Rivista "IBC" XIII, 2005, 4

musei e beni culturali / pubblicazioni

E. Hooper-Greenhill, I musei e la formazione del sapere. Le radici storiche, le pratiche del presente, Milano, Il Saggiatore, 2005.
Il paradosso del cucchiaino da tè

Stefano Luppi
[storico dell'arte]

Su un numero della rivista "Museum News", ormai datato a 15 anni fa, Neil Postman, docente di sociologia delle comunicazioni a New York, scrisse che non si deve ambire a musei che dicano "ecco come siete, venite a vedervi e applaudirvi", ma ciò di cui abbiamo bisogno sono "musei che ci dicano ciò che eravamo, e ciò che è sbagliato in quel che siamo oggi, e quali vie d'uscita abbiamo. Un buon museo attirerà sempre la nostra attenzione su ciò che è difficile e anche penoso da contemplare". Per quello studioso "museo" voleva dire sostanzialmente luogo del dialogo critico, istituzione che invita non solo a pensare al passato ma anche a farlo attraverso una chiave di lettura che, proprio perché proposta oggi, ci palesi anche a che punto siamo giunti.

Se si parla di conoscenza e di come essa incida nella cultura e nei rapporti di potere legati alla istituzioni non è possibile non pensare al volume di Eilean Hooper-Greenhill I musei e la formazione del sapere. Le radici storiche, le pratiche del presente, edito per la prima volta nel 1992 e tradotto nel 2005 da Giuseppe Bernardi per le edizioni del Saggiatore. Partendo dalla lezione del filosofo francese Michel Foucault - per il quale "il sapere non è fatto per comprendere, ma per prendere posizione" - il classico della professoressa Hooper-Greenhill (che insegna nell'Università britannica di Leicester) si focalizza sull'analisi epistemologica della storia delle collezioni principesche e poi museali dall'Illuminismo in avanti. Mettendone in luce soprattutto gli errori e le discontinuità, per far emergere le politiche culturali e le motivazioni di fondo in un momento in cui questi luoghi prevedono sempre più forme di intervento adatte a un pubblico sostanzialmente di nuovo tipo.

Il libro parte da una serie di domande, come per esempio: che cosa significa l'operazione che porta alla conoscenza e quale accezione se ne dà nel museo? Quali oggetti sono inclusi o esclusi da quest'operazione e perché? Come si modificano le valutazioni nel tempo e quali sono le vie attraverso cui le "cose" divengono oggetti esponibili? Una messe di interrogativi sviluppati nei capitoli successivi attraverso l'analisi - resa con un linguaggio non complicato e quindi adatto ai primi corsi universitari - di palazzi, istituzioni, "studioli" e wunderkammern noti, visti con l'occhio delle tre grandi forme di episteme descritte da Foucault: rinascimentale, classica e moderna.

Molto valido - a dispetto dei 13 anni trascorsi dall'edizione originale - è l'assunto iniziale secondo cui oggi "andare a visitare un museo si avvicina più all'esperienza di una gita in un parco a tema rispetto a quella che si produceva entrando in un austero edificio con bacheche e vetrine". Non è infatti un mistero che nel terzo millennio il museo sia divenuto "centrale" fin dall'edificio (come le chiese nei secoli passati): basti pensare a "costruttori" specializzati come Frank Gehry o Renzo Piano. Un edificio necessariamente orientato ad attirare sempre più pubblico, come impongono gli alti costi di gestione e la "moda" delle grandi mostre, dove tra l'altro si compie sempre più un rito di presenza piuttosto che un percorso di conoscenza.

La politica poi - ecco la seconda parte dell'assunto - orienta i musei, e questi, come ogni altra istituzione pubblica, ne seguono il cammino tracciato. Foucault (non è difficile capirne le motivazioni) pensava che la conoscenza modificasse la percezione delle cose, quindi in sostanza, argomenta l'autrice, ciò vale anche per i luoghi d'arte, che certamente non hanno seguito nella loro storia un modo immutabile di operare. Basti pensare - per venire alle classificazioni dei materiali - all'esempio di "enciclopedia cinese" del libro: per noi occidentali questo sistema di tassonomia sarebbe altamente irrazionale, basato com'è sulla presenza di categorie spurie, mentre in una certa epoca e in un certo luogo del mondo essa è risultata assolutamente valida e anche il solo conoscerla (magari non condividendola) permette di allargare la nostra prospettiva.

In tutto questo complesso discorso, qui brevemente accennato e invece ben sviluppato nel volume del Saggiatore entra quindi in gioco, tra le tante questioni, anche il mestiere del conservatore museale, che diviene figura centrale importantissima nella società (oggi purtroppo, in Italia, non sembra ancora tale). Che non sia una professione banale lo si evince dall'esempio del "cucchiaino da tè d'argento" citato a pagina 17 del volume, da cui si comprende che l'oggetto muta il proprio significato in base al ruolo che gli si dà all'interno di musei di differenti tipologie. La conclusione di Hooper-Greenhill è aperta, lasciata al lettore, ma l'interrogativo finale è di quelli che incutono timore: qual è il futuro dei musei in cui i manufatti, inseriti in contesti e relazioni troppo "forti", non riescono a sollecitare un'interpretazione personale su di essi?

 

E. Hooper-Greenhill, I musei e la formazione del sapere. Le radici storiche, le pratiche del presente, Milano, Il Saggiatore, 2005, 356 p., _ 30,00.

 

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