Rivista "IBC" XXV, 2017, 3
biblioteche e archivi / pubblicazioni
Sono numerosi gli scrittori romagnoli che vantano un rapporto privilegiato con il cibo scritto o cucinato. A cominciare da Olindo Guerrini a cui si deve un testo meritorio come L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa,per proseguire con Alfredo Panzini, Antonio Baldini, Aldo Spallicci. Quanto a Pellegrino Artusi, la sua Scienza in cucina è decisamente molto di più di un manuale: l’enorme fortuna editoriale e l’attenzione di studiosi come Piero Camporesi ne hanno elevato lo status a testo sacrale delle famiglie dell’Italia postunitaria, ispiratore di un gusto e di una lingua gastronomica condivisi. Finora però Marino Moretti, poeta e scrittore di Cesenatico, sembrava sfuggire a questa “foto di gruppo” e discostarsi dal cliché dell’intellettuale romagnolo gaudente e buongustaio. Lui stesso, del resto, richiesto di introdurre nel 1960 un testo sui mangiari di Romagna, aveva risposto: “Debbo anche confessare a mio disdoro che di tutti gli scrittori della nostra terra io sono il meno romagnolo, e in questo caso anche il meno godereccio”. Un libro recente curato da Manuela Ricci, con la presentazione di Piero Meldini, Sapore Marino. Pagine di cucina romagnola in prosa e qualche verso di Marino Moretti (Minerva, 2016), si occupa di confutare questo assunto e anche l’opinione – come si vedrà contraddittoria – del diretto interessato. Manuela Ricci, responsabile di Casa Moretti dal 1995 e autrice di numerose ricerche e pubblicazioni che partono dall’archivio e dalla biblioteca conservati nella casa museo, ha operato per l’occasione una selezione ragionata dei testi di Moretti che parlano a vario titolo di cibo e li propone in forma di arguto, ma ineccepibile menu letterario, articolato in: Entrée; Portate principali; Pagine di contorno; Minutaglie e briciole (piccoli assaggi) per finire con una Appendice (ma solo per palati forti). Scopriamo così, gustando queste pagine, che Moretti era tutt’altro che indifferente al tema del cibo e che la ricerca si è rivelata “una buona occasione per parlare non solamente delle sue preferenze culinarie, bensì anche di quelle letterarie che paiono in qualche modo coincidervi”. Così “seguire Moretti in cucina, assistere al suo accomodarsi a tavola – scrive ancora la curatrice – equivale… a osservarlo al suo tavolino-scrivania”. Le connessioni tra cibo e parola si rivelano molteplici e consapevoli sia nei romanzi che nelle raccolte in prosa e in versi che spesso hanno titoli evocativi come Pane in desco (1940), L’odore del pane (1942), Le poverazze (1973). La scelta di fondo riguarda insieme il gusto e la poetica e associa un linguaggio che vuole essere antiretorico, essenziale e quotidiano ai piatti semplici, ben preparati, composti di ingredienti genuini e non sofisticati. Per dirlo con le parole di Moretti è la scelta di “un’arte di sole uova”. Un’arte che ritrova proprio nella cucina, intesa come spazio domestico, uno dei suoi luoghi emblematici. La cucina di casa, per il crepuscolare Moretti, è il luogo delle memorie infantili, della condivisione degli affetti familiari, il regno in cui la madre e più tardi le donne di casa si muovono con gesti discreti e perfetti. Quanto ai cibi, le scelte del poeta vanno ai piatti della cucina di costa: la piada innanzitutto, sulle orme dell’analoga predilezione pascoliana, i primi a base di pasta fresca, il pesce cotto alla griglia o in brodetto.
Un racconto autobiografico del 1954 riportato nel volume descrive bene lo stretto rapporto che lega cibo e poesia sotto il cielo di Romagna: Moretti guida un gruppo di amici in pellegrinaggio da Cesenatico a Casa Pascoli nella vicina San Mauro. Di tutta la casa, la comitiva sceglie la cucina e al grido di “Siamo tutti pascoliani” convince la suora custode a lasciar preparare la piada alla domestica Manghetta che aveva portato con sé gli ingredienti. Poi la piada, cibo della tradizione, dei poveri e dei poeti, viene tagliata a quadretti ed equamente distribuita.
Libro
Marino Moretti, Sapore Marino. Pagine di cucina romagnola in prosa e qualche verso di Marino Moretti, a cura di Manuela Ricci, Minerva, Bologna 2016.
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