Rivista "IBC" XIII, 2005, 4

Dossier: 6000 caratteri per un museo - Luoghi d'incontro e nuove narrazioni nei musei dell'Emilia-Romagna

musei e beni culturali, dossier /

Un tuffo nel passato

Daniela Imolesi Casadei
[farmacista, Forlì]

"Forza, bambini! L'appuntamento a Terra del Sole è per le 15 e non mi va di arrivare in ritardo".

"Uffa! E cosa ci sarà poi di così bello e interessante da vedere?" bofonchia Livia, piccolina di statura ma con una lingua che taglia e cuce.

"Visiteremo il Museo dell'uomo e dell'ambiente dove, fra l'altro, sono stati ricostruiti gli ambienti delle famiglie contadine del secolo scorso".

"Boh, speriamo bene!" mugugna Marco, il fratello, per non essere da meno.

Sto per lanciarmi nella solita tiritera che "non vi meritate niente, trovate sempre da ridire sulle mie iniziative e perché poi...", quando un signore molto gentile, ci viene incontro e ci conduce verso un gruppo di persone, come noi in attesa di effettuare la visita.

Accidenti, alla vista della cucina con il lavandino di graniglia e la stufa economica con i bracci dai quali pendono le calze di lana stese ad asciugare, vengo catapultata indietro di quei 35-40 anni, fa conto di ridere, e mentre seguo le descrizioni della guida mi par di vedere... ma sì è proprio il mio nonno Gigì.

 

Come al solito vestito di tutto punto, cravatta compresa, d'inverno e d'estate. Per lui che aveva avuto 13 fratelli con cui dividere i vestiti e le scarpe (nel senso che i "burdel" che si svegliavano per primi mettevano le scarpe, gli altri no), il vestito completo era un segno irrinunciabile di agiatezza. Faceva il mediatore o, come diceva lui, "e sinsel dal ca'", e stazionava tutte le mattine all'angolo del Bar della Borsa di piazza Saffi.

Il nonno Luigi, detto Gigì, non sapeva né leggere né scrivere: era analfabeta ma non lo fregava nessuno. Ricordo che quando a casa arrivò la TV cercai di insegnargli a scrivere, seguendo insieme a lui "Non è mai troppo tardi" con il maestro Manzi; ma il mio nonno era ormai abituato alla sua condizione e, dopo un paio di lezioni, mi disse chiaramente: "Tutti quei segni lì non mi interessano; in fondo so fare la mia firma, so contare i soldi e questo mi basta".

In realtà riusciva a fare molto di più: aveva escogitato un sistema per cui sapeva benissimo districarsi nel malloppo di foglietti che teneva legati con un elastico nella tasca della giacca. A volte, la sera, ripassava la sua rubrica personale: "Quest l'è e padron dla ca in via Consolare: e vo tropp; par sti baiocc un la vend gneca se priga; quest l'è de barbir che vo cumprè una ca pre su fiol..." e citava indirizzi completi e numeri di telefono.

Il nonno Gigì mi ha insegnato a giocare a carte: rubamazzo, briscola, sette e mezzo (di soldi), e a ballare il valzer, solo al dritto però; mi faceva annusare il pepe per fare tanti starnuti, che secondo lui aiutavano a scaricare la testa, e mi avrebbe anche fatto fumare una delle sue potentissime nazionali con la caravella, se non glielo avessero impedito.

L'altra metà del cielo era la nonna Anita. Posso vederla dritta, vicino all'acquaio, mentre prepara la "minestra matta", una zuppa con i ciccioli di pancetta nel soffritto che mi faceva impazzire e l'aringa, come piaceva a loro, cioè annegata nell'aceto, che se avevi il mal di gola ti faceva passare anche quello.

La nonna, con il concio di capelli ancora neri, nonostante l'età, e tenuti lunghi, come usava una volta, divisi in tre trecce arrotolate e fissate con forcine nere. Che buffa, quando li scioglieva per pettinarli! Era quella l'unica civetteria che nonna Anita si concedeva. Quando è morta, di un malaccio che le aveva preso il pancreas, il becchino l'aveva "truccata" per nascondere il colore giallastro della malattia. Se avesse potuto, sono sicura che gliene avrebbe dette quattro: "Sa sit insansè? An no miga d'andè a balè...".

Il nonno Gigì era convinto di essere il capofamiglia e gli piaceva ogni tanto fare la voce grossa per dimostrarlo: la vera "azdora" in realtà era lei. Era lei che gestiva i soldi, che sapeva dipanare le incomprensioni e le gelosie fra i tre figli e i numerosi nipoti, diplomatica e giusta.

 

E mentre Marco e Livia si chiedono cosa ci può essere di così commovente nel "pitale" che sto osservando con gli occhi lucidi (e si agitano, vergognandosi un po' di questa mamma così strana), io saluto il nonno Gigì e la nonna Anita.

L'eterno riposo dona a loro...

No, non siete morti: voi continuate a vivere oggi nella mia memoria e spero, un giorno, in quella dei miei figli.

Vi voglio bene.

 

Post Scriptum - Un grazie esagerato alla Pro Loco di Terra del Sole che, con tanta passione, cura e divulga il patrimonio della nostra storia.

 

Museo dell'uomo e dell'ambiente

Terra del Sole (Forlì-Cesena), piazza d'Armi 2

telefono: 0543766766

www.ibc.regione.emilia-romagna.it/h3/h3.exe/amuseier

www.terradelsole.org/indexmuseo.htm

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