Rivista "IBC" XI, 2003, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / interventi, storie e personaggi
Si sono svolte il 17 e 18 gennaio 2002 a Venezia, promosse dal dipartimento di studi storici di Ca' Foscari ove ha per molti anni insegnato, le "giornate di studio su Marino Berengo storico", a poco più di un anno dalla scomparsa avvenuta il 3 agosto del 2000. Grazie al contributo di amici e di allievi come Rosario Villari, Giuseppe Ricuperati, Corrado Vivanti, Giorgio Chittolini, Mario Infelise, Giuseppe Del Torre, ecc., sono stati ripercorsi i vari filoni di ricerca battuti, spesso inaugurati, da Berengo, ricomponendone, in una visione a tutto tondo, il profilo scientifico e, sull'inevitabile filo dei ricordi, umano. In un clima in cui, grazie anche alle affettuose premure di Renata Segre e degli organizzatori, si è ricreato, come per magia, quello spirito di amichevole, profonda simpatia e comunicazione che Berengo sapeva così naturalmente suscitare attorno a sé e che Giuseppe Galasso ha tratteggiato con parole quanto mai evocatrici quando ha scritto del "compagno delizioso delle horae subsecivae, molto venezianamente allegro e spiritoso, pieno di risorse e di finezze sia nelle conversazioni del mestiere che in quelle di altro genere [...], un amico avaro nel concedere la sua amicizia, ma, quando accadeva, di commovente affidabilità, garbo, generosità e discrezione".
Del convegno veneziano qui non si vuole certo fare il resoconto. Attendiamo semmai di poter disporre degli atti che sono annunciati in tempi ravvicinati, da leggere possibilmente insieme con il volume dedicatogli a Lucca in occasione dei trent'anni dalla pubblicazione del suo Nobili e mercanti e con quello a lui offerto dagli allievi qualche mese prima della scomparsa (con la ricca, anche se non esaustiva bibliografia, curata da Del Torre). Intendo semplicemente riprendere, assai rapidamente peraltro, e senza alcuna pretesa di originalità, alcune delle tante e articolate riflessioni che sono state rivolte all'ultima fatica di Berengo, adempiendo così ad una sollecitazione che Rosaria Campioni (soprintendente per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna) da tempo mi aveva sottoposto e a cui, anche per l'ampiezza del tema, mi ero sottratto: quell'Europa delle città, uscito alla fine del 1999, che rappresenta il coronamento di una lunga, quasi trentennale ricerca. Un tema, la città con i suoi beni culturali, che è anche una componente essenziale del DNA dell'IBC. E che, sommata al legame profondo di Berengo con il mondo delle biblioteche e degli archivi, rende l'intervento in questa rivista non del tutto fuori luogo.
La ricerca di Berengo - egli stesso lo ricorda nell'introduzione, come al solito essenziale ma egualmente rivelatrice delle sue predilezioni - era stata avviata fin dal 1973 quando Alberto Caracciolo e Pasquale Villani lo avevano invitato a tenere la relazione introduttiva sulla città di antico regime per un congresso organizzato da "Quaderni storici" a Sorrento, ma che, a dire il vero, da tempo era al centro dei suoi interessi. Ha ricordato Elena Fasano che il tema della città "può oggi apparire quasi una scelta vocazionale nella produzione storiografica di Marino Berengo, ma non è stato il suo tema iniziale né quello di sempre". Il libro su Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento (1965), che può considerarsi, ancor prima del convegno campano citato, come la sua prima organica riflessione sul mondo urbano con la messa in campo di temi e sensibilità che lo accompagneranno poi costantemente, venne dopo lo studio su La società veneta alla fine del Settecento (1956), la raccolta Giornali veneziani del Settecento (1962), l'ampia ricerca su L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità (1963), per non fermarsi che sui lavori maggiori.
L'incontro con la città toscana, nato come tesi di perfezionamento sotto la guida dell'amato maestro Delio Cantimori e partito con un interesse concentrato al piano politico, sui rapporti cioè tra Lucca e Firenze, si era ben presto tanto allargato da guidarlo "verso la conoscenza complessiva della vita lucchese". È la scelta di campo definitiva per Berengo. L'interesse "che prende subito il sopravvento" è quello per la storia sociale. Un termine che nella introduzione alla nuova edizione del 1999 egli ripete con una frequenza insolita (ben quattro volte) nei suoi interventi, di norma così restii a formulare esplicitamente le proprie scelte metodologiche, ma non inaspettata per chi abbia avuto un poco di familiarità con lo studioso veneziano. Io stesso lo ricordo di ritorno da un convegno in cui un giovane studioso aveva affermato non essere stata la storia sociale mai realmente praticata in Italia. Marino aveva commentato divertito: "E io allora cosa ho fatto in questi trent'anni?", e si era soffermato sugli anni lucchesi e milanesi, sui vini locali, sui pici di Montepulciano... Una scelta che, si diceva, non rimane esclusiva di Berengo storico della città, ma che in effetti permea in profondità tutti i suoi filoni di ricerca, anche quelli apparentemente più lontani come la storia dell'agronomia (rileggiamo, ad esempio, le splendide pagine sul Tarello o il piccolo capolavoro su Africo Clementi). E che trova nell'Europa delle città la sua compiuta realizzazione.
"Quella che è emersa dalle mie letture è più una storia dei cittadini che non delle città", avverte immediatamente. Non solo per evitare una definizione della città, come ci dice, ma proprio perché lo spazio urbano è stato "il campo privilegiato della convivenza pubblica", dove "la quotidiana frequentazione degli uomini è stata più intensa e dove si sono necessariamente costituite le forme organizzative di una vita collettiva". Perché, insomma, le città hanno costituito uno degli elementi fondanti della civiltà occidentale. Tant'è che, se una definizione di città gli appare meno imprecisa, deve ricorrere a un concetto mutuato da Roberto S. Lopez (da lui intervistato nel 1984 per un libro della Laterza), il concetto (che allora non lo aveva del tutto convinto) secondo cui è l'autocoscienza, lo "stato d'animo" dei suoi abitanti a definire una città:
L'uomo che ha sentito circolare, nelle vie dove abitava e che giornalmente percorreva, l'aria della città e delle sue istituzioni, dalle corporazioni sino alle magistrature municipali e ai consigli, non ha avuto modo di sbagliare fosse un artigiano manuale e persino un domestico. O fosse un borgomastro, un giurato, un priore - a seconda del paese in cui abitava e della lingua che era solito parlare - sapeva con certezza in che tipo di insediamento si trovava a vivere.
Non dunque la taglia demografica, né i titoli giurisdizionali, né la forma urbis, e nemmeno le funzioni economiche sono in grado di definire una città. Anzi, lo spezzettamento della realtà urbana provocato dagli imperanti specialismi del demografo, del giurista, dell'urbanista, dell'economista, per Berengo hanno in realtà impedito di cogliere quel clima globale, quel respiro comune che permea le città europee e alla cui ricostruzione mira la sua fatica.
Appare immediatamente, anche dalla struttura del libro, come nel disegnare la società urbana europea l'attenzione di Berengo sia rivolta soprattutto alle forme del governo nelle città europee o, meglio, al concreto esercizio del potere (e dei poteri), alle lotte, alle alleanze, alle strategie che i diversi gruppi sociali perseguono per conquistarlo e affermarlo. E anche per difendersene quando si è costretti a subirlo (si veda il capitolo dedicato alle minoranze). Non è dunque tanto l'aspetto politico-istituzionale al centro del libro, ma l'analisi della stratificazione sociale, l'identità dei ceti sociali e dei gruppi professionali e la loro collocazione nel tessuto urbano, il loro peso politico, sociale, economico, culturale. Negli equilibri di volta in volta raggiunti e continuamente cangianti nel tempo e nello spazio, sia all'interno delle singole città sia nei legami con le forze esterne (il sovrano, il territorio rurale, la Chiesa, i signori feudali, ecc.) si definiscono la fisionomia della città capitale e di quelle suddite; il rapporto città-campagna e la formazione dei contadi nelle aree europee ove i centri urbani mantengono un forte controllo giurisdizionale, fiscale, economico sul loro hinterland; le modalità di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (assemblee, consigli, gilde, ecc.) e i connotati dei ceti dirigenti e, in particolare, dei patriziati e delle nobiltà, altro tema assai caro a Berengo; il mondo dei servizi, degli scambi, della produzione, indagato non tanto negli aspetti squisitamente economici, ma nell'organizzazione del lavoro, nella struttura corporativa, vista come "filo conduttore [_] per cogliere il ritmo quotidiano delle attività"; i ceti marginali (poveri, vagabondi, prostitute, carcerati), altra presenza peculiare del mondo urbano, al cui controllo sono rivolte non poche risorse e istituzioni cittadine; la Chiesa infine, nelle sue diverse espressioni (chierici e laici, il clero secolare, il clero regolare, i laici che hanno sostenuto un ruolo attivo nella gestione come membri di fabbricerie e confraternite, come beghine e begardi, come terziari degli ordini mendicanti_).
Il quadro che emerge è di un'ampiezza inusuale, e forse senza precedenti, sia per lo spazio geografico (dall'Atlantico e dal Mediterraneo al Baltico e al Danubio), sia per l'arco cronologico (dagli inizi del secolo XII alla metà del secolo XVII). Il percorso è solo apparentemente sincronico, come ha commentato Giorgio Chittolini nella recensione apparsa su "Storica" e nella magistrale relazione al convegno veneziano, e ci conduce in un viaggio affascinante nelle città europee. Ci troviamo in un attimo dai parlamenti di Francoforte e Digione alle università di Oxford e Padova, dai laboratori artigiani di Bruges, Ulma e Augusta ai fondaci di Venezia e Lione, dai bordelli di Tolosa e Coimbra alle carceri di Monaco e Siviglia_ Di ognuna ricostruisce le specificità e i cambiamenti nel tempo, il clima complessivo e le vicende storiche peculiari, rivelandoci anche affinità e divergenze che si nascondono dietro terminologie e lessici coevi spesso fuorvianti.
Un quadro alla cui ricomposizione ci viene in aiuto anche quel vero e proprio capitolo a sé stante che sono gli stupefacenti indici analitici, noto "pallino" di Berengo, curati da Renata Segre. Il tutto in uno sforzo comparativo attento a mettere in luce i singoli, determinati casi e lontano, programmaticamente e operativamente, dall'uso di modelli precostituiti, ma che non tralascia di "tirare le fila", a suo modo. Ecco così disegnarsi "una sorta di geografia delle aree urbane europee, contrassegnata, ad esempio, dalle regioni dei notai e da quelle dei cancellieri, dalle regioni in cui i gruppi umani sono articolati su base territoriale a quelle in cui prevalgono le identità professionali e corporative; quelle in cui nobiltà e patriziato sono profondamente intrecciati ad altre in cui il concetto di nobiltà è più rigido" (Chittolini).
La ricostruzione di un quadro così vasto e articolato impone a Berengo di abbandonare la ricerca sul campo e gli amati archivi per affidarsi anche alle ricerche di altri storici, in un lavoro che egli definisce, con il consueto understatement, di "compilazione". L'imponente bibliografia (pp. 891-968) si riferisce peraltro solamente alle opere citate, "e sempre consultate direttamente", ha tenuto a ribadire nella introduzione e anche nei colloqui privati; e dunque andrà soppesata forse con maggior attenzione la mancata presenza di autori e opere di rilievo (da Max Weber a Paul Bairoch, a Roger Mols, a Fernand Braudel) segnalata da alcuni commentatori. Ma se è stato costretto ad accantonare lo spoglio diretto delle fonti, egli ha ritrovato nella storia locale e negli storici che l'hanno praticata un ribadito motivo di piacere.
Anche sul tema del rapporto fra "storia locale" e "storia generale" egli aveva d'altronde convinzioni radicate e, come dire, controcorrente. Non lo convincevano le posizioni di studiosi anche a lui particolarmente vicini, che identificavano la storia locale con una pratica storiografica caratterizzata dagli angusti orizzonti problematici, povera di retroterra culturale. In una conferenza a Cesena nel 1982 egli aveva ripercorso le fasi attraverso le quali la storia locale aveva assunto questa connotazione negativa nel nostro paese e, pur in garbata polemica con il filone della microstoria, aveva ribadito con convinzione il valore dell'approccio territorialmente circoscritto, pressoché inevitabile, del resto, per ricerche sul versante economico e sociale. Insomma, vi potevano essere ricerche sul campo più o meno riuscite, altre del tutto fallimentari, prive di rigore e di uso critico delle fonti, ma non è il loro valore scientifico a rappresentare un criterio per distinguere se appartengano o meno al genere della storia locale.
Questa simpatia Berengo la ribadisce con forza anche nelle pagine dell'Europa delle città. Una simpatia che non è rivolta soltanto agli studiosi delle passate generazioni, ma si estende ai giovani cultori di storia, a cui il libro è dedicato e che sapevano di trovare in lui una guida di generosità e competenza non comuni, sempre pronta a indicare fonti, a discutere piste di ricerca, a commentarne i risultati, a favorire incontri, a incoraggiare nei momenti di sfiducia. Purché, ovviamente, egli ritenesse di avere di fronte un interlocutore animato dalla passione e armato di pazienza, onestà e rigore nel proprio lavoro. Anche in questo Berengo è stato un maestro, dando coerentemente sostanza all'alto valore civile che per lui aveva "il bellissimo mestiere degli studi storici", come partecipazione alla vita collettiva che egli ha ritrovato in quelle città europee alla cui conoscenza ci ha mirabilmente guidato.
Bibliografia
M. Berengo, La società veneta alla fine del '700. Ricerche storiche, Firenze, Sansoni, 1956.
Id., Giornali veneziani del Settecento, Milano, Feltrinelli, 1962.
Id., L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Milano, Banca Commerciale Italiana, 1963.
Id., Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1965 (nuova ed. 1999).
Id., Africo Clementi agronomo padovano del Cinquecento, in Miscellanea Augusto Campana, Padova, Antenore, 1981, pp. 27-69.
Id., L'Europa delle città. Il volto della società urbana tra medioevo ed età moderna, Torino, Einaudi, 1999.
G. Chittolini, L'Europa delle città secondo Marino Berengo, "Storica", 1999, 14, pp. 105-127.
E. Fasano Guarini, "L'Europa delle città" di Marino Berengo: l'opera e lo storico, "Società e Storia", 2001, 92, pp. 313-326.
R. S. Lopez, Intervista sulla città medioevale, a cura di M. Berengo, Roma-Bari, Laterza, 1984.
Per i trent'anni di "Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento". Giornata di studio in onore di Marino Berengo. Atti, Lucca, Comune di Lucca, 1998.
Per Marino Berengo. Studi degli allievi, a cura di L. Antonielli, C. Capra, M. Infelise, Milano, Franco Angeli, 2000.
C. Tarello, Ricordo d'agricoltura, a cura e con introduzione di M. Berengo, Torino, Einaudi, 1975.
Per un profilo biografico e scientifico di Marino Berengo si vedano le note, curate da Giuseppe Del Torre, nel sito internet http://helios.unive.it/~riccdst/sdv/storici/berengo/profiloberengo.htm, in cui sono segnalati anche vari interventi pubblicati in questi mesi sullo storico veneziano.
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