Rivista "IBC" X, 2002, 3
territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni, pubblicazioni
Chi nel luglio scorso si è trovato a visitare la mostra itinerante "L.R. 19/98 - La riqualificazione delle aree urbane in Emilia-Romagna", tenutasi presso la Mole Vanvitelliana di Ancona, avrà certo notato che oltre alle fotografie di Gabriele Basilico una parte degli spazi era dedicata all'esposizione di uno studio condotto dalla Regione Marche sull'archeologia industriale nel suo territorio. Intitolato Archeologia industriale nelle Marche. L'Architettura e curato da Alessia Monti e Paolo Brugè, il volume che raccoglie i risultati di questo studio è stato presentato in occasione dell'inaugurazione della mostra di Gabriele Basilico. Inutile dire che non si poteva trovare occasione migliore per presentarlo, sia perché i temi affrontati sono analoghi, sia perché in entrambi i casi è di fondamentale importanza il ruolo della Regione. L'idea di questo libro infatti si iscrive nel progetto regionale "Marche Museo Diffuso", il cui intento è "trasformare la regione in un unico vasto museo in cui i segni distribuiti sul territorio dalla vita e dal lavoro degli uomini costituiscono veri e propri sistemi museali tra loro integrati e sinergici".
La differenza tra i due tipi di approccio è però sostanziale: Gabriele Basilico fotografa luoghi di cui già esiste un progetto di recupero, mentre Alessia Monti e Paolo Brugè si occupano di tutti gli esempi notevoli di archeologia industriale della loro regione, indipendentemente dal futuro che è loro prospettato. È per questo motivo che, ad una prima scorsa, il volume può sembrare soltanto un aggiornato censimento delle ex fabbriche site in territorio marchigiano. È sufficiente tuttavia iniziare a leggere per comprendere che in realtà l'analisi degli autori è ben più approfondita di un semplice censimento e tocca questioni ancora vive, a cominciare dal dibattito sull'archeologia industriale: che cosa è l'archeologia industriale? Che cosa è definibile come archeologia industriale e che cosa invece è soltanto fabbrica? Che cosa, insomma, deve essere recuperato e che cosa può essere lasciato crollare?
Da questo primo approccio teorico e generale l'opera si concentra sul particolare, ossia sulla situazione del patrimonio industriale dismesso delle Marche. È questa seconda parte del volume quella che ha più le caratteristiche di un censimento: gli esempi più significativi di archeologia industriale sono qui suddivisi per tipologia produttiva, analizzati dal punto di vista morfologico e storico e documentati a uno a uno con fotografie, disegni e planimetrie. Scorrono davanti agli occhi di chi legge fornaci, cartiere, raffinerie di zolfo, filande, centrali idroelettriche, concerie e l'inquietante scheletro di cemento della ex-Montecatini - oggi Montedison - di Porto Recanati, ritratti dall'obiettivo attento di Paolo Brugè. Infine, la terza e ultima parte del libro è dedicata al cosiddetto recupero necessario e contiene, oltre a una serie di riflessioni sulla necessità del recupero e sul ruolo indispensabile degli enti locali, l'esame approfondito di alcuni tra gli interventi di recupero meglio riusciti.
Nella prefazione gli autori dichiaravano apertamente l'auspicio che l'opera fosse, "più che un censimento, il punto di partenza per un'esaustiva operazione di catalogazione da compiersi al più presto, pena la perdita di un patrimonio architettonico e culturale unico e irripetibile". Possiamo dire che questo primo obiettivo è stato raggiunto, il punto di partenza fissato. E ora che il primo passo è stato fatto, aspettiamo chi farà il secondo.
Archeologia industriale nelle Marche. L'Architettura, a cura di A. Monti, P. Brugè, Regione Marche - Assessorato alla cultura, servizio beni e attività culturali, Ancona, 2001, 176 p., s.i.p.
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