Rivista "IBC" XXVI, 2018, 3
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È davvero coinvolgente e, quasi, contagioso l’entusiasmo manifestato da Claretta Ferrarini, che senza tema di smentite può essere definita come “la signora del dialetto borghigiano”. Ormai lei vanta una importante carriera editoriale alle spalle, rilevante, più che a livello quantitativo, sotto il profilo della politica culturale perseguita. Infatti, traduzioni di testi veterotestamentari (la Genesi) e neotestamentari ( Vangeli e Atti degli apostoli), due opere sulla cucina locale, una raccolta di modi di dire e filastrocche e uno strumento di analisi lessicale come il dizionario etimologico del borghigiano rappresentano un contributo finora ineguagliato alla conoscenza e alla valorizzazione del vernacolo fidentino. Contributo alla conoscenza e alla valorizzazione certo, ma anche e soprattutto alla sua salvaguardia, perché il dialetto, quanto più viene praticato nelle forme della lettura, della scrittura e, a maggior ragione, della conversazione, tanto più viene posto al riparo dalla minaccia silenziosa dell’oblio. Come Claretta Ferrarini si premura di evidenziare in più di una occasione, il dialetto dei suoi antenati è il dialetto intramurario di Fidenza, lo strumento quotidianamente adoperato dalla comunità urbana fino a pochi decenni fa e, oggigiorno, la sua identità e integrità devono essere protette da una molteplicità di fattori disgreganti che concorrono alla sua estinzione.
La bon’na növa, pubblicata circa alla metà del decennio scorso, propone ‒ preceduta da succinte note introduttive ‒ la parola neotestamentaria nel dialetto di Borgo San Donnino (toponimo che, in omaggio al santo patrono locale, ha sostituito, dal secolo X fino al 1927, il romano Fidentia). La parola di Gesù si arricchisce così di nuove suggestioni e coloriture, si offre più immediata, più “vera” al borghigiano; va sottolineata l’operazione di salvaguardia di un patrimonio linguistico che questo atto traduttivo comporta e che, quantunque non fosse probabilmente il primo degli scopi prefissati dall’autrice, assume una rilevanza straordinaria se calata in una prospettiva temporale di lungo termine. La studiosa ci apre poi le porte del suo laboratorio di traduzione condividendo alcuni passaggi critici e le soluzioni da lei scelte: si tratta di atti interpretativi che, al di là della loro intrinseca bontà, restituiscono tutta la difficoltà o, ancor meglio, la complessità dello sforzo di trasposizione di testi scritturali, mediorientali, nell’orizzonte esistenziale e culturale di un paese della Bassa Padana. Rileva poi il fatto che l’autrice evidenzi una linea di continuità tra l’aramaico, parlato da Gesù, nella Galilea di due millenni fa e il borghigiano dei nostri tempi: entrambe lingue del popolo, periferiche rispetto ai centri decisionali delle rispettive società.
Se – a quanto ci consta – prima della signora Ferrarini nessuno si era mai cimentato in uno sforzo di traduzione della Bibbia nel dialetto fidentino paragonabile a questo, la stessa riflessione coinvolge anche il suo dizionario etimologico, che, frutto di circa un trentennio di lavoro quasi del tutto “in solitaria” ‒nonostante lei dichiari di avere cercato a più riprese “compagni di viaggio” per questa impresa ‒, offre una chiave interpretativa tridimensionale all’amato vernacolo, con attenzione appunto alla prospettiva diacronica come prevede un dizionario di questo tipo. Qui il fidentino si trova a confrontarsi con le lingue classiche del latino e del greco, ma anche con altre lingue indoeuropee antiche e moderne e pure con idiomi forse peri-indoeuropei come il ligure. Il confronto presuppone il riconoscimento al borghigiano di una dignità pari a quella degli altri idiomi e dialetti: questo è l’obiettivo primario che si pone la studiosa, dispiaciuta del fatto che il suo dialetto, fino a tempi molto recenti, non abbia potuto godere di una tradizione letteraria o di studi glottologici, perché nel corso dei secoli passati non ci sono stati mecenati in grado di sostenere finanziariamente simili lavori di scrittura e di ricerca.
Auguriamo a Claretta Ferrarini di poter continuare ancora per molto tempo questa attività meritoria nei confronti del dialetto e della cultura fidentini, perché non vada disperso uno degli innumerevoli tesori locali di cui può ancora (fino a quando?...) fregiarsi l’Italia.
Volumi:
La bon’na növa, 4 Vangeli e Atti degli Apostoli, tradotti in vernacolo borghigiano da Claretta Ferrarini, s.l., [2005].
Claretta Ferrarini,
Dizionario Etimologico Borghigiano, Toriazzi, Parma 2016.
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