Rivista "IBC" XXVI, 2018, 2

musei e beni culturali / progetti e realizzazioni

AI Museo della Civiltà Contadina di San Marino di Bentivoglio indumenti e abiti raccontano la vita personale di chi abitava le campagne.
Vestivamo alla contadina

Marta Cuoghi Costantini
[IBC]

Quando a metà degli anni settanta del secolo scorso un gruppo di studiosi facenti capo alla cattedra di Storia economica dell'Università di Bologna fece proprie le istanze di un’associazione di ex agricoltori dando vita al Museo della Civiltà Contadina di San Marino di Bentivoglio, ebbe un'intuizione davvero felice. Perché di quel mondo che il museo rappresenta non sopravvive nulla nella realtà di oggi e oramai sono davvero pochissimi anche i testimoni che ne conservano un ricordo diretto. La diffusione dei metodi di coltura intensiva, i processi di industrializzazione e i profondi cambiamenti sociali che ne sono conseguiti hanno cambiato radicalmente il volto di quella vasta area di pianura a nord di Bologna cui il Museo fa riferimento. In questo quadro e nella prospettiva di un futuro che sarà sempre più incentrato sui grandi centri urbani, la chiara impostazione del Museo di San Marino di Bentivoglio, declinato intorno ai temi portanti della mezzadria e dei cicli di lavorazione della campagna – di grano, vite, canapa – non si esaurisce nella mera esposizione degli oggetti ma restituisce ai visitatori i valori fondanti di un sistema di società le cui radici affondano in epoche lontane.

Nel corso degli anni il museo si è via via aggiornato sviluppando nuove articolazioni, come il recente pomario dedicato al recupero di antiche piante da frutto, e si è ulteriormente arricchito con continue donazioni di attrezzi, macchine agricole oltre che di manufatti afferenti alla sfera della persona e della casa. Ha preso così corpo una vera e propria raccolta di tessuti, composta in larga parte da abiti, capi di biancheria, accessori ed altri manufatti in uso nella casa e nel lavoro dei campi: materiali intrinsecamente delicati, ulteriormente infragiliti dall'uso prolungato, che rappresentano una testimonianza inconsueta e rara. Con gli oltre trecento pezzi che la compongono, ascrivibili al periodo che va grosso modo dalla seconda metà dell'Ottocento agli anni sessanta del Novecento, per dimensioni e varietà di tipologie la collezione di tessuti di San Marino di Bentivoglio costituisce quasi un unicum nel panorama dei musei regionali dove le pur rare collezioni tessili presenti sono costituite prevalentemente da manufatti ricchi, realizzati in filati di seta, oro e argento, il cui uso dunque era riservato ai ceti più elevati della società, all’aristocrazia, alla ricca borghesia e al clero.

Per tutte queste ragioni l'Istituto per i beni culturali, da sempre attento alle testimonianze della cultura materiale ed etnografica, ha ritenuto che questo piccolo ma importante patrimonio andasse protetto e valorizzato. Così nel 2016, grazie ad una convenzione con l'Istituzione Villa Smeraldi, cui fa capo la proprietà del Museo della Civiltà Contadina, ha preso avvio un progetto condiviso con scadenza biennale i cui obiettivi principali consistono nel completamento della schedatura, ora accessibile nel Catalogo del patrimonio culturale dell'Emilia-Romagna, nella manutenzione di tutti i materiali e nella predisposizione di un locale di deposito attrezzato per il loro stoccaggio. Punto qualificante del progetto è infine la creazione di un percorso espositivo espressamente dedicato al tema dei tessuti rurali all'interno dell'itinerario di visita già esistente, implementato ora con l'esposizione di una ristretta selezione dei manufatti più significativi.

Primo fra i temi illustrati nel percorso è quello dell'abbigliamento dei contadini. Apprendiamo così che l'abito maschile tipo era costituito da pantaloni lunghi, camicia e, durante la stagione fredda, panciotto e giaccone mentre la donna indossava la gonna, via via più corta fino alle ginocchia, la camicia ed eventualmente la casacca. Sopra la gonna, per proteggerla da sporco e usura, indossava quasi sempre il grembiule, indumento che ne caratterizza immancabilmente l'immagine anche nelle scarse riprese fotografiche pervenute. Lontani dai capricci e dalle continue evoluzioni della moda, di cui riportano alcuni aggiornamenti solo in tempi molto lunghi, gli abiti della campagna, contrariamente a quelli indossati dai ceti più elevati, rispondono essenzialmente a criteri di praticità e a una primaria differenziazione di ruolo uomo donna. Il loro carattere di invariabilità riflette non solo la scarsità di mezzi a disposizione del mondo contadino ma anche la staticità dei rapporti sociali e la fissità del lavoro svolto. Molti indumenti, in particolare quelli da lavoro, sono deturpati dall'uso prolungato: rattoppi su rattoppi che mettono a nudo la natura delle fibre e la semplicità degli intrecci delle tele di canapa o di lana riassumendo in modo efficace storie di povertà che colpiscono anche per il contrasto con l'abbondanza di beni cui ci ha abituato il consumismo esasperato di oggi.

Un capitolo a se stante è dedicato alla biancheria personale, a quella in uso per la camera da letto e per i lavori di cucina. La maggior parte di questi manufatti sono il frutto del paziente lavoro di tessitura che le donne eseguivano in ambito domestico dopo il lavoro dei campi o nei lunghi mesi invernali, integrazione di una economia di mera sussistenza. Alle mani femminili più abili erano affidati anche i lavori di cucito e di ricamo con cui venivano confezionati e ingentiliti i capi di biancheria intima, lenzuola, asciugamani e tovagliato in generale. Si tratta di opere tecnicamente molto semplici che nulla hanno a che vedere con analoghi capi di provenienza aristocratica o borghese ma che pur nella loro povertà non rinunciano alla cura dell'esecuzione e ad un ideale di semplice eleganza, dignità e decoro.

Pochi ma interessanti sono poi i manufatti impiegati nel lavoro dei campi: i sacchi di juta o altri filati grossolani per contenere e trasportare il grano e le farine o le coperte per i buoi, utilizzate per riparare nella stagione fredda questi fedeli collaboratori del lavoro contadino. Il percorso si conclude nella sala della canapa dove viene documentata la fase finale della lavorazione della fibra che tanta parte ebbe nell'economia locale.

I risultati di questo progetto, ideato da Dede Auregli e Monica Montan con la collaborazione di chi scrive, sono stati presentati lo scorso 11 marzo alla presenza delle autorità locali e di un pubblico affezionato che con la propria calorosa presenza ha confermato il valore dell'iniziativa. L'auspicio è che anche nel prossimo futuro il Museo di San Marino di Bentivoglio, complice la suggestiva collocazione all'interno delle proprietà di Villa Smeraldi con le sue pertinenze agricole e il grande parco romantico, possa continuare ad attrarre visitatori interessati, desiderosi di saperne di più sul lavoro dei campi e i diversi aspetti della vita in campagna, non ultimo il modo di abbigliarsi e di arredare l'ambiente domestico.

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