Rivista "IBC" XXVI, 2018, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni
Per chi abita città stratificate e centri di lunga durata che hanno alle spalle secoli di storia è difficile immaginare la miriade di insediamenti scomparsi, una volta giunto a termine il loro ciclo vitale, senza lasciare quasi nessuna percepibile traccia di sé. Eppure tutta l’Emilia-Romagna è costellata di casi del genere, di complessi insediativi maggiori o minori, molti dei quali risalenti al periodo medievale, che la cessazione di funzioni ha sospinto in un oblio pressoché totale.
Sollevare il velo che ammanta questo passato significa in primo luogo nutrire amore e interesse per la propria terra e per le sue reliquie testimoniali, elementi sostanziali delle vicende e dell’identità della collettività di appartenenza. È ad associazioni come il Gruppo Storico e il Circolo Naturalistico novesi e il Gruppo Archeologico Carpigiano che va riconosciuto il merito di materializzare quest’amore attraverso ricognizioni sul campo, ricerche negli archivi, riletture di documenti, interpretazioni di segni e tracce iscritti nel terreno, il cui portato finale è restituzione, rinascita di una parte insostituibile della storia comune, pietra fondativa di un’anastilosi orientata non a ricomporre i pezzi di una qualsiasi struttura, ma gli aspetti temporali e tangibili di una comunità, come quella fiorita fra IX secolo e metà del Trecento nella pianura modenese, nel cuore del territorio di Novi.
Prima vicus – il Vicolongo delle fonti – d’impianto sostanzialmente nuovo ma radicato in un quadrante territoriale in precedenza fortemente romanizzato, poi trasformato in realtà stratificata e divenuto castrum di S. Stefano, pienamente partecipe del fenomeno dell’incastellamento caratterizzante la zona padana durante il Medioevo, grazie a una serie di indagini e di saggi esplorativi il sito ha rivelato la sua fisionomia e la sua quotidianità.
Dal lavoro interdisciplinare di molti - le Associazioni citate, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, l’Università di Modena e Reggio Emilia - ha preso così forma la mostra “In loco dicitur Vicolongo. L’insediamento medievale di Santo Stefano a Novi di Modena”. Nell’esaustivo catalogo che la correda, inserito nelle collane del Gruppo Studi della Bassa Modenese e curato da Sara Campagnari, Mauro Librenti, Francesca Foroni, a una rivisitazione dei passi salienti che hanno condotto alla scoperta e alla tutela dell’evidenza insediativa si affianca la minuziosa disanima sotto diverse angolature scientifiche utili a definirne peculiarità strutturali e organizzative, composizione della cultura materiale, aspetti archeobiologici. La messa a fuoco dell’origine e del significato del castrum è stata poi affidata a una serie di saggi e riflessioni che, prendendo le mosse dai prodromi d’epoca romana e dalla nascita dei siti fortificati nell’evoluzione storica dei secoli medievali, ne tratteggiano in pienezza il ruolo all’interno dell’organizzazione territoriale e dell’assetto organizzativo che ebbero nei castelli e nelle pievi i protagonisti assoluti.
La riscoperta e la valorizzazione di S. Stefano di Vicolongo rappresentano uno dei modelli operativi eccellenti che l’archeologia del Medioevo è stata capace di mettere a punto in una regione come la nostra, teatro proprio delle prime indagini scientifiche concentrate in questo spazio temporale, per molto tempo rimasto silente e sconosciuto. Grazie a simili modelli l’Emilia-Romagna si è vista riconsegnare una dimensione storica che sembrava - ma non era! - in gran parte perduta.
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