto dalle città fra Otto e Novecento ha assunto spesso i caratteri di un Medioevo un po' aggiustato, che doveva rassicurare e contrastare inquietanti novità, rafforzare identità e rivestire di forme tradizionali nuovi progetti, sedare e far sognare. Da una deputazione all'altra si parlava di Medioevo per invocare interventi di restauro, da una città all'altra si medievaleggiavano case e palazzi mentre a teatro si rappresentavano opere a soggetto medievale e abili mani femminili intrecciavano merletti a motivi risalenti all'ultimo Medioevo.

Il fenomeno del neomedievalismo è troppo esteso per essere costretto entro i limiti di una ricerca anche solo d'area regionale. Ci basti trattare esemplarmente per alcune città dell'Emilia-Romagna qualche operazione compiuta, accostare fenomeni e figure, individuare nessi tra diversi intellettuali e differenti centri. Ci basti allenare la mente e l'occhio dei più giovani a scoprire relazioni, a mettere a fuoco intenzioni e procedimenti, a collegare con il presente il passato e la sua narrazione, dando per scontate interpretazioni di parte e forzature funzionali alla crescita e alla realizzazione di progetti politici e sociali. La storia è sì di tutti ma è soprattutto di chi la sa e di chi la sa raccontare, ma anche di chi sa avvicinarsi a essa con occhio disincantato.

 

Note

(1) R. Bordone, Lo specchio di Shalott. L'invenzione del medioevo nella cultura dell'Ottocento, Napoli, Liguori, 1993.

(2) G. Zucconi, L'invenzione del passato. Camillo Boito e l'architettura neomedievale, Venezia, Marsilio, 1997.

(3) O. Mazzei, Alfonso Rubbiani. La maschera e il volto della città. Bologna 1879-1913, Bologna, Cappelli, 1979; Aemilia Ars: 1898-1903. Arts and Crafts a Bologna, a cura di C. Bernardini, D. Davanzo Poli, O. Ghetti Baldi, Milano, a+g, 2001 ( www.comune.bologna.it/iperbole/MuseiCivici/); Gotico, neogotico, ipergotico: architettura e arti decorative a Piacenza. 1856-1915, a cura di M. Dezzi Bardeschi, Piacenza - Casalecchio di Reno (Bologna), Comune di Piacenza - Grafis Edizioni, 1984.

(4) P. Amaducci, Le origini di Bertinoro e altri scritti, Bertinoro, Comune di Bertinoro, 1986.

(5) I. Porcini, Il medioevo nella costruzione dell'Italia unita: la proposta di un mito, in Il Medioevo nell'Ottocento in Italia e in Germania, a cura di R. Elze, P. Schiera, Bologna, il Mulino, 1988, pp. 163-191.

 

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