Rivista "IBC" XXVI, 2018, 2
territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne
Ancora una volta è stata utile una bella rassegna espositiva per rimettere in giusta evidenza quello che la città di Bologna, intesa come i suoi abitanti, i suoi frequentatori, i suoi amministratori, le sue elite, stenta a riconoscere, nonostante profluvi di studi, pubblicazioni, eventi, immagini; cioè il fatto che la città sta da secoli e secoli sull’acqua, intessuta da un reticolo di canalizzazioni e che è diventata ricca fra Medioevo ed età moderna proprio per lo sfruttamento industriale e artigianale del passaggio al suo interno dell’acqua deviata dal fiume Reno e dal torrente Savena. La mostra, aperta dal 16 marzo al 10 giugno 2018 presso il Museo e Oratorio di S. Maria della Vita, è stata organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna e da Genus Bononiae Musei nella Città, in collaborazione con il Comune di Bologna e l’Università degli Studi di Bologna – Dipartimento di Architettura, ed ha avuto il suo input nella conclusione del restauro della fontana del Nettuno.
Che la mostra sia andata oltre l’illustrazione del celebre monumento cittadino lo si poteva cogliere dal titolo, Il Nettuno: architetto delle acque. Bologna, l’acqua per la città tra Medioevo e Rinascimento, perché alla funzione alimentare dell’acqua molte opere esibite aggiungevano quella della messa in moto di una miriade di opifici. Entrando, infatti, si era accolti da una grande fotografia della chiusa di Casalecchio, origine del canale di Reno, manufatto idraulico storico di rilevanza internazionale e a fianco uno straordinario disegno settecentesco, fino ad ora sconosciuto, raffigurante lo scorrere del canale delle Moline coi mulini da grano ivi insediati, accompagnati da un minuto paramento di case, e poi col passaggio delle acque davanti al cassero di porta Galliera sino al porto delle navi.
Sull’altro lato, alcuni oli ottocenteschi delle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna riconducevano a quell’ambiente urbano, ora in massima parte scomparso, che era fortemente permeato dai canali e dall’uso dell’acqua. La presenza dell’acquedotto romano del I secolo a.C. veniva ricordata da una statua di ninfa, elemento di fontana, insieme a porzioni di tubature e mattoni del condotto. Una copia della celebre “secchia”, protagonista del seicentesco poema eroicomico di Alessandro Tassoni La secchia rapita, presa nel 1325 dai modenesi da un pozzo presso porta S. Felice, dopo la vittoria sui bolognesi a Zappolino, era lì a simboleggiare l’acqua quale elemento vitale la quale porterebbe sciagure a chi venisse sottratta.
Pure centrale, come icona della mostra, stava un dipinto di Giovanni Boldini, vivace e movimentatissima immagine della fontana del Nettuno, campeggiante sulla massa laterizia del palazzo della Rota, non ancora distrutto dai restauri, rarissima veduta bolognese del pittore ferrarese. Sottostante al quadro, replicava la divinità una scultura in gesso bronzato dell’Ottocento rappresentante un dio fluviale. Il grosso e pesantissimo lucchetto che un tempo chiudeva la grata in ferro nel canale di Reno all’ingresso in città era collocato fra il volume contenente le indicazioni per la salvaguardia igienica dei pozzi (1288) e il registro del notaio di acque e fango, dedito alla sorveglianza delle acque urbane (1285), quasi un simbolo dell’indispensabile controllo della rete idrica.
L’ornatissima aula dell’Oratorio Superiore vedeva troneggiare al centro lo straordinario modello della fontana del Nettuno, realizzato in marmo e bronzo con grandissima cura e somiglianza dell’originale, realizzato forse ai primi del Novecento dallo scultore Enrico Barberi, che ebbe a restaurare il monumento nel 1907. Attorno erano disposti puntuali richiami alle opere idrauliche per l’approvvigionamento della fontana progettata dal palermitano Tommaso Laureti, fra cui la pianta e il profilo dell’acquedotto del Remondato di Francesco Maria Angiolini (1725) e l’inedita e minuziosissima mappa dello stesso condotto, unitamente a quello delle conserve di Valverde, rilevata nel 1854 dall’ingegnere Luigi Marchesini.
Riassuntiva di tutte le acque scorrenti nei condotti urbani si evidenziava la pianta di Bologna sotterranea di Camillo Antonio Ambrosi del 1749. A piante e vedute (di sapore antico la Fonte Remonda tratteggiata da Felice Giani ai primi dell’800) si inframmezzavano testi cinquecenteschi di architettura con riferimenti a temi legati alle acque, fra cui L’Architettura di Pietro Cataneo, L’architettura di Leon Battista Alberti tradotta da Cosimo Bartoli, i De architettura libri decem di Vitruvio tradotti da Cesare Cesariano e Daniele Barbaro e un’altra edizione curata da Guillaume Philandrier, con annotazioni di mano di Ulisse Aldrovandi; e di grande interesse il manoscritto con le istruzioni del Laureti sulle captazioni d’acqua e le conserve di Valverde per la decantazione idrica.
La mostra restituisce un catalogo di medesima intitolazione, curato da Francesco Ceccarelli e Emanuela Ferretti e edito da Bononia University Press, con presentazione di Fabio Roversi Monaco e Leone Sibani e testi di Francesco Ceccarelli, Danilo Demaria, Emanuela Ferretti, Daniele Pascale Guidotti Magnani, Davide Righini, Rossella Rinaldi, Richard J. Tuttle, inframmezzato da un portfolio fotografico di Lucio Rossi, con immagini della fontana e delle cisterne di Valverde.
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