Rivista "IBC" XXV, 2017, 4
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Il gioco è una cosa seria, molto seria.
Con queste parole potrebbe iniziare la recensione di un saggio di storia come quello che presentiamo. Lontana da qualsiasi forma di banalizzazione del tema, questa considerazione riassume l'importanza di una lettura attenta e articolata del fenomeno, che ha attraversato terre e coinvolto nelle sue logiche pressoché tutti i popoli.
Dopo i primi capitoli in cui lo sguardo è rivolto alla fenomenologia ludica lungo i secoli, con una predilezione per le fonti scritte, e si cerca di fornire una definizione pratica, “operativa” – come dice l'autore, Andrea Giovannucci – del gioco d'azzardo, ci si accosta al cuore della ricerca in questione: il gioco d'azzardo nella Bologna di fine Ottocento.
Compaiono i diversi protagonisti del fenomeno: giocatori incalliti, forze di sicurezza, giudici, cronisti, famiglie in difficoltà, parenti delle “vittime del gioco”, proprietari delle bische clandestine e dei locali. Le denunce consegnate brevi manu o spedite per posta alle forze di sicurezza esprimevano un profondo malessere, il sentimento di una vera e propria piaga collettiva capace di arrivare a chiunque, povero e ricco, malato e sano, colto e ignorante.
Certo i dettagli sulle persone coinvolte e i fatti accaduti conferiscono sapore e spessore alle vicende narrate, ma l'interesse maggiore va, a nostro avviso, alla percezione del problema presso i diversi attori sociali chiamati in causa. Difatti, a fronte di un codice legislativo che penalizza fortemente l’individuo impegnato nel gioco d'azzardo, il ventaglio delle pene dai giudici comminate ai presunti rei non era assolutamente proporzionato. In altri termini, la legge criminalizzava il gioco e i suoi cultori, mentre i tribunali si dimostravano molto più tolleranti verso questi ultimi; così facendo, i tribunali sposavano una linea di valutazione e comportamento conseguente verso il gioco d’azzardo che, se certamente era disprezzata dai parenti delle vittime di questo gioco, tuttavia era in accordo con il sentire di buona parte dell’opinione pubblica.
Inoltre, il rifiuto del gioco d'azzardo rappresenta un fil rouge nella storia, ma mutano le ragioni di una simile presa di posizione. Particolarmente suggestivo è il ripudio di età medievale, secondo cui chi giocava sottraeva tempo prezioso al lavoro e alla preghiera. Poi, spesso dinamiche “impreviste” e sfavorevoli al giocatore inducevano quest'ultimo a pronunciare male parole, sino alla bestemmia, acmè della tensione emotiva che è sempre stata stigmatizzata, a maggior ragione nel Medioevo, epoca ricca di predicatori, ferventi campioni della lotta contro il vizio e l'abbruttimento dinanzi a Dio. A questo proposito, vengono alla memoria le infuocate prediche di Bernardino da Siena.
Il gioco d’azzardo ha spesso rappresentato uno strumento a disposizione di chiunque per imprimere una svolta decisiva alla propria esistenza, è democratico e non richiede particolari abilità e competenze.
Solo il Novecento avanzato ha iniziato ad occuparsi della dimensione del gioco d’azzardo declinandolo secondo una prospettiva multidisciplinare. Questa ricerca ha sicuramente ancora tanto da offrire e continuerà a regalare spunti di ulteriori indagini e conquiste scientifiche.
Andrea Giovannucci, La città e l’azzardo. Il caso di Bologna nell’Ottocento, BUP, Bologna, 2014.
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