Rivista "IBC" XII, 2004, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni

Grazie a un progetto "LIFE" che unisce il ripristino ecologico alla conservazione degli habitat e delle testimonianze culturali la Salina delle Valli di Comacchio (Ferrara) torna a rivivere.
Paesaggio di sale

Cristina Barbieri
[direttore tecnico del progetto "LIFE - Ripristino ecologico e conservazione degli habitat nella Salina del SIC Valli di Comacchio"]
Stefano Corazza
[IBC]
Sergio Lucci
[collaboratore del Parco del Delta del Po]

Il progetto "LIFE" attualmente in corso di realizzazione nella Salina di Comacchio (Ferrara) si pone obiettivi che sono in realtà ben più ampi del semplice ripristino ecologico del sito. La Salina non è soltanto un'area di grande importanza naturalistica, è anche uno di quei luoghi capaci di riassumere in sé il valore culturale e la storia dell'intero territorio a cui appartengono. "Recuperare" questa porzione di Valli di Comacchio non implica quindi solo conservarne la biodiversità, ma anche evidenziarne le vicende storiche, le forme del lavoro umano e la cultura, sensibilizzando le popolazioni locali alla consapevolezza di tali valori, resi fruibili per loro e per l'intera società nazionale ed europea.


La storia della Salina

Non è del tutto chiaro quando l'uomo abbia iniziato a utilizzare il sale nelle zone del delta del Po. È probabile che già in epoche precedenti a quella etrusca vi fosse una piccola attività di raccolta mentre invece si può affermare con una certa sicurezza che nella città di Spina, importante snodo commerciale del tempo, non solo transitasse il sale proveniente dal sud del Mediterraneo ma se ne producesse anche di proprio. Certamente erano presenti ampie zone di ristagno di acqua marina, penetrata attraverso i cordoni dunosi nelle bassure retrodunali, sugli strati più fini (limi e argille) dei sedimenti fluviali e costieri. Queste condizioni erano le più propizie alla formazione di sale, provocata dall'evaporazione estiva di quelle acque, già pronto per essere consumato. Al di là della presenza di tali fattori favorevoli alla produzione naturale del sale, non si ha tuttavia notizia di opere umane, in periodo preromano, che abbiano cercato di sfruttare più intensivamente questi favori della natura. Anche nelle fonti storiche romane non si menziona l'esistenza di saline fra i rami di sbocco del Po.

Le informazioni rimangono vaghe per buona parte dell'alto Medioevo, almeno fino a quando non appare del tutto evidente che il sale comacchiese è a tutti gli effetti un importante fattore nell'equilibrio geopolitico tra le varie forze regionali, in particolare per la Repubblica di Venezia. La Serenissima poteva contare sul controllo diretto o indiretto delle saline di Aquileia, Grado, Pirano, Chioggia, Ravenna. Le saline di Comacchio e di Cervia (e in seguito anche quella di Cesenatico) si trovavano invece nell'area di influenza dello Stato della Chiesa. Sappiamo con certezza che il sale di Comacchio riforniva tutto il retroterra padano attraverso quella "via del sale" che allora era il Po. Man mano che Venezia accresceva il proprio successo commerciale, diveniva sempre più evidente che Comacchio avrebbe potuto intralciare il suo dominio nel commercio del sale.

Ecco perché, dopo ripetuti piccoli attacchi, nel 932 Venezia distrugge Comacchio e la sua salina, accrescendo così il valore del sale di Chioggia. Nei secoli successivi, a Comacchio non rimase altro che una, meno redditizia, attività di contrabbando del sale verso Ferrara e Ravenna. Attività tollerata, di fatto, dalla Repubblica lagunare fino all'inizio del Quattrocento quando, in coincidenza con la grande espansione veneziana nella terraferma, la sua politica si farà più severa con Comacchio. I tre secoli successivi trascorsero con una piccola produzione clandestina che a fatica permetteva ai comacchiesi di sopravvivere tra i conflitti e i compromessi che periodicamente si realizzavano tra Venezia e il Papato.

Con l'occupazione napoleonica, all'inizio del XIX secolo, all'interno di un ampio progetto di riammodernamento dell'alto Adriatico, si decise di rilanciare la produzione trasformando l'area in un moderno stabilimento. Il progetto avviato dai francesi fu però terminato e reso più efficiente dalle autorità pontificie, tornate in possesso di questi territori dopo il Congresso di Vienna. All'inizio del secolo XX lavoravano stabilmente nella Salina un centinaio di persone, e il loro numero raddoppiava nei mesi di marzo, aprile e maggio. Negli anni Trenta la superficie della Salina venne ampliata notevolmente, e si raggiunse la produzione massima di sale, pari a circa centocinquantamila quintali annui.

All'inizio degli anni Sessanta si decise di scommettere sulla tecnologia. Le diverse decine di piccole vasche salanti (le ultime raggiunte dalle acque entrate in salina, dal fondo delle quali veniva raccolto il sale) vennero fuse insieme fino a creare otto grandi specchi d'acqua per effettuare una raccolta meccanizzata del prodotto e ridurre così i costi della manodopera. Questo stravolgimento morfologico creò però maggiori dislivelli tra le vasche appartenenti a diversi stadi del processo di concentrazione salina nelle acque, i quali ridussero notevolmente l'azione evaporante del vento. La produzione del sale calò a un terzo di quella ottenuta nel periodo precedente ai lavori. Non valeva più la pena di mantenere aperto uno stabilimento che costava troppo rispetto a quello che produceva: nel 1985 il Ministero delle finanze interruppe definitivamente la produzione del sale.

Da allora in Salina non è stato effettuato più nessun intervento. Prima dell'inizio del progetto "LIFE" l'area si presentava come una sorta di rudere industriale completamente abbandonato: i vari edifici ridotti a mura pericolanti, arginature e opere idrauliche profondamente degradate, sentieri e camminamenti praticamente scomparsi sotto la vegetazione. Questa prolungata assenza di attività umane e del disturbo a esse connesso ha permesso alla Salina di diventare un rifugio indisturbato per colonie nidificanti di uccelli di notevole importanza protezionistica. La ricca e variegata presenza di avifauna è oggi un patrimonio importantissimo della Salina, non inferiore al suo valore storico. Tuttavia l'abbandono (in particolare della gestione idraulica del sito) ha dimostrato di potere progressivamente alterare determinate condizioni ecologiche necessarie alla presenza di importanti cenosi oltre a rischiare di negare e perdere sia l'identità storica del luogo che il suo valore culturale e paesaggistico.


Un'oasi naturale a rischio, un paesaggio da rivitalizzare

Il quasi completo arresto della complessa "macchina" idraulica un tempo necessaria per la gestione della Salina e la pressoché nulla manutenzione dell'intero sito hanno infatti provocato gravi effetti. In primo luogo sulla qualità dell'acqua, che la troppo scarsa circolazione, unita all'apporto di nutrienti dall'intorno, ha reso, anche a causa di ricorrenti fenomeni di proliferazione algale e conseguente decadimento, povera di ossigeno con frequenti casi di anossia dei fondali, tali da minacciare la sopravvivenza di Knipowitschia Panizzae, un piccolo gobide protetto dalla Direttiva comunitaria "Habitat".

L'alterazione dei differenziati e progressivi gradienti salini dell'acqua, così governati a fini produttivi nelle diverse parti della Salina, aveva cominciato a produrre forti modificazioni sui tipi vegetazionali più caratteristici di questo ambiente e perciò protetti dalla Direttiva "Habitat". In particolare le cenosi associate ai suoli e alla presenza di acque sovrassalate hanno subìto gravi impatti. Sono ormai solo due, ad esempio, le zone in cui rimane la presenza dell'Artemia Salina, un piccolo crostaceo importante per l'alimentazione del fenicottero.

Altri importanti effetti negativi si sono avuti su componenti importanti dell'ambiente e del paesaggio. Il moto ondoso di alcune vaste aree di valle ("vasche di carico" dell'acqua di mare che poi sarebbe stata circolata in salina) in cui non è stato più gestito il battente idrico, ha provocato la scomparsa dei dossi (piccole strisce o isolette di terra, emerse di pochi centimetri dal pelo dell'acqua) che costituiscono i siti di nidificazione di alcune specie migratorie di notevole importanza e prioritariamente protette dalle convenzioni internazionali. In taluni casi anche la minore salinità delle acque, incidendo sulla composizione vegetazionale dei dossi, ha contribuito a renderli inospitali per alcune specie dell'allegato I della Direttiva "Uccelli" 79/409, quali il gabbiano corallino (Larus melanocephalus), il gabbiano roseo (Larus genei), la sterna zampenere (Gelochelidon nilotica), il fraticello (Sterna albifrons), la sterna comune (Sterna hirundo), il beccapesci (Sterna sandvicensis), specie che rappresentano una delle prioritarie emergenze naturalistiche del sito, tanto da averne determinato la designazione come Zona di protezione speciale (ZPS) e la proposta come Sito di importanza comunitaria (SIC). Lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione erbacea ha favorito al contrario la nidificazione del gabbiano reale mediterraneo (Larus michaellis), specie caratterizzata da una forte plasticità ecologica che ha sicuramente tratto vantaggio dalla chiusura della Salina. L'elevata presenza numerica della popolazione del gabbiano reale mediterraneo (più di 500 coppie nidificanti negli ultimi anni) ha sicuramente impoverito la comunità ornitica della Salina, dove sono stati osservati casi di predazione sia su pulcini che su uova di altre specie ornitiche. L'insediamento di altre specie di Caradriformi potrebbe pertanto venire limitato o inibito sia per sottrazione di spazio che per timore di predazione.

Il crollo di argini, la proliferazione della vegetazione sugli stessi e sui camminamenti usati un tempo dai lavoratori delle saline, oltre alle conseguenze sulla funzionalità idraulica e all'impatto sul paesaggio hanno provocato anche conseguenze di tipo ecologico analoghe a quelle di cui sopra. Non va infine trascurato il degrado subìto dai diversi manufatti e dagli impianti idraulici. Le chiuse e tutte le loro componenti: spallette, vasche, seracinesche, ecc. in buona parte inutilizzabili per il disfacimento dei materiali (legno e mattoni); le pompe di sollevamento con gravi compromissioni funzionali; gli edifici in totale abbandono e rapida rovina; reti elettriche obsolete e ormai ridondanti, fonte di rischio per l'avifauna e di forte impatto visivo; per non parlare dei resti di una vecchia "decauville" (linea ferroviaria a scartamento ridotto per l'asporto del sale) e delle tracce di una sua frettolosa e improvvida quasi totale asportazione, e per non dire soprattutto del grave rischio di inquinamento ambientale costituito dalla presenza delle coperture in cemento-amianto in disfacimento di un "capannone" di più recente costruzione, collocato proprio in mezzo alle vasche "salare", e del suo impatto visivo.

Non trascurabile è stato infine il progressivo affermarsi di una marginalità culturale del luogo, chiuso al pubblico, ma permeabile a un uso predatorio (dal saccheggio di edifici e manufatti, allo scarico di rifiuti) perché percepito localmente come altro da sé, senza identità né valore.


Il progetto "LIFE"

Dal tempo della chiusura degli impianti delle Saline al 2000, molte intenzioni sono state avanzate nella forma di progetti spesso fortemente discutibili sul futuro destino delle Saline (ad esempio con la previsione di impianti di acquacoltura). Il Comune di Comacchio, che ne vedeva il valore rappresentativo della sua storia, il Parco regionale del Delta del Po e la Regione Emilia-Romagna, che ne apprezzavano il valore naturalistico e paesaggistico, hanno comunque manifestato in diversi modi l'idea che le Saline fossero affidate alla gestione delle comunità locali. Questa ipotesi è parsa allontanarsi nel marzo 2000, quando il Ministero delle finanze pose il sito nell'elenco dei beni demaniali vendibili.

Per evitare questa disastrosa eventualità, oltre ad agire per ribaltare nelle sedi opportune quella decisione, la Regione e il Parco hanno deciso di elaborare un progetto che definisse senza ambiguità il destino delle Saline, per costituire un ambito prioritariamente dedicato alla conservazione della biodiversità e delle testimonianze materiali della storia e della cultura locale.

Quarantacinque mesi di lavori (che iniziati nel luglio del 2001 si concluderanno nel marzo 2005), 1.600.000 euro circa di spesa complessiva, 31 differenti azioni (dai rilievi, progetti e analisi preliminari, agli interventi sul campo, dalla divulgazione e sensibilizzazione alla gestione dell'intero progetto): sono questi i dati principali del progetto intitolato "Ripristino ecologico e conservazione degli habitat nella Salina del SIC (Sito di importanza comunitaria) Valli di Comacchio" ( www.lifenatura.it/emilia-romagna/LifeSALINA). Il progetto è finanziato al 40% dall'Unione europea sul programma "LIFE Natura 2000" e per la restante quota da Regione Emilia-Romagna (50%) e dal Parco regionale del Delta del Po (10%).

La prima cosa da fare è stata avere una conoscenza approfondita della Salina nella sua consistenza odierna. Si è effettuato un rilievo topografico dell'area, che ha prodotto una cartografia digitale vettoriale sulla quale saranno inseriti i dati ecologici. È stato poi eseguito un altro rilievo in grado di stabilire il livello di degrado della funzionalità idraulica. Infine, grazie all'aiuto di ex salinari in pensione, è stato possibile ricostruire con precisione le modalità storiche con le quali si produceva il sale, e, in generale, come funzionava l'intera Salina quando era perfettamente operativa. Una sorta di protocollo da utilizzare per l'attività dimostrativa. Negli ultimi mesi del 2002 sono state completate le ricerche faunistiche e abiotiche (compiute dai ricercatori del Dipartimento di biologia dell'Università di Ferrara), e quelle floristico-vegetazionali (realizzate dal Dipartimento di risorse naturali e culturali dello stesso ateneo). Tre mesi più tardi è stata presentata la schedatura dei diversi edifici storici della Salina (alcuni dei quali risalenti al Medioevo) e anche un primo piano di fruizione. Al contempo si concludeva la progettazione del sistema di monitoraggio, riguardante le acque, le condizioni meteorologiche e la divulgazione dei dati raccolti.

A questo punto, giunti ormai a marzo 2003, tutto era pronto per iniziare le operazioni sul campo. Le prime opere realizzate, che sono realmente andate a mutare il paesaggio della Salina, sono state l'abbattimento delle linee elettriche aeree in disuso e del capannone col tetto in cemento-amianto. In entrambi i casi si è trattato di azioni che dovevano salvaguardare l'ecosistema, ma allo stesso tempo hanno migliorato sensibilmente la percepibilità del paesaggio, eliminando elementi di disturbo a quegli spazi aperti e "orizzontali" tipici della Salina.

Molto più difficoltose si sono invece rivelate le azioni riguardanti il ripristino della funzionalità idraulica della Salina e, in secondo luogo, quelle relative alla ricostruzione di dossi per migliorare la dotazione di ambienti adatti alla nidificazione di importanti specie avifaunistiche di Laridi e Sternidi. La maggior parte di questi lavori era concentrata attorno a Valle Montalbano, uno dei tre bacini seminaturali della porzione occidentale del complesso. Le piogge intense dell'inverno del 2003, insieme al guasto irreparabile di ben due pompe idrauliche della Salina e alla rottura della chiusa che collega la Salina con uno dei canali circostanti, hanno fatto sì che le vasche in cui dovevano operare i mezzi meccanici non fossero completamente asciutte fino all'estate (2003) inoltrata. Un'ulteriore dimostrazione sul campo, insomma, di come il mantenimento della funzionalità idraulica sia elemento prioritario per una corretta gestione dell'intera salina.

Sempre nel corso dell'estate 2003 è stata realizzata anche una delle opere più importanti dell'intero progetto: una "Salinetta" in miniatura nella quale verrà riattivata la produzione del sale. La sua funzione sarà sia didattica che ecologica. I visitatori potranno osservare direttamente le diverse fasi dell'estrazione del sale, una specie di museo vivente della "civiltà del sale" che, come abbiamo visto più sopra, costituisce un tratto importante della storia locale. Al tempo stesso questa produzione esemplificativa sarà sufficiente a ridare alla piccola area interessata il grado di salinità dell'acqua necessario a certi tipi di habitat.

Al momento in cui si sta scrivendo questo articolo sono in fase di completamento i lavori di consolidamento dell'ex centro aziendale, che ospiterà il nuovo centro operativo per i monitoraggi ecologici della Salina e per la divulgazione dei dati ottenuti. Realizzare nel medesimo ambiente sia il controllo tecnico scientifico dell'andamento ecologico dell'area che la possibilità di far percepire al pubblico visivamente (in senso letterale, attraverso telecamere e dati di telerilevamento) le diverse problematiche della Salina, tutto questo rappresenta la sintesi ideale dello spirito del progetto: una tutela del territorio che diventa "pubblica" in tempo reale. "Fruibilità", per questo progetto, significa costitituire un'occasione di comprendere, attraverso un'esperienza diretta sul campo, piccoli e grandi meccanismi naturali e anche umani che permettono a un ambiente una vita equilibrata e che necessitano di una continua attenzione gestionale.

Tutto questo prenderà avvio anche prima che il progetto sia terminato. Il progetto vuole essere uno snodo nella storia della Salina, riassumendone il passato e al contempo permettendone un futuro diverso. Azioni come campi scuola, o visite guidate durante i monitoraggi, che costituiscono un'apertura anche e soprattutto alla popolazione locale, sono perciò parti integranti del progetto stesso, che saranno avviate a partire dall'estate del 2004. La divulgazione di un progetto "per tutti" non si limita così a comunicare quanto è stato fatto, ma diventa un modo per far partecipare in presa diretta i cittadini, a cui poi spetterà la responsabilità di difendere e promuovere il valore del proprio territorio. Se infatti questo progetto ha svolto i compiti più urgenti e necessari per la salvaguardia ecologica della Salina, è importante che la società civile locale appoggi in maniera forte i prevedibili e anche maggiori impegni futuri, che dovranno essere rivolti al recupero e mantenimento dell'imponente macchina idraulica, al restauro e riqualificazione d'uso degli edifici storici, allo sviluppo di una dimensione ecomuseale della Salina, al controllo e al monitoraggio degli habitat e delle specie di importanza conservazionistica.

Il progetto ha innescato il meccanismo di recupero di un sito oggi strategico per il rifugio di molte specie avifaunistiche, ittiche e vegetali all'interno del proposto SIC e designato ZPS delle Valli di Comacchio, allontanando prospettive economicamente ambigue e di certo ecologicamente distruttive, legate alla vallicoltura, quali quelle sviluppatesi negli anni Settanta nella confinante Valle Campo. La sfida futura è proseguire con questi interventi ampliandone la dimensione e provvedendo a una gestione sistemica del sito così come la si è impostata nel progetto "LIFE". A titolo esemplificativo numerosi argini erosi potrebbero essere ripristinati. Ciò avrebbe non solo un valore storico culturale, e di ripristino di funzionalità idraulica, impedendo allagamenti non desiderabili di vasti comparti, ma amplierebbe la superficie a disposizione per l'insediamento di specie alofile e per la nidificazione di varie specie ornitiche.

Al termine del progetto, attraverso le conoscenze ottenute dai monitoraggi scientifici, sarà realizzato un piano di gestione dell'area. Il piano necessiterà chiaramente di una taratura, per consentire una piena valutazione, probabilmente dopo alcuni anni, del riassetto ecosistemico e funzionale prodotto con gli interventi. È inoltre indispensabile monitorare gli effetti della fruizione turistica, la cui portata può essere valutata seriamente solo nel tempo. Il compito è peraltro reso meno oneroso dall'ampia base dati raccolta durante il progetto, che ha consentito di realizzare il cosiddetto "punto zero", futura base conoscitiva per ogni processo decisionale. L'aspetto che ci pare più interessante di questo progetto "LIFE" è proprio nelle sintesi che esso è riuscito a creare, tra natura e cultura, tra protezione della biodiversità e volontà di aprirsi alla conoscenza del pubblico.

La Salina di Comacchio è un'area di grande valore naturalistico, sviluppatasi però in un contesto fortemente "non-incontaminato". Si potrebbe curiosamente affermare che un ambiente che l'uomo ha modellato con vasche rettangolari, canaletti che regolano il flusso delle acque e varie altre infrastrutture, sia stato poi sempre più "contaminato" dalla vita naturale. La vera sfida che un progetto di ripristino ecologico di un'area come la Salina di Comacchio può cogliere non è quello l'utopico ritorno a un iniziale "stato di natura", ma la conservazione della biodiversità presente e futura dell'area, mantenendo al contempo viva anche la sua storia culturale. Se si vuole difendere davvero la Salina non si può cadere nella talora romantica illusione che la natura possa "fare da sé". È invece da questa realistica presa di coscienza della realtà così com'è, coi suoi elementi di degrado ma anche con le sue grandi potenzialità ecologiche e culturali, che si devono costruire le condizioni per cui la presenza umana possa lavorare con e non contro la natura del delta del Po.

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