Rivista "IBC" XXVI, 2018, 4
biblioteche e archivi / mostre e rassegne, storie e personaggi
“Quando verrà l’occasione di un bilancio dell’ultimo mezzo secolo di editoria, sarà bene mettere a fuoco la figura di questa personalità poco avvezza al proscenio, ma capace di svolgere dietro le quinte un lavoro di eccezionale qualità, con una dedizione accanita e la convinzione che ciò che conta nella cultura non è lo show system, ma il catalogo, i programmi, le idee”: così ebbe a scrivere Edmondo Berselli quando dieci anni fa, il 4 ottobre 2008, Giovanni Evangelisti, per oltre quattro decenni direttore editoriale e amministratore delegato del Mulino, improvvisamente scomparve.
Berselli, anche lui “mulinista” di lungo corso, aveva avuto modo di conoscere bene Evangelisti. Del resto, chiunque frequentasse un po’ la casa editrice capiva rapidamente che si trattava di un personaggio unico. Esuberante ma anche molto timido, autoritario ma anche attentissimo a rispettare le prerogative di un gruppo che agiva collettivamente, fra gli intellettuali giocava il ruolo di Sancio Panza, anche un po’ gigione, ma per spifferi si intravedeva che quanto a cultura si mangiava molti di loro. Guardando indietro in prospettiva, occorre riconoscere che dopo il primo decennio eroico la vera nascita del Mulino come realtà editoriale di qualche peso è associata indissolubilmente al nome di Giovanni Evangelisti.
L’occasione se non del bilancio che auspicava Berselli, quanto meno di una riflessione sulla figura di Giovanni Evangelisti è venuta nella ricorrenza del decennale della morte da un’iniziativa congiunta della Biblioteca dell’Archiginnasio e del Mulino realizzata il 2 ottobre scorso per presentare alla cittadinanza il fondo librario che la famiglia Evangelisti ha donato alla Biblioteca: 11.479 volumi e 146 testate di riviste che peraltro costituiscono solo una parte della cospicua biblioteca che Evangelisti aveva riunito in casa, oltre ventimila volumi tutti debitamente ordinati e catalogati. L’incontro, svolto nella sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio, era intitolato appunto La biblioteca di un editore. La donazione Giovanni Evangelisti all’Archiginnasio. Vi hanno preso la parola Anna Manfron, direttrice dell’Istituzione Biblioteche del Comune di Bologna, chi scrive per la Fondazione Biblioteca del Mulino, Francesco Evangelisti in nome della famiglia, e infine Romano Prodi, già presidente del consiglio di amministrazione del Mulino (1974-78) e amico dei più stretti di Evangelisti. (L’intero incontro è visibile su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=980c5om3Lx8&list=PLmnXYvPJLngiFIfxYBhXU1b-jVkXVms2w&index=12). Lo stesso 2 ottobre è stata anche aperta nelle bacheche del quadriloggiato dell’Archiginnasio una piccola mostra documentaria realizzata dalla Biblioteca del Mulino su Le origini del Mulino 1951-1964, primo segno di un lavoro di ordinamento e inventariazione dell’archivio dell’editrice che il Mulino ha intrapreso per onorare il ricordo di Evangelisti e che si è avviato grazie a un primo finanziamento regionale nel quadro della legge regionale n. 3 del 2016 “Memoria del Novecento. Promozione e sostegno alle attività di valorizzazione della storia del Novecento in Emilia-Romagna”.
Il periodo scelto per la mostra corrisponde alla prima fase del Mulino, che nasce il 25 aprile 1951 come rivista quindicinale “di informazione e vita culturale e universitaria” animata da un gruppo di giovani pressoché neolaureati sotto l’egida di un mecenate, Giorgio Barbieri, proprietario del “Resto del Carlino”, poi prosegue come rivista mensile cui nel giugno del 1954 si aggiungono una casa editrice e poco dopo un’associazione incaricata di ricerche politiche e sociali (che dal 1965 sarà l’Istituto Cattaneo). È un periodo che disegna le linee guida lungo cui si muoverà il Mulino nei decenni successivi e per molti versi tuttora si muove e che si conclude nel 1964 con la rottura fra i giovani del Mulino e la proprietà, che decide di ritirarsi. È allora, con la decisione dei “mulinisti” di assumere in prima persona la proprietà, che comincia una nuova storia del Mulino. Il primo decennio era stata una fase ancora in larga parte artigianale, quasi un’occupazione del tempo libero per i redattori, ormai in buona parte indirizzati in carriere universitarie. Ora il gioco si faceva duro: ed Evangelisti cominciò a giocare. La mostra si arrestava appunto qui, alla seconda nascita del Mulino, febbraio 1965, quando il consiglio d’amministrazione espresso dalla nuova proprietà nomina Luigi Pedrazzi presidente e Giovanni Evangelisti consigliere delegato.
Non si può fare a meno di rilevare, naturalmente, la stranezza di una mostra realizzata in omaggio a Evangelisti che terminava di fatto alle soglie del suo pieno impegno nell’editrice; ma sarebbe stato velleitario mirare a raccontare in una dozzina di bacheche l’intera storia del Mulino. E lo stesso Evangelisti amava rifarsi di frequente nei suoi racconti a quegli anni di fondazione cui aveva partecipato solo dal 1961, lui che era di cinque o sei anni più giovane dei fondatori.
Non c’è dubbio che gli studi fatti a Scienze politiche a Firenze e la tesi di laurea dedicata a Problemi connessi alla ripresa degli studi sociologici in Italia facessero di Evangelisti un lettore più che attento a quanto il Mulino, rivista e casa editrice, veniva pubblicando in quegli anni; e probabilmente una contiguità fra l’ambiente dello scoutismo, in cui era allora impegnato, e l’ala cattolica del Mulino rese più facile l’incontro, che si tradusse in una rapida cooptazione di Evangelisti fra i collaboratori dell’editrice; nel 1961-62, quasi continuazione pratica dei suoi studi, redasse da solo un “Bollettino delle ricerche sociali” (la mostra ne esponeva i fascicoli vestiti dalla grafica elegantissima di Claudio Tassinari), poi fu parte dell’”équipe direttiva e di ricerca” del grande progetto sulla partecipazione politica in Italia. E venne assunto in pianta stabile nel 1962.
Se le tappe lavorative di Evangelisti, l’impronta da lui lasciata sul Mulino, le grandi linee delle sue opzioni culturali sono abbastanza conosciute, rimane elusivo il profilo di un uomo in realtà profondamente riservato sulla sfera delle passioni letterarie e culturali più personali. Da accenni quasi imbarazzati emergevano ogni tanto predilezioni come Il piccolo principe, oppure i diari di Gide; poteva capitare a qualcuno di noi, in un viaggio verso Roma un mercoledì delle ceneri, che estraesse dalla borsa le opere di Eliot e leggesse qualche verso del poema omonimo; disse che lo faceva ogni anno per la ricorrenza. Un’esile traccia l’abbiamo ora nell’intelligente intervento del figlio Francesco all’Archiginnasio, che ha commentato un unico scaffale della biblioteca paterna (scaffale 1, colonna 1), dove si trovava riunita in un muto ma evidente tracciato autobiografico una cinquantina di volumi: dai libri sullo scoutismo alle poesie di Catullo, da Saint-Exupéry a Buzzati e Arpino, dai libri sul Mulino e sulla cultura del dopoguerra ai libri sui libri e a quelli sui cimiteri. Editore fino in fondo, anche per parlare di sé aveva scelto la via del catalogo.
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