Rivista "IBC" XXV, 2017, 3
musei e beni culturali /
Un uomo, preso dalla frenesia di vita e di potere nell’irrequietezza drammatica di un momento storico in grande evoluzione, e un luogo di filosofico pensiero umanistico in simbiosi con la propria destinazione religiosa: Sigismondo Pandolfo Malatesta (di cui ricorre nel 2017 il sesto centenario della nascita) e il suo Tempio, un’opera esemplare nella geografia artistica e culturale dell’Umanesimo e del primo Rinascimento italiano. E quindi Rimini, luogo di avanguardia artistica nell’ambito di una corte dominata dalla figura di un capitano di ventura dalla cultura ricca e complessa, e dal coraggio e dalla spregiudicatezza che ne hanno fatto un personaggio presente, spesso con tratti sulfurei, nell’immaginario della sua epoca e della nostra modernità ( in primis, naturalmente, grazie ai noti testi di Pound e Montherlant).
Ad un percorso di pensiero e storia, di simboli e evocazioni, di rimandi visivi e musicali legati al Tempio e in particolare alla Cappella dei pianeti si lega lo spettacolo La musica de i pianeti che nasce dalla ricerca multidisciplinare di Emanuela Marcante e Daniele Tonini e che verrà proposto a Rimini da Il Ruggiero (www.ilruggiero.it) per la Sagra Malatestiana e le manifestazioni celebrative 2017, e quindi a Los Angeles nel gennaio 2018 per UCLA/Getty Center.
Lo spettacolo, articolato in capitoli basati su alcune formelle della Cappella dei pianeti, lega narrazioni originali a testi che animano la macchina visivo/filosofico/evocativa del Tempio.Il percorso toccherà così il Somnium Scipionis di Cicerone con il commento di Macrobio, L’ Antro delle Ninfe di Porfirio, la poesia del Liber Isott æus, degli Astronomicon Libri, dell’ Hesperis di Basinio e altro, trovando la sua conclusione nella musica che ai pianeti si riferisce, esaltata proprio nel Somnium Scipionis. Un percorso che lega la storia di Sigismondo ai temi dell’anima che possiamo leggere nelle decorazioni del Tempio e che saldano idealmente (con le debite declinazioni) il neoplatonismo e il cristianesimo quattrocentesco con il pensiero antico in una tensione di rinnovamento epocale. Un bene culturale e filosofico, il Tempio, – de facto un mausoleo – che è possibile leggere oltre che come una glorificazione del principe anche come invito al pensiero sui profondi moti dell’uomo a operare per la virtù e per la cura dell’anima, oltre il suo transitorio e fortunoso passaggio e destino terreni.
Percorrere il Tempio – lo spazio-tempo di un tempio: il tempio/respiro ritmico e musicale di Leon Battista Alberti, il tempio/mente di Sigismondo – significa ritrovarsi in primo luogo in una ambiente nel quale la funzione sacra dello spazio determina un’uscita dalla dimensione temporale.
Il rispecchiarsi della mente di Sigismondo nell’ideale mondo di simboli e armonia della cultura umanistica dell’antico, del solare, del sapienziale si pone, nel Tempio, come una progressione dell’intelletto verso il divino, al riparo dall’indeterminatezza violenta della lotta per il potere. Ombre messe in fuga dalla gloria del princeps/sol invictus con una sublime e virtuosa messa in scena di filosofica erudizione con i sereni ritmi della sapienza e della bellezza. Fuori dal tempio la fortezza, le guerre combattute con patti e rivolgimenti di patti operati senza scrupoli, con il sangue delle truppe mercenarie, con il senso di proprietà e di gelosia – e d’amore – verso le proprie città e i propri castelli nel nome di una romanità rinnovata dal nuovo Scipione. Per Macrobio, nei Commentari al Somnium Scipionis, la politica è il luogo di maggior virtù dell’anima. L’anima di Scipione/Sigismondo.
Il Tempio e le sue cappelle: la cappella di san Sigismondo per la gloria, per la forza solare del condottiero; la cappella d’Isotta, con i suoi putti e la musica; la cappella delle Sibille per la preveggenza e per la memoria degli antenati; la cappella delle Muse e delle Arti liberali per la conoscenza; la cappella dei Giochi infantili, con i vivaci putti nella loro fresca sapienza. E quindi la cappella dei Pianeti e di San Girolamo, per la sapienza della fine e del principio, della generazione e della evoluzione delle forme e della vita dell’uomo dal momento in cui l’anima cala nel corpo attraverso la porta del Cancro per risalire alle stelle e alla sua vera vita immortale dalla porta del Capricorno, come si legge in Porfirio. La cappella dalle immagini zodiacali complesse e perturbanti, da Diana a Mercurio, è anche però la cappella di san Girolamo, il santo anacoreta dei libri e dello studio.
La Cappella dei pianeti è luogo proiettivo di un ordine di vita e di morte, di stagioni e generazioni, di manifestarsi e divenire di uomini e natura che si mostra come ordine delle stelle. Un ordine che porta con sé l’inquietudine terrestre delle credenze e dei miti legati alle coltivazioni e ai ritmi delle attività umane del lavoro e delle celebrazioni, ma che si evolve dalle influenze tiranneggianti degli astri per essere un percorso dove leggere il senso della vita e della morte che dal fango della terra e dei corpi riporta l’anima immortale al cielo.
La musica dei pianeti regge l’eterno ritmo degli astri, inudibile o udibile come canto delle sirene, come grandezza numerica che diviene suono, come partitura celeste in cui il moto delle stelle fisse dell’ottava sfera e il loro suono fisso viene contrappuntato dal movimento irregolare delle orbite dei pianeti. La musica – che nella progressione del Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) viene prima dell’astronomia e informa il moto dei pianeti con le sue regole – è la suprema percezione dell’anima di Scipione Emiliano – preteso antenato di Sigismondo – nel Somnium ciceroniano. Sulla terra, il peregrinare dell’anima ormai imprigionata nel corpo ci appare in una significativa formella di Agostino di Duccio della Cappella dei pianeti sotto l’aspetto di un uomo che cerca di governare il procedere incerto e angoscioso di una barca tra le onde, ricordandoci il dramma dell’anima sconvolta per essersi appena incarnata, secondo la tradizione platonica e neoplatonica del brano dell’ Odissea al centro de L’Antro delle ninfe di Porfirio (che ci riporta anche alla visione di Ulisse come pellegrino dell’anima). L’astronomia e l’astrologia si intrecciano nel pensiero e negli studi e trattati umanistici, e le pratiche astrologiche all’epoca di Sigismondo sono prassi comune a tutti i livelli sociali e culturali, ma il dramma della ricerca del senso e del destino delle azioni umane tra la possibile fede nella “tirannia” deterministica degli astri e il libero arbitrio è intenso e ulcerante.
La dimensione del sogno (che stacca l’anima dal corpo, che fa vedere ciò che la nostra dimensione terrena impedisce di percepire) è quella attraverso cui attinge al vero ante mortem l’anima del condottiero-reggitore della repubblica del Somnium di Cicerone. Ugualmente attraverso un sogno e quindi attraverso un sogno nel sogno, l’anima di Polifilo – il giovane «amante di molte cose» e ancora amante della ninfa Polia – compirà il suo viaggio di conoscenza in Hypnerotomachia Poliphili. Nel sogno si attinge ad una dimensione filosofica dove è possibile intendere, vedere il percorso della Virtù verso il Bene, mentre nella vita terrena la filosofica “morte al mondo” passa per il filosofo – come per Polifilo – attraverso la rinuncia alle passioni dei sensi, dal desiderio all’amore fisico.
Il Tempio malatestiano non è certo il “Tempio dell’amore” delle letture tardo ottocentesche, è però un tempio dove l’amore terreno ancora si percepisce e “suona”, come sembrano udibilmente suonare gli strumenti degli schiacciati di Agostino di Duccio.
E quindi, nella ideazione del tempio/mausoleo e del suo ornato, nella grazia dei drappeggi e delle chiome mosse dal vento, nella sonorità diffusa degli strumenti evocata e quasi insinuata in ogni angolo della cappella di Isotta, perché non sentire anche la sensualità partecipe del rapporto tra Isotta e Sigismondo? Il corpo di Sigismondo e il corpo di Isotta degli Atti (giovanissima amante e poi terza moglie di Malatesta) dopo aver abitato in questo mondo erano destinati ad abitare nel Tempio, seppur destinati alla gloria delle stelle (sull’interpretazione della D dell’epigrafe D Isottae Ariminensi b m sacrum. M. CCCCL come Divae piuttosto che Dominae giocò con intenzione Pio II Piccolomini per demonizzare Sigismondo e il suo Tempio, con determinata “teatralizzazione” dovuta a complesse conflittualità). Eros sembra quindi vivere ancora nella schiera dei piccoli cupidi/infanti dalla gioiosa prolificità.
I riferimenti intellettuali alle proporzioni architettoniche rimandano altresì a un complesso dialogo evocativo, simbolico e pitagorico con la musica ben presente nel pensiero architettonico di Leon Battista Alberti. Musica e architettura, proporzioni e riferimenti musicali sono trattati con intenzione dall’architetto nel De re aedificatoria completato nel 1452 (la trasformazione della chiesa di San Francesco in Tempio malatestiano venne probabilmente – la letteratura al proposito è ampia – preso in carico da Alberti, sua prima opera messa in cantiere, negli anni immediatamente successivi, in collaborazione con Matteo de’ Pasti). La musica pratica d’altronde era stata molto presente nella prima parte della vita di Sigismondo a Brescia, alla corte del padre Pandolfo III, dove operava una florida cappella musicale (Sigismondo si pensa fosse ugualmente liutista e arpista). Nella corte malatestiana di Rimini aveva dominato tra il 1420 e il 1423 la figura di Guillaume Dufay (presente in Italia tra Roma, Bologna e altre sedi fino a metà secolo) il più grande musicista franco-fiammingo dell’epoca.
Ripercorrendo il Tempio come un teatro della memoria, personaggi e snodi della cultura e storia del tempo trovano evocazioni e rimandi: dai temi legati all’imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo di Lussemburgo (che nella calata a Roma nel 1433 fa cavaliere Sigismondo e il fratello, come si evoca nell’affresco di Piero della Francesca, in cui il condottiero è inginocchiato davanti a un San Sigismondo con le fattezze dell’imperatore dallo stesso nome) al concilio dell’Unione delle chiese romana e bizantina di Ferrara-Firenze del 1438-39; dalla presenza intellettuale e politica di Nicolò Cusano, il grande cardinale filosofo tedesco a cui Piero della Francesca fu vicino, a quella diplomatica di Bessarione, il cardinale bizantino in forza alla chiesa romana, instancabile umanista e propugnatore della crociata contro i turchi che minacciavano l’Impero d’Oriente. Quell’Impero con cui i Malatesta avevano stretto legami familiari, e alla cui disperata difesa Sigismondo dedicherà l a sua ultima impresa da crociato tra il 1464 e il 1466, portando quindi a Rimini e deponendo in una delle arche esterne del Tempio le ossa del filosofo platonico Giorgio Gemisto. Il Tempio evoca anche la determinazione antimalatestiana dei nemici: da Federico da Montefeltro a Pio II che volle mandare Sigismondo all’inferno da vivo e che bollò di paganesimo la fabbrica simbolica del Tempio. Ed evoca Maometto II, il turco indomito che prese Bisanzio nel 1453 e chiuse la millenaria storia dell’Impero Romando d’Oriente, favorendo contestualmente l’immigrazione culturale greca nell’Occidente, uno tra i più incisivi fenomeni culturali della storia moderna.
Il Tempio apre spaccati storici e spinge a studi verso dialettiche filosofiche e religiose che passano impetuose attraverso l’arte. Temi che non cessano di essere, anche oggi, “provocazioni culturali” che si rispecchiano nella nostra contemporaneità e che rendono oltremodo vivo e stimolante il contatto con un periodo complesso e appassionante come il Quattrocento. Nell’incontro/scontro tra cristianesimo e istanze umanistiche, nella rinascita e “applicazione” dell’antico e del suo pensiero, ritroviamo sempre fresche aspirazioni al rinnovamento etico e civile e all’ascolto intenso del tema dell’anima.
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