Rivista "IBC" XIV, 2006, 1
musei e beni culturali / corrispondenze
Quando nel 2002 il faentino Vittorio Maggi diede alle stampe il volume dal titolo Timi?oara. Quattro passi per la città, riportò informazioni e fatti di grande interesse,1 e non solo per gli abitanti di Faenza, gemellata dal 1991 con la città romena, ma per tutti coloro che, appartenendo alla generazione dei cinquantenni, hanno assistito a eventi epocali come il crollo dei muri. Dopo la lettura di quel libro può avvenire che un cinquantenne avverta il bisogno irrefrenabile di uno spostamento anche temporaneo nei luoghi-simbolo in cui si rimpiazzò radicalmente un sistema politico oppressivo e inadeguato. È un po' come testimoniare all'interno della nostra contemporaneità le vette e gli abissi di una generazione di passaggio, con i suoi miti, i suoi leader leggendari, osannati o ripudiati. Più che dal nuovo clima sociale, si può anche essere attratti da figurazioni e paesaggi urbani dove l'estetica gioca un ruolo essenziale: architetture singolari in spazi aperti o angusti, contaminazioni tra stile di regime e stile moldavo-bizantino, sincretismi e fusioni all'apparenza inconciliabili, segnano un'epoca e un modus vivendi neppure tanto distanti da noi.
Timi?oara non è una città qualunque. È uno stato d'animo dove si addensano reminiscenze antiche, all'ombra di barocchi splendori e di più giovani edifici Jugend Stil. Timi?oara - detta anche "l'italiana" per la vicinanza a uno stile di vita cui palesemente aspirano i suoi abitanti, ma soprattutto per la massiccia presenza di imprese del nostro Nord-Est, che qui assoldano mano d'opera a basso costo - vanta uno storico primato: quello di aver dato inizio nel dicembre 1989 all'insurrezione del popolo romeno per rovesciare il regime di Nicolae Ceausescu. Da qui partì la rivolta, estendendosi poi in tutta la Romania. Dal balcone del teatro dell'Opera Romana, nell'attuale Pia?a Victoriei, fu annunciato l'inizio della rivoluzione che portò alla destituzione del dittatore, poi giustiziato a Tirgovi?te insieme alla moglie. Ancora oggi sulla facciata di marmo dell'Opera e nell'intonaco pastello di Palazzo Loffler, un bell'edificio liberty invaso al piano terra dalle sgargianti insegne di McDonald, si notano i fori prodotti dai colpi dei mitra, stigma della feroce battaglia che qui ebbe inizio.
Sono trascorsi quindici anni, e con gli anni anche la proverbiale "acqua sotto i ponti". Da allora il mondo si è globalizzato, e dall'interno del villaggio globale si sa per certo, grazie anche a Internet, che in Romania, in un museo dell'"italiana" Timi?oara è conservato un dipinto attribuito a un bolognese che si faceva chiamare "lo spagnolo".2 Un connaturato spirito da viaggiatore, non da turista, spinge a volte le persone a inseguire suggestioni che le opere d'arte, più di una piazza storica, possono generosamente dispensare dall'interno dei musei. Benché sia facile incontrare nell'atrio di accesso alla Sec?ia de Art? di Via Mercy un contesto molto simile al celebre Casolare del Crespi, con l'uomo di spalle che orina nell'angolo del cortile e la vecchia indignata che minaccia e sbraita levando in aria il pugno, non è questo il Crespi "ospitato" nella città romena. La ricerca è orientata invece verso il Crespi delle copie e delle repliche, delle paternità cattoliche così come si vedono nella serie dei quattro quadri posti all'interno della chiesa bolognese di San Paolo, citati in modo puntuale da Hermann Voss nel 1921 per il Lexikon der bildenden Künstler.3
L'impressione è nettissima: al primo piano del museo non regna uno stato di vero abbandono, ma s'intuisce tuttavia la mancanza di risorse finanziarie, vissuta con molta dignità dal personale che vi lavora. Pochi lei per entrare, una miseria, il sorriso compiaciuto della custode - per l'occasione è anche addetta alla biglietteria -, lo strappo deciso lungo la linea tratteggiata del blocchetto dei tickets che echeggia nell'atrio, e finalmente, senza fretta, attraverso una porta smaltata di bianco si è introdotti all'interno delle sale espositive della Sec?ia de Art? del Museo del Banato. Si percepisce l'odore di chiuso, misto a quello del legno appena verniciato di un parquet scricchiolante. Due vetrine espositive al centro, quattro dipinti sulla parete di destra e cornici intagliate e vuote nelle restanti pareti. Alla sinistra un'altra porta smaltata, aperta. La custode sparisce frettolosamente e dopo qualche secondo proviene dal fondo una musica gracchiante ma gradevole. È uno dei Brandeburghesi di Bach, nelle note emesse da un antiquato giradischi per LP.
Eccolo, il Crespi, accanto alla finestra, primo di quattro dipinti. Un pittorico espandersi di soavità e dolcezza, dove San Giuseppe, munito della consueta verga infiorata di gigli, vezzeggia amorevolmente il Bambino, raffigurato con un vaticinante attributo: una piccola croce di legno nella mano destra. Lo "Spagnolo" palesa le sue intenzioni lasciando immaginare che la croce-giocattolo sia stata costruita da San Giuseppe nella bottega da falegname. In anni successivi Antonio Crespi, figlio del più celebre Giuseppe Maria, recuperando quel motivo tematico, volle rappresentare un'analoga situazione scegliendo come sfondo l'ambiente domestico in cui il padre putativo di Cristo svolgeva il suo mestiere. È il caso della Sacra Famiglia collocata nella chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna ed esposta di recente presso la Galleria d'arte Fondantico di Via Castiglione, nell'ambito della mostra "Espressioni d'arte. Dipinti emiliani dal XVI al XVIII secolo".4 Qui il Bambino, più cresciuto della rispettiva figura nella tela di Timi?oara, esibisce soddisfatto alla madre pensierosa una croce appena terminata dal genitore, intento a sua volta a ripulire la pialla dai trucioli di legno.
Le due raffigurazioni bolognesi di Giuseppe Maria e di Antonio Crespi inducono a inevitabili accostamenti con la tela di Timi?oara, su cui peraltro esistono ancora dubbi: pochi testi didascalici, inseriti in un foglio distribuito all'ingresso, attribuiscono il Sfântul Iosif cu Isus al Crespi, ma nel sito web del Museo del Banato lo si assegna ad anonimo del XVIII secolo. L'investigazione si orienta allora verso un altro quadro del Crespi, con lo stesso tema e di pari dimensioni, conservato alla Gemäldegalerie di Dresda, dove il soggetto è banalmente individuato come San Giuseppe. La citazione della piccola croce nella mano del Bambino è ricorrente nelle opere in esame, e riporta agli ultimi anni di vita dello "Spagnolo", quando si fa insistente nella sua produzione il tema della Sacra Famiglia. Lo spiegano opportunamente Francesco Arcangeli, Renato Roli, Mira Pajes Merriman, Andrea Emiliani,5 e più recentemente Eugenio Riccòmini, dopo il ritrovamento in Baviera di una tela del Crespi, posta subito in raffronto con La sacra famiglia nella bottega da falegname,6 o da legnajuolo, come riporta l'abate Giampietro Zanotti nella Storia dell'Accademia Clementina edita nel 1739.7 Ne conviene anche Marius Cornea, attuale curatore della Collezione d'arte europea antica del Museo di Timi?oara, convinto di poter datare la tela al 1740.
Tralasciando per un attimo gli aspetti critici e filologici, per una pregnante suggestione che ancora una volta muove dal viaggiatore e non dal turista, la mente riconvoca una notissima immagine fotografica realizzata nel dicembre 1989, in piena guerra civile, molto diffusa e riproposta in grandi manifesti all'interno delle istituzioni democratiche romene. La foto ritrae una moltitudine di persone inginocchiate a pregare, assiepate lungo la direttrice dell'ampio cannocchiale prospettico che unisce l'Opera Româna alla Cattedrale ortodossa. Osservandola, si ha la misura compiuta della tragicità di un tempo ancora troppo vicino, quando un intero popolo, ormai incapace di "portare la croce cantando", invocò la protezione divina per continuare a nutrire speranze di libertà e di democrazia.
I tributi di sangue pagati dalla Romania paiono più onerosi rispetto agli altri Paesi dell'ex Patto di Varsavia, dove la dissoluzione del potere politico è avvenuta in maniera indolore, certamente favorita da una paralizzante economia che non poteva più reggersi sull'ingombrante presenza di muri, sbriciolati a picconate nello stesso 1989. Caduta rovinosamente la dittatura e la classe politica che la rappresentava, agli inizi degli anni Novanta una dirigenza più attenta ai bisogni della gente è subentrata al governo del Paese per risollevare, non senza fatica, lo stato di degrado ideologico ed economico in cui versava la Romania. Se la feconda ondata progressista ha saputo allineare la nazione ai Paesi della nuova Europa, permettendo al tricolore blu, giallo e rosso di sventolare accanto ai vessilli dell'area geopolitica dell'euro, il senso dell'orrore di quel 1989, della violenza sulle strade, della dura repressione messa in atto dalla Securitate, è ancora oggi percepito come fatto relativamente vicino.
Che dire allora della presenza a Timi?oara di un'opera del Crespi? La tela ovale evoca tenerezza, come tenera e garbata è la gente di qui, gens latina senza mezzi e in lenta risalita. Raccolti in un tenero contatto familiare, i volti accostati, figlio e padre putativo si guardano intensamente: San Giuseppe accarezza la mano del Bambino che stringe il suo giocattolo, lo abbraccia e lo avvolge, a proteggerlo dagli inquietanti segni di una sofferenza inesorabile, preconizzati dalla piccola croce. Guardando la tela di Timi?oara, disponendosi davanti al quadro in modo da permettere idealmente il trasferimento di congetture e impressioni con il favore di una frusciante musica di sottofondo, è legittimo pensare che talvolta la filologia, la critica d'arte, l'indagine archivistica, le attribuzioni certe e la lampada di Wulz, devono cedere necessariamente il passo a comparazioni viscerali, istintive, frutto di elaborazioni estetiche sovradimensionate, di riferimenti a volte viziati dai luoghi e dai simboli. Ma tant'è. È così che funziona la mente del viaggiatore.
Note
(1) V. Maggi, Timi?oara. Quattro passi per la città. Guida in lingua italiana, Timi?oara, Orizonturi Universitare, 2002.
(2) D. Ratiu, Maestri ai picturii universale, "ZIUA de Vest", arhiva, 15 august 2005, www.ziuadevest.ro.
(3) H. Voss, Crespi, Giuseppe Maria, in U. Thieme, Allgemeines lexicon der bildenden künstler, Leipzig, Seeman Verlag, 1921, VIII, ad vocem, p. 94.
(4) E. Riccomini, Giuseppe Maria Crespi. La sacra famiglia nella bottega da falegname, in Espressioni d'arte. Dipinti emiliani dal XVI al XVIII secolo, a cura di D. Benati, Bologna, Fondantico, 2004, pp. 74-80, scheda 14.
(5) Si vedano in proposito: Mostra celebrativa di Giuseppe Crespi, a cura di F. Arcangeli e C. Gnudi, prefazione di R. Longhi, Bologna, Associazione "F. Francia", 1948; M. P. Merriman, Giuseppe Maria Crespi, Milano, Rizzoli, 1980, p. 147 e p. 241; R. Roli, "Variazioni sul tema" in Giuseppe Maria Crespi, "Musei Ferraresi", 12, 1982, p. 133; G. Viroli, in Giuseppe Maria Crespi. 1665-1747, a cura di A. Emiliani e A. B. Rave, Bologna, Nuova Alfa, 1990, pp. 152-153, scheda 77, pp. 268-269, scheda 136 e pp. 298-299, scheda 151.
(6) E. Riccomini, Giuseppe Maria Crespi, cit., p. 74.
(7) G. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina di Bologna aggregata all'Instituto delle Scienze e dell'Arti, in Bologna, per Lelio dalla Volpe, 1739, II, p. 55.
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