Rivista "IBC" XXV, 2017, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier / pubblicazioni
Fossoli-Carpi-Fossoli, dal Campo al Museo e ritorno: è il percorso – che si estende per pochi chilometri e lungo più di settant’anni – tracciato dal volume Il Museo Monumento al deportato politico e razziale di Carpi e l’ex Campo di Fossoli, a cura di Marzia Luppi e Patrizia Tamassia edito nella collana IBC "ER Musei e Territorio Cataloghi”.
Duplice l’intento della pubblicazione: da un lato illustrare, come è proprio della raccolta nella quale è inserita, le ragioni culturali e progettuali del Museo e presentarne il patrimonio. E soprattutto riaffermare – fin dal titolo e dedicando una densa sezione all’ex Campo di Fossoli, situato a poca distanza dalla sede museale del Castello dei Pio, nel centro di Carpi – quello che Angelo Varni individua nelle premesse come “l’ineludibile legame” tra le due strutture, in grado di esemplificare al meglio l’ormai acquisito assunto della funzione del museo quale “manifestazione tangibile della cultura del territorio dove si trova collocato (…) in tutta la sua forza espressiva di una storia comunitaria, di una fisionomia collettiva (…)”.
Legame ineludibile, a partire dalla derivazione del Museo dalla presenza del Campo, ma certo non scontato, bensì frutto di precise scelte culturali e politiche consolidate negli ultimi anni, che tendono sempre più a evidenziarne le reciproche interconnessioni dopo decenni di “percorsi paralleli” tracciati nell’introduzione di Patrizia Tamassia. Edificato nel 1942 dal Regio Esercito per l’internamento dei militari nemici, poi gestito in successione da Repubblica di Salò e SS come campo di concentramento e transito verso i lager nazisti; nel dopoguerra di volta in volta centro di raccolta per profughi stranieri "indesiderabili", prima sede della comunità di Nomadelfia, rifugio dei profughi giuliano-dalmati provenienti dall’Istria, infine svuotato e in abbandono: Fossoli è oggi – come rileva efficacemente nel suo saggio Andrea Luccaroni – un “palinsesto risultante dalla condensazione di sovra-scritture successive”, una “impressione sfuocata della memoria sul dorso sensibile del territorio” la cui difficile comprensione, segnata dalla dissoluzione del supporto materiale, può trovare una chiave di accesso solo nel pieno recupero delle sue connotazioni storiche e nella rilettura del rapporto delle sue tracce fisiche con il paesaggio.
Nonostante l’impulso impresso dalla fondazione del Museo nel 1973, il percorso di conservazione e fruizione del Campo – prefigurato dalla legge speciale del 1984 che ne trasferì la proprietà dal Demanio al Comune e dall’incompiuto concorso internazionale, bandito nel 1990, per il suo recupero “a Museo nazionale” – non ha però trovato per decenni un vero sbocco. Fino al 2011, anno del riconoscimento ministeriale come luogo di valore storico e testimoniale e pertanto sottoposto a tutela, e al 2012: decisivo quest’ultimo, non solo per il drammatico sisma che ha inflitto ulteriori danni alle strutture in disfacimento, ma anche per l’avvio di una collaborazione tra Fondazione ex Campo Fossoli, Università di Bologna, Comune di Carpi e Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per il restauro, la conservazione e la fruizione di questo importante sito. Collaborazione che ha previsto – come illustrato nel saggio di Andrea Ugolini e Marco Pretelli – la definizione di un apposito “Codice di pratica” per la gestione, tutela e conservazione attiva dei luoghi, con la raccolta, analisi e messa a sistema delle informazioni archivistiche disponibili, la catalogazione dei manufatti edilizi superstiti – descritti da Chiara Mariotti e Alessia Zampini – e degli elementi vegetali negli anni integratisi alle strutture a formare un nuovo “sistema paesaggistico”, fino al recupero delle storie dei singoli che hanno fatto la storia collettiva del Campo.
Dal canto proprio, il Museo nasce su impulso dell’amministrazione comunale di Carpi associata ad altri enti locali, comunità ebraica, organizzazioni di deportati, internati, ex combattenti, e sulla base di solide premesse politiche e culturali. La sua genesi, delineata da Marzia Luppi, attraversa quasi due decenni, segnati da profondi mutamenti nella ricostruzione pubblica della Deportazione e dei suoi rapporti con la Resistenza, a partire dalla mostra nazionale dei lager nazisti allestita a Carpi nel 1955, decennale della Liberazione: evento che avviò il tardivo processo di riconoscimento pubblico del fenomeno della deportazione e dei lager italiani, fino ad allora gravato dal silenzio e dai “vuoti di memoria” segnalati da Alberto Cavaglion, individuando inoltre la funzione nazionale che Fossoli poteva esercitare in questo percorso. Il Museo si caratterizza così fin dalla nascita nei termini di un recupero attivo della memoria individuale e collettiva, grazie anche alla notevole efficacia e capacità di coinvolgimento dell’allestimento realizzato tra 1964 e 1973, in continua dialettica con il comitato promotore, dal celebre studio milanese di architettura BBPR. Lo studio impresse al progetto (soprattutto per contributo dell’architetto Lodovico di Belgiojoso e del grafico e partigiano Albe Steiner, testimoni entrambi, direttamente il primo e attraverso la tragica vicenda del fratello il secondo, del passaggio nel campo) una forte valenza culturale e civile: valenza sviluppata attraverso una concezione, nelle parole di Steiner citate nel saggio della figlia Anna, “antiretorica, anticelebrativa della deportazione”, che intendeva conferire alla testimonianza dei deportati un carattere insieme individuale e universale, fondendo gli elementi puramente testimoniali a quelli della ricostruzione storico-documentale e della rielaborazione artistica.
L’avvincente saggio di Giovanni Leoni analizza così il ruolo di primo piano occupato dal Museo Monumento nella storia dell’architettura italiana in relazione “all’elaborazione del sistema di memorie legato alla deportazione politica e razziale e alla sua traduzione in luoghi memoriali”. A questo problema il progetto carpigiano propone infatti una risposta nuova e originale rispetto alle soluzioni prospettate da altri due celebri monumenti progettati nell’immediato dopoguerra: quello romano ai caduti delle Ardeatine, che finisce per configurarsi nei termini retorici di nuovo altare della Patria celebrativo della Resistenza, “secondo Risorgimento” combattente che aveva liberato l’Italia dal nazifascismo; ma anche quello milanese ai Caduti nei campi di concentramento, sempre dei BBPR, esplicitamente dedicato alla deportazione politica e razziale e alla equiparazione della “resistenza passiva” dei deportati con quella attiva dei combattenti, ma in difficile equilibrio tra azione memoriale e riconciliazione razionalistica. Leoni sottolinea come il progetto di Carpi prospetti, già nelle intenzioni della committenza, “non un monumento, ma un Museo Monumento” o meglio un “sistema di luoghi” che prefigura fin dall’inizio un ruolo paritario per il Campo, luogo di memoria, e il Museo, luogo di riflessione in cui la dimensione evocativa “immemorabile” si compenetra con le componenti documentale ed espositivo-esperienziale. Progetto reso ancor più significativo dalle implicazioni connesse a restauro e musealizzazione dell’edificio monumentale del Castello, centro identitario della comunità di ancor più lunga durata, ad opera dello stesso studio che aveva curato restauro e allestimento dei Musei del Castello Sforzesco di Milano.
La connessione tra le due strutture carpigiane ritorna nella sezione del volume dedicata alla guida al Museo, progettata anche per una pubblicazione autonoma, che riserva al Campo una apposita scheda, completata da una interessante cronologia e da mappe orientative, in funzione della complementarietà di una doppia visita.
L’ultima parte della pubblicazione presenta il vasto e variegato patrimonio del Museo (opere d’arte, documenti, oggetti, fotografie, volumi e pubblicazioni), schedato con il supporto dell’IBC e disponibile sul catalogo del patrimonio culturale regionale PatER, attraverso il nucleo fondante costituito dai materiali esposti, selezionati da Lica e Albe Steiner, e una selezione di quello prettamente artistico frutto di successive donazioni, con schede delle collezioni Aldo Carpi e Alberto Cavallari a cura di Orlando Piraccini e della collezione Alberto Longoni a cura di Michela Ceriza.
Il Museo Monumento al Deportato politico e razziale di Carpi e l'ex Campo di Fossoli, a cura di Marzia Luppi e Patrizia Tamassia, Bologna, Bononia University Press, 2016 (Collana IBC ER Musei e territorio - Cataloghi). Fotografie in catalogo di C. Ferlauto (IBC), Mario Guglielmo (DM Pa), Roberto Zampa (Fondazione ex Campo Fossoli).
Le foto a seguire sono una selezione tratta dal volume.
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