Rivista "IBC" XXV, 2017, 1
Dossier: Il Catalogo forma ed essenza del patrimonio
Un “caso”: come diversamente definirlo quello che all’interno dell’attuale sistema museale emiliano-romagnolo riguarda proprio Forlì?
Qui c’è una città che appare interamente investita dal nuovo rispetto alle proprie istituzioni culturali, tanto più all’indomani del duro colpo inferto dall’ultima violenta scossa di terremoto alla sede storica di Corso della Repubblica, dove con i musei ha sede la civica biblioteca con le sue collezioni piancastelliane.
Certo, una vera e propria “movimentazione” aveva investito il patrimonio artistico locale, ben prima che Palazzo del Merenda venisse quasi interamente interdetto al pubblico per motivi di sicurezza. Già la sezione antica della pinacoteca risultava in parte riordinata all’interno dell’ex comparto conventuale di San Domenico, divenuto noto al mondo dell’arte per le “grandi mostre” annualmente promosse dalla Fondazione Cassa dei Risparmi. Ma poi, e siamo al 2012, ecco nascere all’interno del palazzo, che fu un tempo della nobile famiglia Romagnoli, il nuovo museo per le raccolte civiche del Novecento. Qui finalmente ha trovato “casa” una delle più straordinarie collezioni d’arte italiana del secolo scorso, quella costituita dall’industriale Giuseppe Verzocchi nell’immediato dopoguerra sul tema “Il lavoro”, poi donata alla città di Forlì e per troppo tempo rimasta obsoleta all’interno di Palazzo del Merenda. E sempre al Romagnoli, ora sono visibili le serie delle sculture di Adolfo Wildt che rimandano al nome di Paulucci de Calboli e i “gioielli” morandiani della Collezione Righini, mentre un percorso nella vicenda artistica romagnola del secolo scorso è stato tracciato attingendo dal cospicuo patrimonio figurativo che collega il tardo ‘800 alla contemporaneità.
Un tale fermento progettuale destinato a determinare nel breve periodo nuove espansioni degli ordinamenti museali del San Domenico e del quasi adiacente Palazzo Romagnoli e, non ultimo, un riassetto dello stesso Palazzo del Merenda, non poteva che essere accompagnato da un’azione conoscitiva sistematica del patrimonio artistico di pertinenza comunale. Un vero e proprio piano poliennale di catalogazione concordato con l’Istituto per i beni culturali, ha prodotto effetti concreti per la sezione antica della pinacoteca, sia per quanto concerne la revisione delle schedature e delle documentazioni fotografiche preesistenti, sia l’inserimento di nuove schede con le relative immagini nel Catalogo del Patrimonio Culturale dell’Emilia-Romagna.
I numeri sono eloquenti. Risultano oggi accessibili in rete le schede di ben 1026 opere della Pinacoteca, mentre sono attualmente oltre 1500 quelle in fase di verifica e compilazione. Va sottolineato che le continue campagne di catalogazione hanno permesso di schedare e divulgare ben 3784 fra opere e oggetti d’arte, beni demoetnoantropologici, strumenti, materiali musicali e fotografici delle vaste raccolte civiche forlivesi (Pinacoteca, Museo Etnografico Romagnolo “B. Pergoli”, Museo Romagnolo del Teatro, Museo del Risorgimento “A. Saffi”, Villa Saffi e Museo Storico “Dante Foschi”).
Ma il più significativo “cantiere aperto” sul fronte catalografico è quello che riguarda proprio le raccolte novecentesche e i materiali della contemporaneità che da qualche anno fanno capo alla sezione museale di Palazzo Romagnoli.
Qui, può dirsi esaurita una prima fase di lavori che ha riguardato la Collezione Verzocchi, compreso anche il corpus delle opere grafiche strettamente connesso alla componente pittorica, ed altri nuclei di particolare rilevanza, come quelli monografici di noti artisti forlivesi, da Giovanni Marchini, a Maceo Casadei, a Pietro Angelini. Ma straordinariamente vario ed articolato è il patrimonio che l’apprezzatissima serie espositiva intitolata Novecento rivelato andata in onda negli scorsi anni a Forlì ha consentito di apprezzare nelle sue molteplici componenti. È dunque su tali materiali, che all’interno di Palazzo Romagnoli si sta oggi concentrando un’azione conoscitiva estremamente precisa e capillare, come può dimostrare anche la recente indagine svolta sul corpus delle xilografie di Antonello Moroni.
Nell’impresa catalografica in atto, la miglior via è sembrata quella indicata dallo stesso ordinamento espositivo all’interno del palazzo di via Albicini, con l’accattivante titolo di Grande Romagna e nel quale è possibile riconoscere ed identificare alcuni nuclei tematici precisi: è il caso della scultura con una presenza inaspettatamente notevole, specialmente per il periodo tra le due guerre; oppure delle opere che rimandano al rinomato “Cenacolo Forlivese” che tra gli anni Venti e Trenta animò la vita cittadina; o ancora dei materiali che si riferiscono alle varie “stagioni dei premi”, quella delle “sindacali” prebelliche, ma specialmente quella del secondo dopoguerra con la “Biennale Romagnola d’Arte”.
Ma certo non sarà “catalograficamente” trascurato il non esiguo nucleo di opere della civica pinacoteca che rimandano alla creatività del nostro tempo. Come dev’essere, in fondo, per un Palazzo Romagnoli che pure al contemporaneo intende quanto prima connettersi.
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