Rivista "IBC" XI, 2003, 4

immagini, media, pubblicazioni

La guerra in televisione. I conflitti moderni tra cronaca e storia, a cura di L. Cigognetti, L. Servetti, P. Sorlin, Venezia, Marsilio Editori, 2003.
Immagini collaterali

Andreana Mazzei
[collaboratrice dell'IBC]

È ormai assodato che la nostra è una società mediatica, in cui la percezione del mondo è pesantemente determinata dai filtri rappresentati dai mezzi di comunicazione di massa. Come allora il pubblico percepisce eventi critici come le guerre? Quanto sono in grado le televisioni, ad esempio, di trattarli? Come potranno gli storici usare le immagini come fonti storiche? Nel volume La guerra in televisione. I conflitti moderni tra cronaca e storia, a cura di Luisa Cigognetti, Lorenza Servetti e Pierre Sorlin, diversi esperti cercano di definire come si può raccontare una guerra in televisione.

Il primo saggio, di Luisa Cigognetti, mette in evidenza la contraddizione tra l'inenarrabilità di una guerra e la richiesta da parte del pubblico di informazioni. Questo a dispetto del fatto che oggi è impossibile seguire le operazioni belliche da vicino. E allora bastano una stanza d'albergo e una zoomata su colonne di fumo come set, tanto per assicurarci che si tratta effettivamente della guerra. Il tutto condito dalla mistificazione della diretta. Gli inviati sono collegati continuamente con le redazioni in patria, ma quello che possono fare è spesso soltanto leggere "in diretta" i comunicati ufficiali, e trasmettere sempre la stessa immagine di sfondo, la stessa per ogni emittente! A raccogliere poi i loro sforzi di trasmettere qualcosa di interessante ci sono format televisivi spesso impreparati a raccontare storie complesse. Come spettatori bisogna allora rendersi conto dell'inevitabile parzialità dell'informazione che riceviamo.

Anche Santo Della Volpe ribadisce alcuni di questi aspetti, visti dall'ottica del giornalista. L'immagine è di per sé una manipolazione, inevitabilmente, perché frutto di scelte, montaggi, punti di vista. Inoltre, durante i conflitti, le immagini utilizzabili sono quelle fornite dall'esercito, censurate. Dopo il Vietnam, far vedere i morti, i "danni collaterali", è tabù. Il monopolio di poche agenzie stampa internazionali, la censura e un giornalismo sempre più da desk omologano l'interpretazione dei fatti: molto allora dipende dalla professionalità dei giornalisti.

L'informazione è oggi, anche, un prodotto. Roberto Grandi ci svela i meccanismi che stanno all'interno dei mezzi di comunicazione. Innanzitutto: cosa diventa "notizia"? Esistono dei semplici ma precisi criteri di notiziabilità. Si va dal grado e numero di persone coinvolte in un evento, alla prossimità fisica e culturale di quest'ultimo, ai suoi possibili sviluppi. C'è poi il format, ovvero l'insieme di caratteristiche del programma televisivo che dovrà riferire le notizie; il tutto tenendo presente le vaghe aspettative del pubblico e la concorrenza: non ci si può permettere di "bucare" una notizia, di mancare di parlare di un argomento che si sa sarà trattato da altri emittenti. Questo aspetto spesso accentua l'omologazione tra vari telegiornali.

Qual è la specificità del giornalismo di guerra? Il processo sociale di costruzione e di "vendita" del prodotto guerra può essere suddiviso nella fase preparatoria, dove a essere preparata è anche l'opinione pubblica; dello svolgimento, dove il controllo politico è preponderante; e della conclusione, dove finalmente è possibile riflettere e approfondire gli eventi. Queste categorie sono oggi meno salienti per l'avvento della guerra al terrorismo, che è de-territorializzata e permanente, e che pone nuove sfide al giornalismo.

D'altra parte abbiamo l'uso delle immagini come fonte storica. Come autore di programmi storici Jerry Khuel insiste sul fatto che le immagini d'archivio devono essere contestualizzate. Denunciando una tendenza piuttosto diffusa nei documentari storici, egli precisa che non esistono filmati generici, utilizzabili per descrivere una categoria di eventi, perché essi sono stati girati in un luogo e una data precisi, e descrivono solo quell'evento. Quindi il commento, le parole, diventano fondamentali, insieme all'onestà intellettuale di chi prepara la trasmissione, che dovrebbe evitare la falsa informazione, i commenti generici e le immagini come puro sfondo.

Lorenza Servetti ci offre un excursus storico sull'uso delle immagini per raccontare le guerre. Già dalla seconda metà dell'Ottocento si fa strada l'idea che la fotografia fosse un mezzo eccezionale d'informazione. Già nella Grande Guerra riviste come "L'illustrazione italiana" davano ampio spazio ai reportage fotografici, anche se essi erano utilizzati con intenti retorici e non riprendevano ancora immagini cruente, né tantomeno i propri caduti. Una svolta nel rapporto tra giornalismo e guerra è stata la Guerra civile spagnola, seguita da fotoreporter eroici che rischiavano la vita per riprendere ogni aspetto della guerra, soprattutto l'evento simbolico, lo scoop: Robert Capa ne è uno dei maggiori simboli [si veda a questo proposito la banca dati tratta dal catalogo della mostra "Immagini Nemiche. La guerra civile spagnola e le sue rappresentazioni. 1936-1939" curata dall'IBC: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/h3/h3.exe/aspagna, ndr]. Questa mitizzazione ha il suo apice nella Seconda guerra mondiale, per arrivare a un declino negli anni Ottanta, quando, dopo un'apertura alla ricerca della sorpresa e del sensazionale (si pensi, ancora una volta, al Vietnam), la preponderanza del mezzo televisivo e l'invadenza della censura hanno attenuato l'impatto della fotografia come mezzo d'informazione.

Il saggio finale di Pierre Sorlin entra nel merito della trattazione di un evento esemplare, l'attacco dell'11 settembre 2001. Con pochissime immagini e informazioni, le televisioni occidentali dovevano riempire ore di trasmissione per non perdere audience, facendo scelte precise. Quella giornata è stata l'apice di un sistema che consiste nell'intrattenere il pubblico senza dargli in realtà nessuna informazione. La guerra è diventata esplicitamente spettacolo. E lo storico, come si pone di fronte a considerazioni così complesse, che hanno attraversato tutto il volume? Le routine produttive, la censura, la notiziabilità, il monopolio delle fonti, le aspettative del pubblico [...] lo storico si trova costretto a sciogliere questi nodi, per comprendere "come si diffonde, in una società che vive nel benessere e lotta contro ogni forma di dolore fisico, un fantasma di guerra al medesimo tempo terribile, apocalittico però pulito".

Completano il volume tre inserti fotografici: il primo contiene immagini del fondo "Dardi-Antonini", il secondo una scelta di foto prese da riviste illustrate, il terzo alcune istantanee del fotoamatore Vialli, ex ufficiale dell'esercito italiano.

La guerra in televisione. I conflitti moderni tra cronaca e storia, a cura di L. Cigognetti, L. Servetti, P. Sorlin, Venezia, Marsilio Editori, 2003, 140 p., Ç 15,00.

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