Rivista "IBC" XII, 2004, 1
territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, mostre e rassegne, pubblicazioni
Ezio Raimondi scrive a proposito di Dino Campana che "la solitudine dei poeti invita sempre, alla fine, alla solidarietà dei lettori". L'esperienza radicale e sofferta della poesia di Campana, ma è il caso di tutti i grandi poeti, si trasforma così nella possibilità di una rivelazione aperta e condivisa. Ma c'è di più: l'avventura esistenziale del poeta di Marradi, con le sue euforie e i suoi cupori, con la tragedia che la conclude, esercita un fascino potente, invita i lettori appassionati ad una sorta di immedesimazione. Nel numero 3/2003 di "IBC" abbiamo presentato un bel libro di Giovanni Cenacchi che proponeva una serie di itinerari nei luoghi campaniani per eccellenza, le valli e le coste dell'appennino tosco-romagnolo, un approccio alla poesia di Campana ritmato senza mediazioni sulla fisicità del camminare, dei passi e del respiro. A quel libro e a quel tipo particolare di esperienza si collega idealmente il libro fotografico di Giovanni Zaffagnini, catalogo della mostra che, nel maggio 2003, ha accompagnato le celebrazioni campaniane a Faenza e che è poi approdata a Fusignano, prima tappa di un percorso che speriamo lungo.
Anche Zaffagnini, fotografo da tempo dedito all'esplorazione del paesaggio ed esponente significativo di quella "scuola" italiana che ha tra i suoi padri fondatori Luigi Ghirri e Guido Guidi, intreccia il suo personale percorso visivo e mentale a quello di Dino Campana, ricostruendo, non semplicemente illustrando o descrivendo, i luoghi del poeta, quel paesaggio fisico e mentale che, in modo potente, è contesto e oggetto della poesia campaniana. Non a caso il titolo del libro è Io vidi e quell'io è in sostanza un io duplice, l'io dell'autore e l'io del lettore, percorsi paralleli di esperienza e di visione, uno sulle tracce dell'altro.
Dice ancora Raimondi nella prefazione al volume: "In fondo quando un poeta passa attraverso i luoghi questi conservano per sempre la sua voce, la sua cadenza, il suo modo di sentire, di rendere esistenziale ciò che sembra pacifico e indifferente e che in parte è anche in noi, nella profondità del nostro essere". Con immagini semplici, severe, ma sottilmente misteriose, Zaffagnini propone il suo percorso sulle tracce del poeta viandante: Faenza, Marradi e l'Appennino. Le immagini della città e del paese d'origine sono riprese al crepuscolo, nel momento sospeso tra giorno e notte preferito da Campana, mentre l'Appennino (Monte Filetto, Campigno, Valdervè) si distende con i suoi orizzonti e la sua bellezza scabra in piena luce.
Le citazioni campaniane sono riportate in fondo al volume in modo da non sovrapporsi con troppa forza alla suggestione delle immagini. Il percorso visivo, ritmato su sequenze e ripetizioni che duplicano le modalità interne della poesia di Campana, si conclude con una sequenza emozionante introdotta da una citazione, "Mi ruppero talmente la testa che io perdei la vena poetica": sono quattro immagini di Campigno che a poco a poco scuriscono; l'ultima ormai buia e indecifrabile. La perdita della vena poetica è la perdita della possibilità di vedere in profondità.
G. Zaffagnini, Io vidi. Il paesaggio nella poesia di Dino Campana,
Ravenna, Longo Editore, 2003, 64 p., _ 20,00.
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