Rivista "IBC" XXVI, 2018, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne

Gli scatti di Enrico Pasquali raccontano il cambiamento e i segni del progresso.
Reporter della bonifica

Mario Cerè
[IBC]

“Vedere, quando il nostro occhio si modella su quello sapiente e intenso di Enrico Pasquali, può essere anche un modo per non dimenticare, per prendere coscienza, nel nudo linguaggio delle cose, delle radici su cui si costruisce una identità profonda il nostro vivere civile”.

Ezio Raimondi, Enrico Pasquali Fotografo, Crespellano (Bo), 1995

Enrico Pasquali, un autodidatta, un contadino neorealista, come ebbe a definirlo Renzo Renzi ( 1), che di certo sarebbe piaciuto a John Berger. In Capire una fotografia, Berger ricorda: “Di fatto ogni fotografia è un mezzo per verificare, confermare e costruire una visione totale della realtà. Da qui il ruolo cruciale della fotografia nella lotta ideologica.” ( 2)
Nella prosa di Pasquali non c’è alcun vano lamento contro il corso del mondo. Pasquali non denuncia: vuole capire, vuole descrivere e documentare. Il suo sguardo intreccia la storia, l’antropologia, la sociologia, il tempo narrato e il tempo storico facendoci intuire che c’è sempre un mondo dentro al mondo o sotto al mondo e ci invita a guardare di più e guardare meglio, come ci ha insegnato Berger.

Le persone che fotografa si fidano di lui: gli hanno permesso di entrare nella loro profonda intimità perché lo sentono uno di loro. Per questo interpreta così bene quell’esperienza. Ciò è particolarmente evidente nelle immagini dei corpi induriti dal lavoro dei braccianti, dei contadini, delle mondine e degli scioperanti, dove emerge eloquentemente “il nesso tra la persona e il lavoro”. ( 3)
Valgano ad esempio le sue straordinarie foto dei lavori eseguiti durante lo Sciopero a rovescia per l’inalveamento del fiume Idice, a Sant’Antonio di Medicina del 1951, potrebbero accompagnare l’aforisma di Pier Paolo Pasolini “Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone” .

Dice di lui, Andrea Emiliani: “Credo di poter dire che Pasquali, pur rientrando a buon diritto nel gruppo dei fotografi nati e vissuti nella stagione culturale che chiamerei antropologica (Monti per le forme paesaggistiche, Paul Strand per la comunità della ricca pianura, Berengo Gardin per l’emersione del moderno dall’antico, ecc.), fosse animato - fin dallo scatto iniziale - dalla volontà di garantire alla vita misera, alla quotidianità dei poveri, alla dettagliata immagine dei silenziosi straccioni, della fatica e del freddo delle donne nell’incredibile scena della cucina rurale, un momento, un momento solo, di commemorazione politica. A essere sinceri, si avverte bene che nella sua vita di reporter ideologico, la scena dell’agitazione operaia come anche la raccolta arruffata del comizio sindacale-adunata sotto la fungaia dei poveri ombrelli squinternati - avesse un compito storico per la storia stessa del movimento bracciantile o contadino. Erano ancora, nel dopoguerra inquieto, le rime gridate degli “scariolanti” che facevano tornare in lui una massiccia, grandiosa epopea di immagini che Camere del Lavoro e giornalismo libertario gli avevano fatto accumulare nello sguardo”.( 4

La profonda empatia che Pasquali ha saputo instaurare con la gente di campagna, non la si trova allo stesso modo negli scatti fotografici delle maestranze, dei progettisti, dei tecnici che lavorano nei cantieri del Canale Emiliano Romagnolo. Quando Pasquali osserva e documenta il cambiamento epocale impresso agli interventi di bonifica, pare voglia mutare il proprio dispositivo mentale, spostando lo sguardo sui segni del progresso ( 5) per riflettere sul concetto di modernità e sulla volontà di cambiare il mondo.

Anche se viene annoverato tra i fotografi neorealisti, lui avverte: “In fotografia non si utilizzava la parola neorealismo perché non interessava; l’importante era parlare dell’Italia che doveva cambiare. Io fotografavo quello che mi trasmetteva più forza, poi buttavo le foto in un cassetto, e se le ritiravo fuori significava che avevano qualcosa da dire. […] I miei compagni facevano un neorealismo diverso, volevano lasciare il mondo così com’era, non interessava loro il cambiarlo, ma indicarlo. Per questo le mie foto le chiedevano i sindacati, non perché vi fosse in esse qualcosa di scritto, ma perché parlavano da sole.”( 6)

Basterebbe questo per dire quanto stretta sia la definizione di “fotografo neorealista” che gli hanno affibbiato, seppur cordialmente.
Le fotografie diventano per Pasquali un sistema di pensiero, un modo per riflettere sul mondo e sulla realtà che lo circonda. Usa il mezzo fotografico come strumento di impegno politico, documentando i fatti del suo tempo con passione e profonda poetica. Basti pensare alle innumerevoli immagini della grandissima mobilitazione civile impressa, in quegli anni, dal Piano del Lavoro della CGIL di Di Vittorio. ( 7)

Prima di entrare nel vivo degli scatti realizzati da Pasquali, tra gli anni ’50 e ’80, sui cantieri del lungo fiume artificiale, che ha modificato profondamente il rapporto fra terra e acqua in Emilia-Romagna, è opportuno ricordare che il Canale Emiliano Romagnolo è una delle più importanti opere idrauliche italiane del XX secolo. Questa moderna opera infrastrutturale rappresenta una pietra miliare nella plurimillenaria storia del riscatto dall’impaludamento della “favolosa Padusa che, secondo il geografo cinquecentesco Leandro Alberti, ’abbracciava anticamente tutto quel paese che se ritrovava fra il Po e il territorio della via Emilia’”( 8)
La mostra voluta dal Consorzio del Canale Emiliano Romagnolo, che Sonia Lenzi ha curato per l’esposizione allestita al Museo del Patrimonio industriale (23 maggio, 25 novembre 2018), ci offre 30 immagini, per lo più inedite, di Pasquali ed alcune video interviste che ci forniscono la testimonianza visibile dello sguardo del fotoreporter che non cessa mai di essere militante.
Le fotografie raccontano attraverso personaggi e ambienti, una terra profondamente legata alle proprie radici contadine di cui ormai non resta che una labile traccia nei nostri ricordi infantili, ma anche l’insorgere di immense energie e nuove speranze nell’avvenire.
Scorrendo le immagini provenienti dall’archivio del CER si ha la sensazione di recuperare un tassello che è sfuggito alla comprensione di un paesaggio elementare e complesso al tempo stesso.Pasquali era capace di tenere gli occhi in presa diretta con le cose, i fatti e le persone. Nella sua lunga carriera di artigiano, modesto e caparbio come tutti gli artigiani, si è sempre fatto guidare dagli occhi per cercare l’essenza ed ha saputo raccontare mirabilmente il passaggio dalla campagna alla industrializzazione, da un mondo sacrale a una società secolarizzata, nutrendo la speranza in un’autenticamodernizzazione che armonizzasse lo sviluppo industriale con le esigenze della comunità.

Come molti, in quegli anni aderisce “all’ideologia dello sviluppo illimitato come progresso civile e sociale” come “un surrogato della religione”, senza nessuna visione critica verso l’idea del progresso( 9)Ciononostante, quello di Pasquali resta un originale patrimonio di immagini utile per ripensare il nostro futuro. “Le cose continuano ad aver voce se sappiamo interrogarle e non parlano solo di passato o di memoria ma anche di presente e di futuro”.( 10)  

Pasquali ha assistito in presa diretta alla grande trasformazione italiana intervenuta nel dopoguerra o meglio a quella mutazione antropologica di cui parlava Pasolini. In quegli anni interviene quel singolare parallelo fra storia del paesaggio rurale e storia della trasmissione dell’informazione che il geografo Franco Farinelli fa coincidere con la fine della mezzadria e l’avvento del computer.
In questo itinerario visivo tornano alla mente le parole di Luigi Ghirri: “Sassuolo è il luogo della mia infanzia, ma non è un viaggio nostalgico verso le radici. Certo il passato è importante, così il recupero di una memoria collettiva, ma attraverso il presente. Far storia significa procedere attraverso i mutamenti”. ( 11)
Vale la pena ricordare che questa mostra, dialoga a distanza con quella che si tiene, quasi in concomitanza, alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia sull’archivio fotografico di Stanislao Farri a cura di Laura Gasparini e Monica Leoni, inclusa nell’edizione 2018 di Fotografia Europea. Un’edizione che si pone sotto l’egida della “rivoluzione dello sguardo e della visione” una delle conseguenze che proprio la nascita della fotografia ha determinato.Così come con l’esposizione di Salini Impreglio , alla Triennale di Milano, Cyclopica. The human side of infrastructure, appena conclusa. La mostra è il racconto del lavoro, con tutta la sua forza e la sua unicità nella realizzazione di opere infrastrutturali e la continua innovazione del mestiere del lavoratore, a cavallo tra tecnologia e artigianato.

Vogliamo congedarci con le parole del grande fotografo di paesaggi l’americano Robert Adams: "La maggior parte delle mie speranze sono riposte in un modello più conservativo e rispettoso dell'uso del suolo e delle risorse, la riduzione dell'inquinamento atmosferico, un consumo più prudente e moderato dell'acqua ed un'architettura più rispettosa. Quando penso alla possibilità, tuttavia, di un paesaggio arricchito da specifici luoghi a cui abbiamo risposto con fantasia e con deferenza, mi ritrovo a pensare che potremmo essere autorizzati a chiamarlo migliorato".( 12)

 

Mostra:

Il Canale Emilia Romagnolo nello sguardi di Enrico Pasquali
a cura di Sonia Lenzi
Museo del Patrimonio Industriale, Bologna
23 maggio-25 novembre 2018

 

Note

1 R. Renzi, L'anomalia del contadino neorealista, in Enrico Pasquali fotografo. Bologna negli anni della ricostruzione 1951-1960, a cura di F. Bonilauri, Bologna, IBC - Grafis, 1985, p. 9.

2 J. Berger, Capire una fotografia, Roma, Contrasto, 2016, p. 37.

3 R. Renzi, op.cit., p. 16.

4 A. Emiliani, Scatti da libertario, in Il caso Pasquali fotografo, a cura di Cesare Sughi, Bologna, Cineteca speciale, novembre 2006, p. 32.

5 C. Sughi, L’aura che non ti aspetti, in Il caso Pasquali fotografo, a cura di Cesare Sughi, Bologna, Cineteca speciale, novembre 2006, p.59.

6 Ibidem, p. 57.

7 Il Piano del Lavoro (1949-50) della CGIL. Un piano, in buona sostanza, che si proponeva di far coincidere la ricostruzione con una nuova idea di sviluppo del Paese. Il piano consisteva essenzialmente in un vasto programma di opere pubbliche lungo tre direttrici di intervento: un vasto programma di bonifica e irrigazione dei terreni per promuovere lo sviluppo dell’agricoltura; un piano edilizio nazionale per la costruzione di case, scuole e ospedali; la nazionalizzazione dell’energia elettrica.

8 A. Bignardi, Bonifiche e coltivazioni nell’Emilia rinascimentale, Rivista di Storia dell’Agricoltura. a. XVIII. n.3 dicembre 1978, p.6.

9 V. Foa, Il Cavallo e la Torre, Torino, Einaudi, 1991, pp. 63-83.

10Chiara Bertola, Progettare per Conservare il Futuro. L’arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia, a cura di C. Bertola e M. Savaris, Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 2015, [s.p.].

11 M. Belpoliti, Conversazione con Luigi Ghirri: fotografare l’Italia, Il manifesto, 16 marzo 1984.

12 M. Crupi, Robert Adams - I grandi maestri della fotografia, Blog fotografico, 11 luglio 2016.

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