Rivista "IBC" X, 2002, 2

Dossier: Un'estate che ricomincia

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Una piazza, il fuoco e un racconto

Valerio Festi
[artista]

Da quasi vent'anni il mio lavoro è "fare festa" nel mondo, e cioè ideare, progettare e realizzare eventi ed esperienze di festa per le città del nostro tempo.

Ho iniziato nelle città medioevali, rinascimentali e barocche d'Italia, come Bologna, per proseguire in Europa e nel Mondo, fino in Giappone e in Cina.

Che cos'è la festa? Come diceva Roland Barthes, la festa è una visione nuova della realtà, un'esperienza dei sensi mai vista e mai vissuta prima. È il sole a mezzanotte, come recita un famoso haiku giapponese. È la sorpresa, lo stupore, l'emozione dell'inatteso e dell'incredibile, di accadimenti e coincidenze che vediamo di fronte a noi e viviamo insieme, come per incanto.

Che cosa ci vuole per fare una festa nuova? La festa di tradizione, in Italia, esiste ancora, ovunque e comunque. Laddove decade è utile l'intervento dei nuovi "facitori" di feste, che creano percorsi per il futuro. Laddove è ancora vitale, o vitalissima, l'intervento dello "straniero" è raramente utile, spesso inopportuno, a volte deleterio.

Parlando quindi di una festa "nuova" (o rivisitata): che cosa occorre, quali sono gli elementi per riuscire a comporla? Una piazza, la luce il fuoco e gli elementi naturali "artificiati", un racconto.

 

Una piazza

La piazza nelle culture arcaiche è lo spazio vuoto dove un narratore traccia a terra un cerchio in cui entra per raccontare una storia: primordi possibili di quello che più tardi sempre noi, uomini d'occidente, chiameremo teatro. Quindi, fin dall'origine e in senso fondante, la piazza è il luogo dell'incontro e del confronto. Il mondo viene elaborato, riletto, dibattuto in piazza. In piazza il mondo muta.

La festa si riappropria della piazza, del luogo in cui il confronto e l'autoriflessione di interi popoli è stato agito non solo come fatto politico - l'assemblea - ma come fatto rituale-religioso e laico, come fatto ludico, come fatto artistico. La piazza è il luogo dell'Assemblea ed è anche il luogo del teatro. Assemblea e teatro nascono nello stesso luogo in epoche contigue se non perfettamente sovrapponibili: la casualità è manifestatamente da escludere. Il teatro, del resto, è il luogo di autoriflessione di una comunità. Affermava Pasolini: "Gli uomini si sono accorti della realtà solo quando l'hanno rappresentata e nulla ha mai potuto rappresentarla meglio del teatro".

 

La luce, il fuoco e gli elementi naturali "artificiati"

Ora vorrei raccontarvi come sono arrivato a usare la luce, il fuoco e gli elementi come forma di festa.

L'uomo contempla la natura, il mondo e tutti gli esseri viventi, e comprende che la luce del sole, e insieme il calore del sole e dunque il fuoco, sono fonte di vita. Riti del fuoco e riti della luce - come gli incendi dei campi o delle foreste - si ripetono in tutte le culture: sono riti di passaggio da un'età all'altra, di fertilità per le donne, di crescita delle generazioni, sono riti agricoli che propiziano i buoni raccolti e scacciano pericoli di carestie, malattie ed epidemie, cataclismi ambientali a danno della terra_

Luce e fuoco danno la vita, prima di tutto. Ma luce e fuoco - e questo è il secondo passo nel percorso simbolico che lega l'uomo a questi due valori - possono anche rendere immortali. Dunque sono segni d'eternità, di perfezione, di assoluto e di trascendenza.

Forse il mito più bello della classicità ellenica ed europea è quello della Fenice, la creatura sublime così sensibile ai raggi del sole (cioè alla vita) da rimanerne bruciata; ma il fuoco che la brucia è ancora e di nuovo fuoco della vita, e così la Fenice continuamente muore e rinasce dalle sue ceneri.

Ora facciamo un salto molto lungo ai secoli del Rinascimento e del Barocco, quando soprattutto in Italia - paese di corti, principati e ducati - nacque e si sviluppò come una vera e propria disciplina artistica, nuovissima e originale, l'arte della festa. Ed è a queste "epoche splendide" della nostra tradizione artistica che il mio lavoro si è sempre ispirato. Nella festa, in un certo senso, si costruivano e si mostravano visioni, meraviglie, cose mai viste. Si sperimentava una nuova rappresentazione della realtà e della natura, a partire naturalmente dalla luce e dal fuoco, i simboli fondamentali della vita e del mondo. Possiamo dire che l'uomo "provava" un altro mondo - per finta, certo, ma non per gioco - e del resto è stato detto che nella festa "sperimentiamo il mondo, il mondo come vorremmo che fosse".

Se l'arte della festa è l'arte dello stupore, della meraviglia, della visione di un "altro mondo" (mai visto prima), questo stupore non può che partire da un artificio, una creazione e un'invenzione artistica sul mondo, sulla natura, sugli elementi. I grandi pittori usano tratti e colori; gli scultori bronzi o marmi; gli artisti della festa - che spesso erano maestri dell'arte come Leonardo, Brunelleschi o Bernini - usano la luce, il fuoco, l'acqua, la natura artificiata: sempre per rappresentare l'universo in una cosmogonia in cui l'uomo è al centro, e la natura viene scomposta e ricomposta in una nuovissima meraviglia.

Da questa tradizione sono partito. Nelle feste realizzate ai quattro angoli del mondo il fuoco, la luce, l'acqua, l'aria sono i soggetti primi delle mie realizzazioni. Attingendo al ricchissimo patrimonio della tradizione popolare - che ha mantenuto nei cromosomi del suo essere queste materie: il fuoco d'artificio, le luminarie, il volo dell'angelo, il gettito, l'infiorata... - ho cercato di mantenere viva la tradizione dell'artigianato artistico del nostro paese, innervandolo di nuova linfa.

E quindi il fuoco d'artificio viene composto in "concerti per pirotecnie barocche", riscoprendo tecniche costruttive seicentesche della pirotecnia, ma nel contempo ideando un metodo di temporizzazione del fuoco che consenta il sincrono tra la partitura musicale e la partitura pirotecnica. Il mio progetto sui fuochi d'artificio vuol riportare questa tecnica e questa tradizione così importante nell'ambito dell'arte della festa. Idealmente mi riferisco sempre al Rinascimento e al Barocco: ogni festa, ogni spettacolo di festa per me è una rappresentazione della natura e dei suoi elementi, dei simboli universali come la luce e il fuoco. Ed è l'occasione di concepire e realizzare ogni volta un'opera d'arte totale, ogni volta originale, inedita, mai vista: totale nell'essere un'opera visiva - con le forme, i disegni e i colori dei fuochi - e insieme un'opera sonora, con una "partitura" pirotecnica che si accorda perfettamente con i brani di musiche di repertorio o anche espressamente composte per l'occasione da maestri contemporanei, a volte eseguite dal vivo.

Quello fatto sui fuochi è un lavoro analogo a quello fatto sulle luminarie di tradizione, le sculture e architetture di luce della tradizione italiana. Recuperando, restaurando e ricomponendo le antiche luminarie della tradizione del nostro Sud, per i giorni di festa si costruisce, si monta e si accende una "nuova città", mai vista prima. L'arco di trionfo eretto per il passaggio del re, o per altri cortei e processioni illustri, diventa arcata e si moltiplica in quantità, a comporre una vera e propria galleria di luce che riempie il cielo di stelle.

È il trionfo dell'arte barocca fondata sull'illusione, sullo stupore e la meraviglia: un'altra visione della città - la visione della festa - prende forma, dimensione e colore aggiungendosi alla città "normale", di tutti i giorni. Quando questa visione s'accende è festa: è il sole a mezzanotte, è la notte che diventa giorno, è la luce che irrompe nel buio.

O ancora riprendendo, dalle cronache d'epoca, suggestioni leonardesche o progetti di Lorenzo il Magnifico, si compongono grandi "cosmogonie" che vedono protagonisti gli elementi: coreografie d'aria, d'acqua, di terra e di fuoco, con "macchine di spettacolo" che si muovono tra il pubblico e con un uso costante dell'altezza: in modo che gli spettatori restino, come diceva Calvino "a naso librato dietro al fischio". Vi ricordate la città di Zemrude? "È l'umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli [...]. Se ci cammini col mento sul petto [...] i tuoi sguardi s'impiglieranno rasoterra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia". Facciamo in modo che la città sia abitata da sogni.

 

Un racconto

Da queste brevi note discende che il più importante lavoro che sta cercando di compiere la mia compagnia è collegare la ricchissima storia italiana di "facitori di festa" alla cultura popolare e di nuovo alla "cultura alta", con Luciano Berio che compone per fuochi d'artificio, o Ludovico Einaudi che compone per il cammino sospeso di un funambolo, o Zubin Metha che dirige l'orchestra in una temperie infuocata di pirotecnie barocche.

Io credo che sia fondamentale per tutti i partecipanti alla festa riprendere a concepire l'uso dei simboli. Che ciascuno sappia il significato di ogni azione scenica, che sia edotto del "mistero" che la rappresentazione illustra. La rappresentazione festiva non può e non deve limitarsi ad essere una infilata di belle immagini; non può limitarsi a "far divertire" gli spettatori. Deve, se vuole rifondare la festa, dare di nuovo alla gente il "senso di appartenenza". Raccontare quindi una storia, una leggenda, un mito, che sia legato alla città.

Non dimenticherò mai la perfetta adesione dei cittadini di Kobe quando un grande allestimento di luci da me realizzato celebrò la "fine del tempo di lutto" dopo il terremoto che aveva devastato la città. O la reazione dei palermitani quando nel Festino di Santa Rosalia si tornò a parlar di peste, e il legame peste-ricostruzione fu letta come metafora evidente del presente. O l'adesione dei catanesi alla "Festa del Fuoco", celebrazione del loro Vulcano.

La gente ha bisogno di simboli: bisogna ricostruire l'arte del narrare. Un'arte comprensibile, di massa, ma capace di ridare appartenenza, e quindi "festa" ai partecipanti. Se si vuole tornare a "dare forma" alle città, a ripensarle come un corpo pulsante e vivo, il cui cuore è necessariamente la piazza, sappiamo che la festa può essere un grande strumento, un importante momento di riappropriazione da parte dei cittadini degli spazi abitualmente usati solo per il transito frettoloso e distratto.

Riprendere a guardare "dietro al fischio"; cogliere di nuovo l'armonia perfetta che ancora vive in tante piazze del nostro paese; tornare ad ascoltare storie che sembravano dimenticate; riannodare i legami di orgoglio e di appartenenza. A tutto questo la "nuova festa" può e vuole contribuire.

 

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