Rivista "IBC" XI, 2003, 1

musei e beni culturali / inchieste e interviste, storie e personaggi

Nell'autunno del 2002 l'Università di Bologna ha insignito della laurea honoris causa sir Denis Mahon, capostipite degli studi sulla pittura emiliana. Abbiamo approfittato dell'occasione per intervistarlo.
Per quattordici ghinee

Valeria Cicala
[IBC]

Qualche anno fa un giovane visitatore della Pinacoteca nazionale di Bologna mi raccontava che trovandosi davanti al quadro del Guercino La Madonna del Passero e restando a lungo a guardarlo, era stato avvicinato da un anziano signore, impeccabilmente vestito di grigio. Lo stesso che aveva già notato percorrere, disinvoltamente appoggiato a un bastone, le sale della Soprintendenza. Questi gli si era rivolto in un perfetto italiano, ma con inequivocabile accento anglosassone, per sapere se quel quadro lo interessasse in modo particolare. Alla risposta affermativa del ragazzo aveva manifestato viva soddisfazione perché, aveva spiegato, quel dipinto faceva parte della sua collezione, lo aveva acquistato a Londra, a un'asta nel 1946 per 14 ghinee! Nessuno in quegli anni ne capiva il valore. E ora lo aveva donato alla Pinacoteca di Bologna. Nel congedarsi, poi, si era presentato: sono Denis Mahon.

Il ragazzo era rimasto assai sorpreso e si era anche chiesto se tutto ciò fosse vero o se si fosse trovato semplicemente alla presenza di un arguto spirito britannico. Gli avevo confermato che si trattava proprio di sir Denis Mahon, nume tutelare del Seicento italiano, di casa a Bologna, ormai, da più di sessanta anni. L'Italia è la sua terza patria. La sua famiglia infatti è di origine irlandese, ma egli è nato a Londra. Si autodefinisce "un mediterraneo del nord". Il suo fondamentale lavoro Studies in Seicento Art and Theory fu pubblicato nel 1947. Il primo viaggio di studi in Italia è del 1933.

Questo gentiluomo, sempre in abito grigio e cravatta, ha attraversato il secolo scorso e con immutata energia e entusiasmo (ha compiuto novantadue anni) si è perfettamente acclimatato nel ventunesimo secolo. Ritiene che il nostro centro storico abbia resistito abbastanza bene alla modernità e sotto le due torri è ritornato anche nello scorso autunno, scendendo nell'albergo che lo ospita ormai da trent'anni a questa parte, per ricevere la laurea honoris causa in discipline dell'arte, musica e spettacolo per i suoi fondamentali studi su Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino e su tutta la scuola dei pittori "bolognesi" dai Carracci a Guido Reni, a cui si aggiungono le altrettanto preziose ricerche su Caravaggio e Poussin. La frequentazione di artisti del sedicesimo e diciassettesimo secolo, i viaggi continui per il mondo (con una forte predilezione, ovviamente, per l'Italia): tutto contribuisce a fare di sir Denis Mahon uno straordinario testimone del tempo, un anglosassone per tutte le stagioni.

Lo abbiamo incontrato nella pomeridiana e quieta centralità di un salotto in via D'Azeglio per "sorseggiare" un po' di Storia. Per condividere la lucida freschezza della sua lunga, affinata esperienza culturale. Per ricordare in modo vivido, mai banalmente emotivo, amici e maestri, più o meno recenti, con i quali ha incrociato la sua esistenza e che costituiscono tuttora parte fondante della storia dell'arte non solo italiana.

 

Quando è venuto in Italia per la prima volta sir Denis?

Sono venuto con i miei genitori, da ragazzo, e ho visto con ammirazione in Pinacoteca i quadri dei pittori "emiliani". Sono tornato nel 1933 per studiare seriamente quel periodo. Ero stato stimolato in quella direzione da uno studioso, un ebreo tedesco, Nikolaus Pevsner, che prima di insegnare a Londra, dove si affermò come grande critico di architettura, era stato assistente della Gemäldegalerie di Dresda e aveva scritto un libro pionieristico sui pittori italiani del Sei e del Settecento, potendo studiare direttamente la collezione di quadri dei principi della casa d'Este proveniente da Modena e conservata tuttora in quella Galleria.

Quando Pevsner arrivò in Inghilterra, il direttore del nuovo Istituto universitario d'arte, il primo creato a Londra, comprese il valore di questo personaggio e gli chiese un corso di lezioni su quei pittori. Io ero già laureato a Oxford, ma allora non c'era ancora un corso di laurea in storia dell'arte. Ho seguito le sue conferenze. Pevsner era un abile conoscitore, sapeva mettere in ordine e classificare; questo era importante per una persona che desiderasse capire il campo generale. Ma successivamente gli ho chiesto delle lezioni private e sono andato in giro per vedere i quadri. Poi l'ho interpellato perché mi consigliasse quale artista studiare. Mi suggerì il Guercino. E lo sto ancora studiando.

 

Lei costituisce un caso, non molto frequente, di studioso e insieme di collezionista: quando si è manifestata quest'altra vocazione?

Nel 1934. Allora sono diventato un collezionista: ho acquistato il mio primo Guercino. Dopo, la collezione è cresciuta, in anni in cui nessuno apprezzava gli artisti bolognesi e barocchi in generale. Più o meno fino alla fine degli anni Sessanta, è avvenuta una svolta e si è compreso quanto fossero importanti. I primi segnali sono giunti dall'America. La mia casa ormai era piena.

Desidero ricordare un episodio emblematico del cambiamento di gusto che si è verificato nei confronti di pittori come Guercino. Nel 1946 avevo potuto acquistare per quattordici ghinee (qualcosa meno di quindici sterline) La Madonna del Passero. La corretta attribuzione al Guercino in quegli anni ne diminuiva il valore! Un quadro che il soprintendente, ormai leggendario, Cesare Gnudi amava particolarmente. Qualche anno fa, per una mostra alla National Gallery di Londra, la garanzia dello Stato britannico per quel dipinto è stata di un milione di sterline, un po' più di un milione e mezzo di euro. Possiedo settantacinque quadri del Barocco italiano, con prevalenza di pittori emiliani. Soprattutto Guercino, Reni ma anche i Carracci. Con una preferenza per Annibale e Ludovico. Trovo meno interessante Agostino: è un buon incisore, ma non sapeva comporre, in generale è un po' pesante.

 

A Bologna quali sono stati gli incontri importanti?

Cesare Gnudi. L'incontro con lui è stato decisivo, trattandosi del Soprintendente. Ha capito subito che bisognava rivalutare le opere del Seicento. Pulire i quadri e poi metterli in esposizione per renderli accessibili al pubblico nel loro insieme. Abbiamo realizzato esposizioni di un certo impegno. Si è avviata così la stagione delle grandi mostre. La prima, per l'ambito che maggiormente mi coinvolge, nel 1954, su Guido Reni, poi nel 1956 quella sui Carracci. E poi ancora, nel 1962, "L'ideale classico del Seicento in Italia e la Pittura di Paesaggio", con una sezione dedicata a Nicolas Poussin. Per arrivare a quella che considero per Guercino una pietra miliare: l'esposizione monografica del 1968, che prende in considerazione tutta la sua produzione, sia la pittura che i disegni. E ancora un'altra manifestazione ricchissima di spunti e di riflessioni critiche fu dedicata a Guercino nel 1991 [sulla straordinaria stagione delle mostre bolognesi dagli anni Cinquanta al 2001 è fonte di ricchissima documentazione, anche fotografica, un bel volume, appena edito, a cura di Andrea Emiliani e Michela Scolaro: L'Arte, un universo di relazioni. Le mostre di Bologna 1950-2001, Milano, Skira Editore, 2002 - nda].

Andrea Emiliani, il delfino di Gnudi, ha continuato mirabilmente i progetti avviati: abbiamo collaborato a lungo. Penso alla mostra del '91, ma poi tanti altri episodi e amici comuni ci legano. Io faccio parte di un gruppo di studiosi che hanno lavorato assieme. L'ho fatto presente anche al Magnifico Rettore dell'Università più antica del mondo, il professor Calzolari, quando di recente mi è stata conferita la laurea, e mi piace ricordarli ancora: Luigi Salerno, Prisco Bagni, Barbara Ghelfi.

 

Sir Denis, lei è assai frequentemente in Italia, oltre a Bologna è facile incontrarla sia a Roma che a Venezia: immagino abbia sentito parlare della creazione di una società "Patrimonio dello Stato Spa" che comporterebbe seri rischi per i beni culturali del nostro paese: potrebbero essere messi in vendita per risanare il deficit economico...

Sì ho sentito. Si parla di vendere palazzi, beni immobili. Sono contrarissimo. Io posso parlare per quanto riguarda i quadri e sono dell'idea che vendere è sempre sbagliato. Quando le gallerie vendono sbagliano, non si guadagna molto da queste scelte.

In Inghilterra abbiamo corso qualche pericolo in questo senso, ma mi sono adoperato perché fosse introdotto nello statuto della National Gallery il divieto assoluto di vendere i quadri. Esiste anche una fondazione che aiuta i musei comprare quadri. Per esempio, molti dei miei sono attualmente in prestito permanente: dopo la mia morte apparterranno ai musei. La fondazione ha il compito di verificare che non sia venduto nulla della collezione in generale e che l'ingresso al museo sia libero. Che è, del resto, la politica della National Gallery e del consiglio dei trustees. Sebbene ci sia una legge che vieta la vendita, non mancano mai politici e burocrati molto stupidi che pensano di non elargire fondi alle gallerie ritenendo che possano vendere qualcosa del loro patrimonio per avere risorse economiche. Ecco: se si verificasse una situazione del genere la fondazione ritirerebbe i miei quadri. Il museo perderebbe un valore enorme di opere, si creerebbe un chiasso enorme. È un ottimo deterrente.

 

A proposito: lei ha destinato anche alla Pinacoteca di Bologna alcuni dei suoi quadri?

Sì, sette quadri. Sono già qui. In questo caso, visto che ho destinato tanti quadri a vari musei, è stato adottato un provvedimento ministeriale, relativo a queste opere. Sono partite come prestito temporaneo, ma ora sono state donate con una licenza di esportazione definitiva del ministro, annunciata nel parlamento britannico.

 

Con quali criteri ha scelto le opere da destinare a Bologna?

La Madonna del Passero piaceva tanto al mio caro amico Cesare Gnudi, non poteva dunque avere altra destinazione. C'è una Sibilla, sempre del Guercino, dipinta nel periodo in cui il maestro era impegnato a lavorare a Ferrara per il cardinal legato Serra: stava dipingendo il San Sebastiano, ma ebbe il permesso di realizzare quest'opera, molto probabilmente destinata a un parente (un pittore dilettante) del cardinale medesimo.

Ci sono poi due Guido Reni: uno molto giovanile, un rame, San Francesco confortato dalla musica dell'angelo; e una Sibilla che gli fu commissionata da monsignor Jacopo Altoviti che la donò al cardinale Giovan Carlo de' Medici. C'è poi un Annibale Carracci, un San Giovanni Battista immerso in un paesaggio. Ritengo che per la Pinacoteca di Bologna sia fondamentale avere questo quadro perché Annibale è un paesaggista molto importante per la storia. Ha inventato il paesaggio moderno, in un certo senso, e non ci sono molti quadri che documentino questo aspetto. Ho fatto acquistare alla Pinacoteca un piccolo schizzo, molto bello, un paesaggio di Annibale, ma non è la stessa cosa: è nelle grandi tele che emerge la sua novità.

C'è anche un piccolo Domenichino, un paesaggio con fiume e barche. Sono due, veramente. C'è un compagno; una storia lega questi due quadri. All'inizio dell'Ottocento comparvero insieme in un catalogo a Londra, ma furono venduti separatamente. Quando il secondo, una scena di caccia, è tornato sul mercato antiquario in Inghilterra ho detto all'allora ministro per i beni culturali Walter Veltroni di acquistarlo per la Pinacoteca di Bologna. Dal momento che il mio era destinato a questa sede museale, mi sembrava opportuno riunirli. E così è stato. Il ministro Veltroni ha dimostrato grande attenzione e cortesia. Il settimo quadro che ho donato ha invece un interesse prevalentemente storico più che artistico: si tratta di un ritratto del Guercino anziano copiato da un autoritratto, ma di mano di Benedetto Gennari, il nipote di Guercino.

 

Lei, sir Denis, è cresciuto in una delle capitali europee che hanno segnato svolte epocali nella storia della cultura e del costume; è stato contemporaneo di artisti, scrittori, intellettuali che hanno influenzato un intero secolo. Che spazio ha avuto tutto questo nella sua vita, come si è compenetrato con la sua esistenza di studioso e collezionista?

Vede, è necessario concentrarsi per avere qualche buon esito. Quando ero giovane coltivavo molto la passione per l'opera lirica. Ma poi bisogna selezionare. È così anche all'interno della propria disciplina. Nella storia dell'arte tra Seicento e Settecento, per esempio, ci sono centinaia di artisti, alcuni supremi altri abbastanza bravi: se si vuole andare a fondo è indispensabile scegliere. Per dare un contributo vero ci vuole una totale concentrazione.

 

I traguardi a cui è giunto sir Denis Mahon, non solo sul piano scientifico, non ammettono dubbi su questa scelta di metodo e su uno stile di vita, of course!

 

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