Rivista "IBC" XXVII, 2019, 3

Dossier: Il Sistema Museale Regionale

musei e beni culturali / leggi e politiche, progetti e realizzazioni

Introduzione di Vincenzo Santoro.
Un sistema a ”geometria variabile”

Vincenzo Santoro
[Responsabile Cultura e Turismo, ANCI]

Il progetto del Sistema Museale Regionale dell’Emilia–Romagna nasce per volontà di una Regione che, in termini di infrastrutture culturali e per investimenti come sistema territoriale complessivo, ha dimostrato l’efficacia di una visione strategica in grado di mettere a sistema le risorse disponibili e far dialogare le istituzioni, centrali e periferiche, competenti. L’incontro di avvio del sistema voluto dalla stessa Regione – il primo del suo genere – rappresenta pertanto, nella volontà programmatica di continuità temporale, un esempio da replicare anche in altre Regioni, in particolare per sostenere la fruizione culturale in aree del Paese più deboli.
Le riflessioni introdotte sono, infatti, opportunamente collocate nella fase di implementazione del percorso di avvio del processo di accreditamento, che, come noto, si può articolare in due modalità parallele: o attraverso l’accreditamento diretto dell’intero sistema regionale, oppure, nel caso in cui la Regione interessata non abbia costruito un proprio sistema di accreditamento, a livello delle singole strutture, che devono riferirsi direttamente al Ministero e al Comitato Nazionale. Un sistema a ‘geometria variabile’ – immaginato attraverso un lungo percorso di lavoro e approfondimento svolto dal Ministero con l’apporto di operatori ed esperti del settore museale, dell’ International Council of Museums (ICOM) Italia, delle Regioni e degli Enti locali – che punta al raggiungimento di standard qualitativi ai quali ogni luogo di cultura deve adeguarsi per poter entrare nel sistema nazionale.
I Comuni, in questa prospettiva, sono chiamati a svolgere un ruolo decisamente centrale, e l’ Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) ha sin dall’inizio sostenuto il percorso di definizione del sistema museale nazionale mirando a contenere, in particolare nella fase aurorale della riforma, l’eccessivo sbilanciamento a favore dei grandi attrattori nazionali che rischiava di compromettere, di fatto, il protagonismo dei territori e la valorizzazione del patrimonio culturale diffuso. Questo anche a causa delle persistenti difficoltà di costituzione e funzionamento dei poli museali regionali, interlocutori in teoria decisivi per i processi di valorizzazione del patrimonio culturale territoriale. Dai Comuni vengono evidenziate continuamente criticità a livello operativo: a chi deve rivolgersi un sindaco intenzionato a realizzare un progetto di valorizzazione territoriale che coinvolge dei beni statali? Certo, dovrebbe riferirsi al polo museale regionale di competenza, ma i segnali che ad oggi riceviamo, da nord a sud, non sono ancora soddisfacenti per quanto riguarda la capacità dei poli di svolgere questo ruolo.

L’Anci ha a suo tempo accolto con interesse e condiviso, insieme al sistema delle Regioni, la struttura della riforma Franceschini, sostenendo con fermezza la necessità del riconoscimento del principio di sussidiarietà, sia nella distribuzione delle funzioni tra le istituzioni pubbliche, sia nella regolazione dei rapporti tra queste ultime e i soggetti privati. Un sistema nazionale – che non può essere pensato come un sistema statale o centralizzato – per funzionare opportunamente deve essere in grado di valorizzare le esperienze dal basso, e questo sia a livello regionale sia a livello di organizzazione territoriale.
Il tema della definizione di un sistema museale che tenga nel giusto conto le istanze ‘di base’ si intreccia naturalmente col tema delle reti, come dimostra anche la Commissione per le reti museali e i sistemi territoriali, istituita con decreto del ministro Bonisoli allo scopo di tracciare linee guida per lo sviluppo di possibili strategie di collaborazione e cooperazione tra le istituzioni culturali pubbliche, quelle private e le realtà produttive territoriali, puntando all’aumento della fruibilità di tutti i siti culturali e alla connessione di tutti i luoghi di interesse culturale del Paese, valorizzando, soprattutto, i siti meno noti.
Nella gestione, inoltre, occorre sostenere e valorizzare come buone pratiche le migliori esperienze già in essere. Inoltre – dal momento in cui si chiede ai territori di fare uno sforzo, non solo per accreditarsi conformandosi ai livelli uniformi di qualità (LUQ), ma per migliorare le proprie ‘prestazioni’, investendo quindi, per passare da un livello minimo di requisiti richiesti a un livello superiore – occorrerà preoccuparsi di rendere praticabili simili sforzi, in un momento così delicato per le finanze pubbliche; questione generale, ma che assume particolare rilievo relativamente alle strutture più deboli e ai luoghi culturali dei piccoli Comuni, soprattutto nelle aree disagiate.
In questo contesto occorrerà tenere presente che una delle principali criticità di tale progetto è rappresentata dal problema del personale coinvolto sul tema della cultura, perché lo strozzamento delle piante organiche, il blocco del turn over e le difficoltà di bilancio stanno comportando un progressivo depauperamento dell’organico dei musei, e aggiungerei anche delle biblioteche. Occorre con urgenza un piano per il rafforzamento, in termini numerici e di competenze, del personale addetto alla gestione del patrimonio culturale. Il dato attuale è che ci sono molti più turisti e frequentatori di musei ma molti meno operatori, a prescindere dall’inquadramento. È chiaro che così il sistema non può reggere.
Per raggiungere gli ambiziosi risultati che ci si propone, occorrerà dunque investire decisamente nel settore dei musei, mettendo a sistema nuovi, significativi interventi statali con le risorse di finanziamento e sostegno che le Regioni – alcune più di altre, ma in generale il sistema territoriale – già attivano. Il luogo dove definire e coordinare queste politiche, recependo anche lo spirito profondo del Titolo V della Costituzione, potrebbe essere la Conferenza unificata, che sarebbe interessante venisse utilizzata, almeno sui beni culturali, come strumento di programmazione, attraverso il quale metterea sistema linee guida condivise e risorse.

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