Rivista "IBC" XXVI, 2018, 3
biblioteche e archivi / pubblicazioni
Laurea in pedagogia all’Università di Bologna, una carriera di insegnante alle scuole elementari e, una volta in pensione, volontariato presso la biblioteca locale e pubblicazioni sulla storia della propria comunità. Questo, in pochi tratti, il profilo di Armanda Capucci (1940), che ha dedicato un libro alla memoria della sua infanzia negli anni tragici della seconda guerra mondiale, che videro lei e il piccolo centro di Sant’Agata sul Santerno costretti ad affrontare pene e tribolazioni quotidiane sotto l’occupazione tedesca dal 1943 al 1945 e, poi, al tempo della grande offensiva aerea degli Alleati che avrebbe liberato il paese.
Un’opera che rientra nel filone della memorialistica novecentesca, interessata alle ripercussioni del secondo conflitto mondiale sul vissuto del singolo e della collettività. Il testo mostra un respiro narrativo ampio e un ritmo quasi brioso. La vita pulsa fortissima anche sotto le bombe, anzi rivela un’intensità perfino maggiore. Non esiste alcun intento retorico né voce di parte che ordini e diriga gli avvenimenti descritti. Il racconto omodiegetico traspone sulla pagina un intreccio di vicende e vicissitudini che connotarono i mesi funesti dall’8 settembre 1943 al 12 aprile 1945, giorno della liberazione di Sant’Agata sul Santerno. È un affresco mobilissimo, che deve la grande dinamicità interna alla giustapposizione di tanti quadri quanti sono i capitoli del libro, ciascuno dei quali palesa un’autonomia tale da consentirne una lettura autonoma e svincolata dal resto.
La drammaticità della guerra è il leit-motiv di ogni capitolo. La descrizione meticolosa dei luoghi, dell’ubicazione delle diverse case rispetto al fiume Santerno e alla vicina Massa Lombarda e il binomio oppositivo casa/campagna permettono di seguire nei diversi movimenti, talora di gioia, talaltra ‒più spesso‒ di paura se non di terrore, i personaggi in azione su questo fazzoletto di terra che rappresentava per i suoi abitanti il mondo: atteggiamento che, in fondo, contraddistingue da sempre l’umanità intera.
La Capucci guarda e interpreta gli accadimenti da una duplice angolatura: quella di bambina di 4-5 anni la cui memoria è andata svanendo con i decenni, e quella di adulta che può, grazie a ricerche e a colloqui con testimoni superstiti di quell’epoca, completare o, almeno, arricchire la memoria della bambina di quasi 80 anni prima. Il volume mostra in fondo un’appendice storica che raccoglie contributi sparsi e articoli precedentemente pubblicati. Questa sezione finale conferma che il recupero di un passato tanto terribile quanto vicino a noi da parte dell’autrice è passato ‒ come è bene che sia ‒ non solo per le vie della ricostruzione a partire dai propri ricordi e da fonti orali ma anche da ricerche d’archivio che offrono una base solida alle riflessioni e congetture.
Nell’opera il dialetto riveste un ruolo particolare: non è il codice comunicativo che informi di sé l’opera, appare piuttosto come il controcanto popolare, “vero” delle storie, come se il libro fosse stato scritto in italiano ma l’autrice volesse fare emergere, appena se ne presentasse l’occasione, il volto autentico delle cose, dei fatti e delle persone. Sembra che l’autrice abbia voluto affidare all’italiano, lingua ufficiale e nota a tutti i suoi possibili lettori, il racconto di queste vicende, ben conscia, però, del fatto che queste vicende avessero avuto luogo solo in dialetto (per riprendere il poeta Raffaello Baldini) e, pertanto, se ne dovesse tramandare almeno un’eco.
L’opera, nel momento in cui si volta indietro verso il passato e lo scruta, cerca di decifrarne i segni, le movenze e le ragioni implicite, profonde. Aliena da pregiudizi e spiriti partigiani, giudica i personaggi presentati tramite i loro gesti e le loro parole. Inoltre, interroga il futuro prossimo, l’immediato dopoguerra, costellato di incertezze e di sussulti di panico, al cui orizzonte si intravvede lontana la voglia di serenità e pace.
Volume:
Armanda Capucci,
Una babéna e la gvëra. Una bambina e la guerra, Edizioni Stear, Ravenna, 2017
Azioni sul documento