Rivista "IBC" XXVI, 2018, 1

Dossier: Le parole del restauro. La conservazione del patrimonio culturale in Emilia-Romagna

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier / restauri

La corte ritrovata

Elisabetta Landi
[IBC]

Il Palazzo dei Pio di Carpi, feudatari dal 1331 al 1525 e dal 1450 insigniti del titolo di Pio di Savoia, è un complesso grandioso cresciuto su edifici risalenti a un castrum più antico (sec. X). L’impatto su piazza Martiri, tra le più vaste d’Italia, si presenta con un prospetto rinascimentale ritmato da nicchie e da finestre e decorato in origine con affreschi di Giovanni del Sega ( Imperatori romani, 1518). È una struttura solenne, enfatizzata al centro da un vestibolo che avanza verso lo spazio antistante e si completa in altezza con la Torre dell’Orologio (1637).

Tra il 1440 e il ‘50 l’ oppidum opulentissimum di Carpi si estendeva longitudinalmente al versante meridionalecon il Torrione di Galasso o degli Spagnoli (1440-1450) mentre a fine secolo, sul lato opposto, la Rocca Nuova si collegava alla Rocca Vecchia tramite un corpo intermedio. Nel 1480 la gran mole del castello si allargava a nord ovest fino all’Uccelliera, una torretta a planimetria circolare trasformata in un ninfeo con un giardino segreto e una voliera dal signore di Carpi, Alberto III Pio (Carpi, 1475-Parigi, 1531) (inizi sec. XVI). Decollava allora il sogno rinascimentale del principe (H. Semper, Carpi, ein Furstensitz der Renaissance, 1882). Umanista, nipote di Pico della Mirandola e allievo di Aldo Manuzio, Alberto III animò una delle corti più interessanti dell’area padana, continuando l’adattamento del complesso ai canoni dell’edilizia palaziale intrapreso dalla sua famiglia. Nel giro di pochi decenni, dal cortile rinascimentale ispirato a Baldassarre Peruzzi al salone dei Mori alla cappella affrescata da Bernardino Loschi, il fortilizio diventò una reggia.

Nel 2002 il Comune di Carpi ha avviato un percorso di studio e di ridefinizione degli spazi di Palazzo Pio, sede dei Musei Civici, progettandone il riassetto rispetto all’allestimento tradizionale del Museo, istituito nel 1914. Il progetto, coordinato dalla direzione e da Giuseppe Gherpelli, prevede un percorso espositivo che armonizzi il patrimonio artistico con le sale storiche, una testimonianza formidabile della cultura di corte fiorita in area padana: gli arredi rinascimentali nell’appartamento nobile, la xilografia nell’aggiunzione estense (1589), la pinacoteca nelle Stanze del Vescovo (1779), il Museo della città all’ultimo piano e in uno spazio specifico i dipinti della collezione Foresti, il nucleo di donazione privata più significativo (1913). Sono circa trecento le opere che costituiscono il nucleo delle raccolte civiche: tra queste, i quadri di area emiliana destinati a un ambiente rinascimentale ritrovato, la Sala Manuzio, recuperata nel 2017 grazie all’Istituto per i beni culturali della Regione che si è allineato al progetto di valorizzazione della residenza di Alberto Pio.

Già dal 1994, e di nuovo nel 2010, l’IBC si era dimostrato sensibile alla conservazione del Palazzo con un piano specifico destinato al restauro dei dipinti murali della Cappella e della Sala Manuzio (legge regionale 18/2000). Poi, nel 2014 e nel 2016, a pochi anni dal sisma, è intervenuto ancora, in convenzione con il Comune e in partnership con una ditta locale, la Tecni Cam srl che ha sponsorizzato le operazioni di recupero con una somma consistente in aggiunta alle cifre stanziate dall’Istituto, un centinaio di migliaia di euro per il risanamento del fregio, del soffitto ligneo a cassettoni, del camino lapideo (2014) e per il completamento del cantiere e l’adeguamento della sala a fini espositivi (2016), interventi, questi, conclusi nei tempi stabiliti (fine 2017) sotto la sorveglianza della Soprintendenza. Particolarmente impegnativo è stato il restauro dei fregi cinquecenteschi della Sala (1518 ca.) liberati dalle ridipinture eseguite nel 1843 quando, prima di ospitare la Biblioteca Comunale, il vasto ambiente era la sede di un istituto bancario. Giocate su tonalità argentate su fondo blu lapislazzulo, riportate alle cromie originarie grazie a velature discrete, le decorazioni del fregio, opera di Giovanni del Sega, si ispirano al bestiario delle grottesche e alternano divinità marine e animali fantastici nello stile delle tavole mantegnesche. Lungo la cornice, e sulle pettenelle del soffitto ligneo a lacunari con rosoni dorati, a seguito della pulitura si intravvede un’ornamentazione a stemmi e si leggono emblemi intriganti commentati in lingua latina, realizzati a tempera magra. Grazie al restauro, qui come in altre sale emerge un documento storico d’eccezione e si scorgono testimonianze preziose della civiltà delle imprese che piaceva alle corti: un libro dipinto, e una filosofia ermetica espressa attraverso l’allegoria nella quale gli umanisti che facevano capo al cenacolo intellettuale di Alberto Pio si riconoscevano.

Il restauro della sala Manuzio costituisce per i Musei di Carpi un punto di partenza per due aspetti principali.

Da una parte infatti arricchisce le conoscenze e le ipotesi fatte sull’area rinascimentale a sud del Cortile d’Onore del Palazzo, dove le decorazioni emerse rimandano a un intervento diretto di maestranze di Alberto III Pio per sale con funzione di rappresentanza, probabilmente, come già ipotizzato per via documentale, per la segreteria del piccolo stato dei Pio.

D’altra parte con l’apertura al pubblico di sala Manuzio inizia a prendere corpo il progetto della Pinacoteca che si svilupperà nelle sale al piano nobile che collegano i Musei col Torrione degli Spagnoli. Tornano ad essere fruibili alcuni dei principali dipinti della collezione carpigiana, ora nei depositi, nel contesto architettonico delle cosiddette Stanze del Vescovo.

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