Rivista "IBC" XXV, 2017, 4
musei e beni culturali / progetti e realizzazioni
Nel giugno del 2016, con un atto formale della Giunta, il Comune di Bologna accettava dalla famiglia Zironi la donazione del Museo storico didattico della tappezzeria che entrava così a far parte della rete dei musei pubblici cittadini col rinnovato nome di Museo del tessuto e della tappezzeria “Vittorio Zironi”.
Per chi come me si è lungamente interessato alla storia dei tessuti antichi, ma anche per tutti i bolognesi che hanno a cuore la storia della loro città, si è trattato indubbiamente di un passo importante che ha posto le basi per la conservazione di un patrimonio di oggetti e testimonianze oltremodo particolare, di cui si auspica la piena valorizzazione.
Va rilevato infatti che questa singolare raccolta, che riunisce numerosi manufatti di storia locale accanto ad altri di provenienza europea ed extraeuropea, appare di fatto complementare ad alcuni altri nuclei documentari conservati nei musei cittadini: penso alle macchine per la lavorazione della seta del Museo del patrimonio industriale, ai ricami liturgici del Museo Davia Bargellini, ai pizzi Aemilia Ars delle Collezioni comunali d’arte, all’eccezionale campionario del Museo Civico Medievale, una sorta di rassegna della produzione tessile europea dal XV al XIX secolo.
Ciascuna di queste realtà, con le sue peculiari vicende formative, documenta episodi più o meno significativi della storia del collezionismo tessile, fenomeno che ebbe origine solo nella seconda metà dell’Ottocento, in quell’epoca di profonde trasformazioni e cambiamenti in cui furono gettate le basi del mondo moderno. Mentre le macchine si apprestavano ad affiancare e financo a sostituire il lavoro dell’uomo, svilendo la qualità della produzione, mentre nelle grandi capitali europee nascevano le esposizioni universali e con esse i primi grandi musei di arti industriali e ferveva il dibattito sul futuro delle arti applicate, gli antichi tessuti con la loro altissima perizia artigianale e qualità artistica, conquistarono artisti, studiosi, mercanti d’arte; con grande passione cominciarono a raccogliere imponenti quantità di abiti, costumi, arredi, o ancor più spesso semplicemente di frammenti, scambiandosi pezzi rari e preziosi ed esibendoli con compiacimento in salotti e gallerie private.
La geografia di questo fenomeno, che ebbe dimensione europea e il suo fulcro principale a Parigi, interessò anche l’Italia, comprese alcune città della nostra regione. Fra gli esempi più importanti vi sono quello del conte modenese Luigi Alberto Gandini artefice negli ultimi decenni del XIX secolo di una raccolta di dimensioni e valore eccezionale, oltre duemila frammenti tessili, ancora oggi motivo di vanto del locale museo civico d’arte; o del bolognese Francesco Silvestrini che nello stesso giro di anni realizzava un’operazione per molti versi analoga anche se di minore entità. Di lì a poco poi sarebbe approdata a Reggio Emilia direttamente da Parigi la raccolta di tessuti e costumi di Leon y Escosura, qui allestita per mano di Luigi Parmeggiani nella sua casa-museo.
L’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna è stata una delle prime istituzioni pubbliche italiane a dedicare attenzione e risorse a questo fragile e misconosciuto patrimonio promuovendo già a partire dalla fine degli anni Settanta la formazione di schedatori esperti, conducendo vaste campagne di ricognizione sul territorio regionale, sostenendo la catalogazione sistematica, lo studio e il restauro dei nuclei più significativi, sviluppandone infine la promozione attraverso mostre, convegni, pubblicazioni a stampa.
Dopo la lunga parentesi delle guerre che hanno funestato la prima metà del Novecento, l’interesse per il collezionismo tessile rinacque con finalità e modalità completamente diverse rispetto a quelle che ne avevano caratterizzato gli esordi ottocenteschi. Le nuove imprese infatti si collocano negli anni della ripresa economica, dell’affermazione del made in Italy e nella maggior parte dei casi si connettono strettamente ad attività imprenditoriali. Si inserisce in questo filone anche la nascita a Bologna di un museo privato molto particolare e sui generis quale per l’appunto il Museo storico e didattico della tappezzeria.
La storia di questo museo è già stata delineata in diverse occasioni e pubblicazioni e scorre parallela a quella del suo ideatore, fondatore e principale artefice, il cavaliere Vittorio Zironi (1916-1999), titolare di un affermato laboratorio di tappezzeria, punto di riferimento per la borghesia bolognese prima che gli effetti della terza rivoluzione industriale, intrecciandosi con quelli della globalizzazione, cambiassero radicalmente anche il mercato della casa e dell’abitare.
All’indomani della grande guerra, quando intraprese nuovamente la sua attività di tappezziere a Bologna, il giovane Zironi aveva in animo anche l’ ambizioso progetto di dare vita ad un vero e proprio museo della tappezzeria. Spinto da un interesse strettamente connesso al lavoro che svolgeva ma anche da un amore per tutto ciò che afferiva al mondo del tessile, accanto all’attività del tappezziere avviò quella del “collezionista” raccogliendo dapprima strumenti del mestiere, teli d’arredo e passamanerie, ma estendendo via via le acquisizioni al vasto mondo del tessile in generale.
Sostenuto dai colleghi oltre che dalla nascente Associazione dei Tappezzieri, nell’arco di alcuni decenni Zironi mise insieme un considerevole numero di manufatti, pubblicizzandoli con eventi e mostre temporanee. Il primo vero traguardo importante venne raggiunto però nel 1966 con l’allestimento e l’apertura al pubblico di una esposizione permanente in alcuni locali di Palazzo Salina Brazzetti in via Barberia. Ricordo ancora come si presentava il museo alla fine degli anni Settanta, con le sale già stipate di materiali, e la passione con cui Vittorio Zironi illustrava i suoi tesori ai visitatori.
Il successivo trasferimento delle collezioni nella prestigiosa sede di Villa Spada, avvenuto nel 1990, diede nuovo impulso a questa realtà. Dopo anni di abbandono e degrado, il palazzo di belle forme neoclassiche era stato oggetto di una importante operazione di recupero architettonico sostenuto da un pool di enti ed affidato all’architetto Stefano Zironi che negli anni successivi avrebbe poi affiancato e sostituito il padre Vittorio anche nella conduzione vera e propria del museo. Disposti su due piani, i nuovi spazi si prestavano egregiamente a contenere tutte le diverse sezioni in cui si articolava il museo, ora arricchite da numerose donazioni di privati: gli strumenti e gli oggetti dell’arte della tappezzeria, i tessuti europei ed extraeuropei, i ricami e i merletti, i capi d’abbigliamento civile e liturgico, i monumentali telai per la tessitura. Il rinnovato museo disponeva poi di una sala conferenze, di spazi riservati a uffici e biblioteca e di un attrezzato laboratorio di restauro che in quegli anni rappresentava certamente un fiore all’occhiello nel panorama italiano.
Grazie alla felice collocazione in un edificio storico, già di per sé oggetto di interesse, e alla commistione di tante diverse componenti, le potenzialità future del museo appaiono molteplici soprattutto se si riusciranno ad incrociare in modo sinergico gli aspetti legati alle emergenze artistiche della villa che lo ospita, quelli connessi al giardino all’italiana e al grande parco all’inglese che la circondano, quelli infine derivanti dal patrimonio di oggetti e dall’attrezzato laboratorio di restauro che qui sono ospitati.
Alcuni primi importanti passi in questa direzione sono già stati fatti. Dopo un efficace lavoro di riordino condotto con intelligenza e tenacia da Giancarlo Benevolo, nuovo curatore delle collezioni, il 6 ottobre scorso il museo è stato riaperto al pubblico già con un nutrito calendario di visite guidate e attività didattiche. Insomma nel rinnovato Museo del tessuto e della tappezzeria “Vittorio Zironi” le attività procedono a ferro battente su tutti i diversi fronti del lavoro museale: lo studio dei materiali, la maggior parte dei quali ancora inediti, la razionalizzazione e il miglioramento del percorso di visita, la predisposizione di una guida a stampa per agevolare la comprensione dei manufatti, la riattivazione del laboratorio di restauro, la promozione di eventi per migliorare il rapporto con il pubblico, non solo con gli specialisti di settore ma anche con le scuole e le numerose imprese di settore.
In anni in cui il mondo dei piccoli musei italiani è in grande affanno, forse per un eccesso di offerta in questa campo oltre che per scelte politiche che privilegiano necessariamente i grandi poli museali, il rilancio del Museo del tessuto e della tappezzeria di Bologna rappresenta indubbiamente una sfida non facile se non una vera e propria scommessa ma con il recente ingresso nella rete dei musei civici di Bologna ora questa realtà ha tutte le carte in regola per affrontare in modo brillante questa impegnativa partita.
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