Rivista "IBC" XII, 2004, 1

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi

Tra il 1897 e il 1909, a Ravenna, nasce il sistema giuridico-istituzionale che tutelerà in Italia i beni culturali e il paesaggio. Ai protagonisti di quell'epoca, Corrado Ricci e Luigi Rava, la Biblioteca Classense ha dedicato una mostra.
Per la bellezza di Ravenna

Daniela Poggiali
[Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna]

Gli estremi cronologici compresi tra la nascita della prima Soprintendenza italiana, creata a Ravenna nel 1897, e la promulgazione della legge del 1909, "Per le antichità e le belle arti", volta alla salvaguardia del patrimonio artistico, rappresentano un periodo particolarmente rilevante per la storia della tutela dei "beni culturali" in Italia, e in particolare a Ravenna, in quegli anni interessata da campagne di restauro che ne cambiarono radicalmente l'aspetto, mettendone in luce quella facies tardoantica e bizantina che avrebbe fatto in seguito la sua fortuna turistica.

Proprio a quegli anni fondamentali appartiene il materiale esposto dal 21 dicembre 2003 al 14 marzo 2004 nella Biblioteca Classense di Ravenna, in una mostra sulla "bellezza" della città che Corrado Ricci e Luigi Rava vollero esaltare nelle loro opere a stampa ma anche nel loro operato culturale e politico.1 Due ravennati illustri, quasi coetanei, entrambi laureati in giurisprudenza e legati a Roma dalla carriera professionale ma col cuore e il pensiero rivolti alla città natale, di cui sempre esaltarono il ruolo centrale nella nascente politica di tutela dei beni culturali e paesaggistici.

Il primo, Corrado Ricci - nato nel 1858, sollecitato dagli insegnamenti del padre Luigi, pittore, fotografo e scenografo, che lo indirizzò alla pratica del disegno, e dell'amico Odoardo Gardella, che condivise con lui l'interesse per la storia locale - coltivò da subito, con appassionato studio, l'amore per la storia dell'arte, per la ricognizione archeologica, per la ricerca documentale. Dopo la formazione giovanile presso l'Accademia di belle arti cittadina, frequentò l'ateneo bolognese, segnato dalla personalità e dalla poetica civile di Carducci ma anche dalle irriverenti esperienze di satira politica e sociale che trovarono nel foglio goliardico di Gabriele Galantara e Guido Podrecca, "Bononia ridet", la loro espressione più felice.

Tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento Ricci diresse alcune tra le più importanti istituzioni culturali italiane - le Gallerie di Parma e Modena, Brera, le Regie Gallerie di Firenze - improntando il suo lavoro a una prospettiva museale che metteva in evidenza il valore didattico delle collezioni, mai disgiunto dalla loro valorizzazione. Dal 1897 ricoprì il ruolo di soprintendente a Ravenna e nel 1906 fu nominato direttore generale per le antichità e belle arti, a Roma, dove concluse la sua attività occupandosi dei lavori al Foro d'Augusto e del Consiglio superiore delle antichità e belle arti, di cui venne eletto presidente. Morì a Roma nel 1934.

Il secondo, Luigi Rava, nato nel 1860, fu pubblicista e storico, dotto oratore e studioso, in particolare del Risorgimento. Si laureò anch'egli a Bologna e dal 1884 insegnò presso le università di Siena, Pavia e Bologna, dedicandosi alla carriera politica a partire dal 1891. Sposò la figlia di Alfredo Baccarini, patriota e politico, interprete in Parlamento degli ideali risorgimentali, e si propose come erede di quelle aspirazioni alla democrazia che avevano caratterizzato il pensiero del suocero, facendosi sostenitore di principi liberali e moderati, che si incarnavano in un'idea illuministica di "stato sociale" in grado di tutelare gli strati più umili e bisognosi della popolazione. Fu ministro all'agricoltura e al commercio, quindi alla pubblica istruzione e, infine, alle finanze. Nel 1920 venne eletto sindaco di Roma. Incoraggiò la creazione del Touring club italiano e dell'Ente nazionale italiano per il turismo, di cui divenne presidente: organismi che da quel momento fino a oggi si sono occupati di promuovere l'immagine delle città italiane, favorendo un "turismo di massa" fino ad allora impensabile. Luigi Rava morì nel 1938.

Legati da sentimenti di reciproco rispetto e di intesa intellettuale ed etica, i due conterranei si adoperarono in generale per la valorizzazione della cultura italiana, e di quella ravennate in particolare: nell'Italia giolittiana che riscopriva il proprio patrimonio culturale, dopo le tappe fondamentali rappresentate dall'istituzione delle commissioni conservatrici provinciali e dalle Norme sulla conservazione di Giovan Battista Cavalcaselle, si rendeva necessaria l'elaborazione di una normativa specifica che affermasse il primato dell'interesse pubblico su quello privato, regolando con rigore le autorizzazioni concesse in materia sia di beni culturali che di beni ambientali.

In tale contesto fu elaborata la legge del 1905 che, dichiarando la pineta di Ravenna "monumento nazionale", affrontava la questione della tutela del paesaggio, in particolare di quel paesaggio che fosse legato a "memorie d'arte e di letteratura", e che rappresentasse dunque un vero e proprio patrimonio della storia italiana.

La pineta - fonte di legname e di terre coltivabili fino a tutto l'Ottocento, considerata come una delle risorse economiche primarie per una serie di attività che interessavano diversi strati sociali, dagli allevatori che vi portavano il bestiame al pascolo, ai cacciatori alla ricerca di selvaggina, ai raccoglitori di pinoli - aveva subìto un tale depauperamento da risultare devastata e in serio pericolo di estinzione. La concessione in enfiteusi, fatta da Pio IX ai marchesi Pergami, delle piallasse e dei "relitti di mare", le zone litoranee lasciate scoperte dall'Adriatico che si ritirava, aveva provocato danni seri a causa del mancato rimboschimento previsto, e a questi danni si erano aggiunte le distruzioni causate dal rigido clima invernale e dalle gelate, come quella famosa degli anni 1879-1880.

Il progetto di Rava, accogliendo la voce di un'opinione pubblica che proprio in quegli anni si dimostrava più sensibile alla protezione della natura e dell'ambiente, fece del bosco secolare l'esempio eccellente della difesa del patrimonio nazionale. Consacrata alla storia dai versi immortali di Dante, poeta che più di ogni altro rappresentava il medium per eccellenza nella costruzione dell'identità nazionale, ma anche celebrata da Wilde, da Byron, da Pascoli, la pineta veniva a costituirsi come il luogo simbolico in cui si ripercorrevano le vicende storiche locali e nazionali, memore dei grandi personaggi che l'avevano attraversata, da Onorio a Teodorico, fino a Garibaldi.

Negli stessi anni cruciali si attuarono quei provvedimenti che rappresentarono una vera e propria riforma nella salvaguardia delle opere d'arte e d'archeologia, oggetto di un sistematico saccheggio che ne favoriva l'esportazione all'estero, e si fece del patrimonio artistico dello Stato l'obiettivo primario degli interventi di conservazione e di studio. L'istituzione della prima cattedra di insegnamento di storia dell'arte, assegnata a Roma ad Adolfo Venturi, riconosceva dignità scientifica alla disciplina che più di ogni altra doveva giocare un ruolo centrale nella formazione dei conservatori e dei museologi. La creazione nel 1907 del periodico "Bollettino d'Arte" - pensato da Corrado Ricci come la continuazione della rivista "Le gallerie nazionali italiane", fondata dallo stesso Venturi - rendeva al museo il ruolo di istituzione principe nella salvaguardia della produzione artistica. La legge del 1909 - fortemente voluta, oltre che da Ricci e da Rava, da Giovanni Rosadi, relatore della commissione che la elaborò - rappresentò, come bene ha sostenuto Angelo Varni, la "valorizzazione di quanto appartenesse a un'idea 'alta' di patria da onorare con il rispetto dei beni dell'arte e della natura, che ne formavano la trama intrecciata della memoria storica, della coscienza del presente e delle aspettative del futuro".

La bellezza e la storia, dunque, erano stati i temi fondamentali per la tutela della pineta; ancora la ricerca della bellezza, testimonianza del passato illustre della città, mosse l'attività di Corrado Ricci nella riscoperta e nella conservazione dei monumenti di Ravenna, che, privi delle aggiunte barocche e settecentesche, ritrovavano lo splendore antico del tempo della capitale imperiale. L'immagine di Ravenna, così sapientemente ricostruita, fu l'oggetto privilegiato degli studi approfonditi di Ricci, resi pubblici in alcuni testi fondamentali, tra i quali la monografia dedicata alla città e pubblicata nella collana dell'Italia artistica, in cui egli si valse, per le illustrazioni, della ricca fototeca paterna. La poliedrica attività del padre fu per Ricci, in questo campo, assolutamente fondamentale e Corrado poté giovarsi di una preziosa raccolta di immagini per le sue ricerche e per le indagini iconografiche e stilistiche necessarie ai suoi studi: Luigi gli lasciò una grande quantità di fotografie, di acquerelli, di disegni, tra i quali spiccano, per il risultato di un sorprendente cromatismo e per il curioso metodo di realizzazione, alcuni studi dei mosaici ravennati, ottenuti usando una stampa fotografica a bassissimo contrasto ritoccata con acquerelli e porporina.

Lo stesso Ricci, versato nelle arti figurative, mantenne per tutta la vita l'abitudine di fermare sulla carta le impressioni suscitate da un viaggio, dalla vista di una chiesa o di uno scorcio di paesaggio, dalla riflessione sui particolari decorativi di un paramento murario o di un campanile: nei taccuini fitti di disegni, che recava con sé nei suoi spostamenti e che rappresentano dei piccoli gioielli inediti del corpus ricciano depositato alla Classense, catturava a matita brani di bellezza raccolti in giro per l'Italia e all'estero, accompagnati da passi letterari tratti dagli autori più amati - Dante, Ariosto, Alfieri, Vico, Leopardi e ancora molti altri - in una sorta di ideale e personalissima antologia. Ma, soprattutto, si devono a Corrado Ricci alcuni disegni a matita e all'acquerello che rappresentano una continua meditazione sulle bellezze artistiche dell'amata Ravenna e in cui la purezza del segno grafico si lega a una limpida e sintetica visione del soggetto trattato.

E proprio nella ricerca di una bellezza perduta e da ritrovare in ogni singolo luogo della sua città, in ogni piccolo particolare dei monumenti, quasi in ogni albero della pineta sta, forse, il significato più alto, più vero, più duraturo dell'opera di Ricci, che travalica, così, qualunque polemica sugli interventi di restauro condotti sotto la sua direzione e sul suo operato romano.

 

Note

(1) "Per la bellezza di Ravenna. Storia, arte e natura nell'opera di tutela di Corrado Ricci e Luigi Rava / 1897-1909": il catalogo della mostra è stato pubblicato da Longo editore nel numero speciale della rivista "Classense" (II, 2003).

 

 

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