Rivista "IBC" XXVI, 2018, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne

L’Oriente di Alberto Pasini.
Padiglioni lontani

Enzo Vignoli
[Collaboratore della rivista "OLFA - Osservatorio letterario Ferrara e l'altrove"]

Conclusa una serie di mostre dedicate a visioni e artisti novecenteschi, quest’anno la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo volge retrospettivamente lo sguardo al XIX secolo.

Ci si immagina che gli organizzatori abbiano inteso non solo fare un’azione d'incisivo sostegno al recupero di un passato riscoperto solo nell’ultimo quarto del Novecento, ma, anche, di indagare per rinvenire gli eventuali collegamenti fra il movimento orientalista sorto nell’Ottocento e l’istanza di un ideale filosofico di serenità che albergava nell’occidente confuso e già convulso sin dagli anni sessanta del secolo scorso. Non una fuga a ritroso fine a se stessa, quindi, ma la ricerca di una possibile continuità.

Nel progetto espositivo Pasini e l’Oriente. Luci e colori di terre lontane (visitabile fino al 1 luglio) viene rappresentata una sintesi significativa dell’opera incisoria e pittorica di Alberto Pasini (Busseto, Parma, 1826-Cavoretto, Torino, 1899) e da lui prende il nome la mostra dell’anno in corso.

Pasini nasce negli stessi luoghi che diedero i natali a Giuseppe Verdi e il curatore Stefano Roffi non manca di rilevare tale coincidenza, dal momento che “L’Oriente, con Nabucco, I lombardi alla prima crociata, Il corsaro e Aida, per Verdi rappresentò un viaggio della mente […] viaggio invece vissuto in prima persona per Pasini e affrontato non senza disagi tra Egitto, Sinai, Persia, Turchia, Palestina, Libano, Siria”.

Ma tale viaggio non ebbe inizio dalla nativa Busseto o da Parma – ove l’artista frequentò l’Accademia di Belle Arti. Avendo preso parte nel 1849 alla prima Guerra d’Indipendenza, il giovane Pasini dovette riparare nel 1851 a Parigi e là, per una serie di coincidenze, gli fu offerta la possibilità di prendere parte “in qualità di pittore illustratore di viaggio”ad una missione diplomatica a Teheran.

Ad una prima sezione litografica, dedicata a “trenta vedute di castelli del piacentino, in Lunigiana e nel Parmigiano” culminanti in due pregevoli olii in cui spiccano già l’azzurro intenso del cielo ed una nuvolaglia pesante che ritorneranno frequentemente nelle successive opere della maturità, segue una serie di disegni relativi al viaggio in Persia del 1855-1856 e, per finire, una lunga serie di dipinti ad olio, spesso rielaborazioni di “studi, disegni e appunti di viaggio in vista della realizzazione di alcune opere di grande formato da presentare al Salon”, una volta rientrato a Parigi: “[…] dipinti tratti dai suoi ricordi di viaggio e questo gli garantì un successo ancora maggiore […] più per il loro realismo che per la rappresentazione di scene orientali”.

Dunque Pasini uscì dallo stereotipo, dal mito immaginario derivato soprattutto dalla lettura della raccolta di novelle Le mille e una notte,che era nota in Europa grazie ad una pubblicazione avvenuta in Francia all’inizio del Settecento.

L’importanza di Pasini sta nell’aver ritratto mondi pressoché sconosciuti in ambito europeo. Differenziandosi dai cosiddetti orientalistes en chambre che “[…] non avevano mai visto i luoghi che dipingevano […]”, la sua figura viene considerata quella di precursore dei nostri fotoreporter, come appare dai saggi all’interno del catalogo che accompagna la mostra. Alcuni dei suoi dipinti ad olio, talora di dimensioni rilevanti, fanno infatti pensare a foto grandangolari, in cui l’artista tenta di far entrare spazi immensi e lontani, scene di transumanza, di guerra, di mercati, di vita cittadina, passaggi di carovane o, ancora, raffigurazioni di pregevoli esempi architettonici. L’occhio si perde all’infinito a scrutare orizzonti luminosi e la mente immagina atmosfere incandescenti e calure insopportabili.

Nell’ultimo saggio all’interno del catalogo, Cyrille Sciama contrappone “Alberto Pasini e Jean-Léon Gérôme, due orientalisti rivali”. Citando J. Coupeau, egli concorda che il primo “è reale, vivo. Arricchisce, attraverso la verosimiglianza, la nostra concezione del mondo […] Al contrario, Gérôme è alla ricerca permanente del bello […]”. Entrambi del tutto dimenticati nel corso del XX secolo, furono riscoperti negli anni settanta e le loro opere esposte in importanti musei americani.

La loro fama in vita fu, invece, amplificata grazie alla stretta collaborazione con il mercante d’arte Alfred Goupil, per la cui Maison Pasini fece passare circa trecento dei suoi quasi mille quadri.

Per tornare al quesito iniziale, l’impressione di chi scrive è che il mondo rappresentato visivamente da Pasini offra stimoli importanti alla ricerca di una difficile conoscenza del composito mondo del sol levante, laddove il bisogno che albergava nell’occidente negli anni sessanta fosse più il frutto di una convenzionale e quasi rassegnata adesione al mito di un Oriente tutto purezza e spiritualità.

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