Rivista "IBC" XI, 2003, 1

pubblicazioni, storie e personaggi

G. A. Borciani, Il Quartetto Italiano, Reggio Emilia, Aliberti editore, 2002.
C'era una volta un quartetto

Luciano Serra
[studioso di letteratura italiana]

"Chi ben comincia_" suona l'inizio di un noto proverbio. Così è per il nuovo editore reggiano Francesco Aliberti (laureatosi a Bologna con una tesi su Pasolini) che ha messo a segno la prima opera mentre in cantiere ne stanno già prendendo vita altre affidate a insigni autori e studiosi. Si tratta della storia rigogliosa e stimolante del Quartetto Italiano, scritta dal musicologo Guido Alberto Borciani, fratello del violinista Paolo (1922-1985), il quale nel 1945 creò a Reggio Emilia il complesso che dal 1952 al 1977 ebbe la sua stagione più esaltante in ogni parte del mondo. Con Paolo erano il secondo violino Elisa Pegreffi, la viola Piero Farulli e il violoncellista Franco Rossi, che erano stati insieme allievi dell'Accademia Chigiana di Siena.

Il Quartetto, che inizialmente suonava a memoria senza spartito, tutto teso in un'estrema concentrazione di perfetto virtuosismo, mutò modo di suonare dopo l'incontro a Salisburgo nel 1951 con Wilhelm Furtwängler, il quale li convinse a dare libertà di respiro dinamico alla battuta. Duilio Courir, nella prefazione al libro, cita le parole di Elisa Pegreffi: "Noi abbiamo vissuto una crisi di quasi un anno dopo aver incontrato Furtwängler, perché avevamo compreso che la musica si faceva in un altro modo. E nel Quartetto brahmsiano ci accorgemmo di aver suonato come non fossimo più noi. Furtwängler ci aveva avvolti in quella sua poderosità intellettuale e ci aveva trascinati dove voleva lui. Nessuno poteva resistergli. La sua idea della musica è stata per noi una folgorazione, come se sotto di noi si fosse spalancato l'infinito".

Da allora fino all'ischemia che colpì Farulli nel 1977 (e fu l'anno in cui un disco del Quartetto fu inviato nello spazio entro il Voyager 2) la mirabile avventura venne vissuta in ogni continente e ebbe il suo culmine con l'esecuzione degli ultimi capolavori, prima di Mozart e infine di Schubert e di Beethoven. Scrive Guido Alberto Borciani: "Attraverso una concezione della musica come missione i quattro troveranno nelle impervie vette dell'ultimo Beethoven il punto di arrivo di una vita e i capolavori beethoveniani diventeranno nella loro interpretazione un punto di riferimento assoluto".

Impegnati musicalmente, i quattro lo furono anche civilmente, per dare un senso alla libertà umana: ad esempio nel 1975 rinunciarono ad una serie di concerti in Spagna perché Franco aveva fatto giustiziare con la garrota due oppositori politici, e denunciarono pubblicamente l'accaduto.

Al vivo e lucido testo italiano del libro (che rappresenta il primo elemento di una collana a cura di Alessandro Di Nuzzo) è stata affiancata la traduzione integrale inglese, secondo la felice idea di una divulgazione internazionale che verrà estesa anche ad altre pubblicazioni.

 

G. A. Borciani, Il Quartetto Italiano, Reggio Emilia, Aliberti editore, 2002, 157 p., Ç 14,90.

 

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