Rivista "IBC" XXIV, 2016, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni

Villa delle Rose 1916-1936 nel centenario della donazione

Claudia Collina
[Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna]

Salire la scalinata corrosa dal tempo ed erta che porta alla “pittoresca” Villa è sempre emozionante e il rapido arrivo in questo luogo ameno e silenzioso, avulso dalla città pur essendone parte, incrementa l’imperituro fascino di questo sito che la contessa Nerina Armandi Avogli Trotti donava nel 1916 al Comune di Bologna affinché diventasse “luogo adatto a esposizioni permanenti o temporanee d'arte moderna”. E questo è stato, non senza alcune difficoltà nel corso del tempo, narrate dalle autrici nel volume di mostra con puntuale filologia con l’intento, riuscitissimo, di restituire al lettore/visitatore parte dello spaccato artistico, sociale e culturale, della Bologna meno nota e più minuta della prima metà del XX secolo.

La mostra, realizzata anche grazie al sostegno dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna (legge regionale n. 18 del 2000) e il volume, a cura di Uliana Zanetti con Barbara Secci, sono dunque una splendida occasione per rivedere come Guido Zucchini ordinò la prima Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1936; attraverso un allestimento il più possibile coerente all’originale, che tiene conto di varie dispersioni, furti e trascuratezze del patrimonio artistico dell’amministrazione dalla Seconda Guerra in poi, e che supera di gran lunga per valorizzazione delle opere, pulizia ed eleganza, quello proposto da Claudio Poppi nel 1996, nello stesso luogo, con la mostra Collezioni storiche della GAM.

In concomitanza con il centenario della donazione della Villa e con il IX centenario del comune felsineo, è stato realizzato il ponderoso libro Villa delle Rose 1916-1936 che si apre con un grande cameo, letterariamente affascinante, di Anna Maria Matteucci Armandi Avogli che narra la vita e la storia degli avi, colti e filantropi. Due coniugi à la page, dell’epoca modernista, Guelfo e Nerina Armandi Avogli: curiosi, generosi, “cultori del bello”, dediti al turismo culturale ante litteram e attenti agli aspetti sociali ed educativi che stavano trasformando la società d’inizio del XX secolo.

Manuela Rubini, in uno dei saggi, in seguito all’attento studio di numerosi documenti d’archivio, deduce che “i coniugi Armandi Avogli avevano una conoscenza e consapevolezza delle problematiche culturali, sociali e delle Istituzioni non banali, dovuta alle loro conoscenze e ai loro interessi nati in seno alle rispettive famiglie, che amarono i versi di Panzacchi e Carducci, le loro idee e quelle di Quirico Filopanti, e decisero di donare alla comunità ciò che avevano di più caro” (p. 59). Dal suo studio escono gli interessanti aspetti edificanti della coppia e del contesto cittadino da loro frequentato, anche se per breve tempo a causa delle malattie.

La lettura del libro, pietra miliare di ricostruzione filologica della vicenda delle origini della Galleria d’Arte Moderna della città (ora MAMbo), prosegue con il testo di Elena Pirazzoli che si districa con disinvoltura tra la complessità delle carte d’archivio e la storia per restituirci la narrazione delle traversie lunghe un ventennio tra la donazione della Villa e la nascita della Galleria d’Arte Moderna, con circostanze intrecciate ad altre situazioni culturali come il premio Baruzzi e le Collezioni comunali d’Arte, negli anni trenta sempre affidate alla direzione di Guido Zucchini.

Infine, Uliana Zanetti delinea il contesto culturale e storico-artistico che ha caratterizzato il ventennio preso in esame e, soprattutto, il suo riflesso sulle scelte effettuate da Guido Zucchini per l’apertura definitiva della sede espositiva avvenuta nel 1936, in piena epoca di regime fascista, ottemperando il desiderio della donatrice che il luogo fosse dedicato all’arte moderna. L’autrice chiarisce molto bene le problematiche in cui Zucchini incorse per ordinare un patrimonio artistico assai disomogeneo, iniziato a costruire in epoca socialista con i premi Curlandesi, Baruzzi e, in seguito, con nuove acquisizioni da artisti coevi e donazioni che danno corpo a un nucleo di opere che rappresenta la molteplicità di declinazioni e sfumature del post impressionismo locale con qualche esempio di espressionismo nazionale di ottima qualità artistica. La stessa Zanetti chiosa, alla fine: “non riteniamo arbitrario o ozioso l’aver rispettato un limite che indica nell’individuazione di quella prima raccolta una componente costitutiva della genesi del Museo d’Arte Moderna di Bologna, sulla quale è ancora necessario soffermarsi per riannodare la trama di una storia spezzata” (p. 142). Ed è sicuramente questo il senso in cui va letto questo encomiabile lavoro di scavo culturale e sociale che restituisce la forza e la tortuosità della storia, la generosità e la sensibilità di cittadini e studiosi, ma anche le contraddizioni di un’amministrazione che ha spesso trascurato con disinvoltura questo patrimonio; e contraddistingue ancora una volta Bologna come centro del conservatorismo, costellato al contempo da pulsioni d’avanguardia.

Villa delle Rose 1916-1936. Dalla donazione Armandi Avogli alla prima Galleria d'Arte Moderna di Bologna, a cura di U. Zanetti, B. Secci, Bologna, Istituzione Bologna Musei / MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna, 2016

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