Rivista "IBC" XXV, 2017, 1
Dossier: Il Catalogo forma ed essenza del patrimonio
musei e beni culturali, dossier /
La collezione tessile “Luigi Alberto Gandini”
Quando nel 1886 i Musei Civici si trasferirono nella nuova sede del Palazzo dei Musei, l’allestimento comprendeva già la Collezione Gandini, uno degli assi portanti dell’istituzione stessa.
Gli oltre duemila frammenti tessili furono ordinati in una grande sala con arredo, illuminazione e decorazione pensati appositamente per quella tipologia di oggetti. Il conte Luigi Alberto Gandini, oltre ad avere ben presente quali fossero le esigenze museografiche dei materiali da lui collezionati, elaborò un sistema classificatorio molto vicino ai moderni criteri di schedatura. Ad ognuno dei frammenti di tessuto che componeva la raccolta, lo studioso dedicò una scheda redatta su un foglio prestampato recante le principali voci identificative: inventario, oggetto, datazione, provenienza, misure, materia e tecnica ecc. Una metodologia assai vicina ai criteri conoscitivi attuali che, sviluppando per ogni oggetto un documento a se stante, si svincola e supera quello strumento imprescindibile che è l’inventario. A quelle date resta un caso abbastanza isolato nel panorama museale e, benché a distanza di un secolo, forse non è del tutto casuale che proprio su quella raccolta, iniziò in collaborazione con l’IBC, il capillare lavoro di ricognizione e di restauro, sfociati poi nella pubblicazione dei quattro cataloghi della collezione e del suo riallestimento nella sala storica. La prima schedatura iniziò nel 1980 su un modello messo a punto dal CIETA ma che non poteva che continuare, ampliandolo, lo schema di Gandini; fu l’ incipit di un’attenzione e di una cura da parte dell’IBC durata oltre un trentennio ma, se da un lato il caso divenne esemplare, dall’altro ne causò una vera e propria “sovraesposizione”. E così, quando in tempi recenti iniziò il programma di schedatura informatizzata con i finanziamenti erogati in base alla L.R. 18/2000, la preferenza andò ad altre tipologie, pur restando la Gandini un esempio precoce e particolarmente fruttuoso.
Il Museo del Risorgimento
La prima vera campagna di schedatura prende il via nel 2003 e, rientrando in un più vasto progetto di valorizzazione dei musei del Risorgimento, ha come oggetto la collezione modenese i cui reperti, dopo la chiusura del museo avvenuta nel 1992, erano stati collocati in deposito. La sede, nonché i materiali storici e il loro allestimento, mostravano notevoli problemi conservativi, era inoltre necessario un aggiornamento degli studi storici. Contestualmente alla campagna di schedatura sono stati eseguiti la rilevazione fotografica, la manutenzione, il restauro e un nuovo stoccaggio di tutti gli oggetti, in totale 2176. Per 1135 di questi reperti è possibile vedere le schede on line, oppure consultare il catalogo pubblicato nel 2011 nella collana IBC “ER Musei e territori”:
Il Museo del Risorgimento di Modena a cura di L. Lorenzini, F. Piccinini, BUP Bologna, nel quale sono stati affrontati temi come la storia del museo stesso, le vicende politiche di cui è stato un riflesso nonché una lettura storica aggiornata. Sono stati inoltre schedati un prezioso nucleo documentario di 2780 carte autografe; oltre 2500 immagini che il “Fotomuseo Giuseppe Panini” conserva dopo l’informatizzazione e la manutenzione; 2300 volumi dei 4000 facenti parte della biblioteca specializzata sono stati inseriti nel Catalogo Biblioteche del Sistema Comunale e Provinciale (OPAC); infine, a cura dell’IBC, è stato riordinato l’archivio. Un imponente lavoro che tuttavia non ha portato alla riapertura del Museo del Risorgimento ma che ha fatto, piuttosto, maturare la convinzione che il nuovo allestimento debba svilupparsi nel contesto dell’ampliamento dei Musei Civici, ora in fase di progettazione negli spazi recuperati dell’ex Ospedale Estense.
Inaugurato nel 1894, il museo fu trasferito nel 1924 in due sale del piano terra del Palazzo dei Musei, ancora oggi identificate come tali nonostante la diversa funzione.
La collezione dei dipinti e il fondo “Giuseppe Graziosi”
Se le raccolte “Gandini” e del Risorgimento possono essere ricondotte ad un percorso conoscitivo canonico - dall’inventario alla schedatura, dallo studio approfondito alla pubblicazione e, infine, all’allestimento museale - per i dipinti e le opere di Graziosi l’iter è contrario. La schedatura informatizzata (L.R. 18/2000) arriva infatti come atto conclusivo, dunque, più che di un’azione fondativa si tratta di un riconoscimento e di un importante strumento divulgativo. Le 280 schede dei dipinti antichi e le 435 dei dipinti moderni sono state redatte a partire dai cataloghi già pubblicati, completate però da una campagna fotografica digitalizzata. Il patrimonio pittorico del museo comprende vari nuclei collezionistici: la collezione “Campori”, donata dal marchese Matteo nel 1929; la collezione “Carlo Sernicoli” donata nel 2007 e, infine, il fondo Graziosi, frutto di acquisti e doni, il più cospicuo dei quali avvenne negli anni ‘70 del Novecento da parte degli eredi dell’artista modenese. Da queste brevi annotazioni si evince quale sia stata la genesi dei Musei Civici, espressione cittadina di un singolare senso civico.
L avori in corso
Il lavoro serrato condotto in collaborazione con l’IBC non copre la complessità e la varietà delle raccolte museali, soltanto in parte studiate e oggetto di schedature e pubblicazioni. Attualmente si sta portando a termine l’informatizzazione del nucleo di ceramiche composto di circa 400 oggetti interi o ricomposti e 800 frammenti. In previsione per il prossimo futuro è la schedatura della raccolta di strumenti scientifici.
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