Rivista "IBC" XXIV, 2016, 2
musei e beni culturali / mostre e rassegne
Ferrara, 22 aprile 1516. Nasce in un’officina tipografica della città degli Estensi la prima stampa dell’ Orlando Furioso, capolavoro letterario del Rinascimento: il sogno di Ludovico Ariosto, popolato di fate, maghi e cavalieri che si muovono, tra l’“audaci imprese” e le “cortesie”, sullo sfondo di un medioevo che esiste solo nella letteratura. Un immaginario incantato, intessuto delle suggestioni dell’epoca che agirono sulla fantasia del poeta.
Oggi, a cinquecento anni dalla pubblicazione del poema, ci si interroga sulla formazione dell’universo ariostesco. Quali fonti iconografiche ispirarono la narrazione? La risposta è la mostra Orlando Furioso 500 anni, allestita dal settembre scorso e fino al 8 gennaio 2017 al Palazzo dei Diamanti per iniziativa di Ferrara Arte e del Ministero dei beni culturali.
“Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi e si accingeva a raccontare una battaglia, un duello o una magica apparizione?” si sono chiesti Guido Beltramini e Adolfo Tura, curatori dell’esposizione con Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e con un comitato scientifico di storici dell’arte, letterati ed esperti di settore. Alla domanda hanno risposto le sezioni della mostra − evento imperdibile e originalissimo − che abbracciano tutta la cultura dell’epoca del reggiano: dalle battaglie ai tornei, dalla vita di corte all’epica del cavaliere, dalla fascinazione dei viaggi all’incontro con il meraviglioso e a quella rivoluzione estetica che all’aprirsi del secolo cambiò le arti visive, e con loro le immagini della letteratura. Guidati da capolavori che spaziano dal Rinascimento fino alla flessione di un’impercettibile Maniera, i visitatori sono condotti in un percorso avvolgente e fortemente evocativo, giocato su un approccio “interdisciplinare”. Grazie a prestiti da tutto il mondo, sono un’ottantina le opere presentate, tra sculture, arazzi, codici miniati, strumenti musicali, armi e specialmente dipinti: il mondo mentale di Ludovico. Da Pisanello a Paolo Uccello e al Mantegna, da Leonardo a Raffaello, e da Tiziano al Dosso, le immagini che accesero la fantasia del poetasono il perno di un itinerario che offre una panoramica sull’ambiente delle corti rinascimentali nel quale prese forma l’ Orlando Furioso. Una retrospettiva, perciò, e un “prima” rispetto a I voli dell’Ariosto, allestita fino al 30 ottobre nella Villa d’Este a Tivoli per il medesimo centenario, ma con la finalità di illustrare il “dopo”, vale a dire la ricaduta del poema sulle arti figurative.
A Ferrara si comincia con il Boiardo. Il Furioso ebbe inizio dall’ Inamoramento de Orlando, il romanzo cavalleresco edito trent’anni prima: come dire, il modello della materia epica dell’Ariosto, ispirata al tema, allegorico, della “cerca” del cavaliere. Una “cerca” simbolica. Non a caso, introducono alla prima sezione opere straordinarie, ricche di implicazioni e collegate tra loro da una successione espositiva geniale. Intrigantissimo il Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Veneto (1510), dove allegorie colte alludono alla “ quête”, o in altri termini la ricerca interiore, prima che avventurosa, perseguita dai paladini, e non necessariamente sui campi di battaglia. Dal labirinto ai nodi di Salomone ricamati sul “giupone”, e dalla pigna verde (garanzia di resurrezione) all’emblema “ Esperance me guide” riecheggiante un sonetto del Boiardo − ma con un occhio al Petrarca − tutto rimanda, qui, al simbolo, e a quel percorso virtuoso che si legge in filigrana dietro il racconto epico. Questo sistema allegorico piaceva molto alle corti dove, dai Fedeli d’Amore e giù giù fino al Boiardo, si sapeva benissimo che la chanson de geste impartiva implicitamente un insegnamento morale, e cioè l’arte di mettersi in guardia e di vigilare contro l’inganno (la selva, il Palazzo di Atlante). Gli Este apprezzavano questo gioco, e così, accanto al ritratto, ecco la Cornice per specchio del Victoria and Albert di Londra: un trattato di filosofia ermetica con una “Y” pitagorica che divide in basso le due parti del manufatto e le aggancia a un ragionamento sulla scelta tra il bene e il male, svolta con una quantità di simboli che rimandano all’idea dello specchio interpretato come riflesso dell’anima.
Altri oggetti, originalissimi e di grande interesse, introducono alla sezione successiva, quella della battaglia, rappresentata da un arazzo tumultuoso con La battaglia di Roncisvalle, da un disegno di Leonardo proveniente da Windsor mai esposto prima e, soprattutto, da due pezzi senza paragoni: l’ Olifante di Orlando, corno d’avorio conservato a Tolosa (sec.XI) − secondo la leggenda, quello che il paladino fece risuonare tra i Pirenei − e l’ Elmo da giostra del Kunsthistorisches Museum di Vienna (1350 ca.), sormontato da un cimiero con corna di bufalo in cuoio sagomato: un manufatto unico al mondo, e perfettamente conservato.
Ludovico Ariosto, ospite degli Estensi, consultava le biblioteche, e sognava il suo mondo abitato da dame e cavalieri. Perciò, nella sezione dedicata alla corte, e non solo in quella, miniature francesi ed edizioni rare introducono al ciclo arturiano, né mancano disegni di architettura − da Raffaello a Bramante − che ci aiutano a orientarci sugli scenari che potremmo immaginare quando leggiamo il Furioso; magari, ascoltando il Lamento di Orlando musicato dal Tromboncino, evocato da una partitura dell’epoca e dalla Lira da braccio proveniente dalle collezioni del Catajo. Formidabile, qui, la serie dei dipinti, dove il Fedra Inghirami di Raffaello, proveniente dalla Galleria Palatina, richiama il teatro e la drammaturgia antica al tempo di Ludovico.
Gli Este discendevano da Ruggero e Bradamante, eroi del Furioso, e così ecco il Ritratto di Leonello II, capolavoro del Pisanello e un’Isabella d’Este raffigurata con virtù guerriere come Minerva che scaccia i vizi dal giardino delle virtù nella tela, celeberrima, dipinta da Andrea Mantegna per lo studiolo della marchesa (Parigi, Louvre, 1502). Qui, nel 1507, passeggiava lentamente l’Ariosto; ospite dei signori di Mantova, osservava i dipinti del “camerino”. L’opera, una delle vette della pittura italiana, colpì la sua fantasia e gli servì quando, nel VI canto, gli toccò immaginare le creature ibride del palazzo di Alcina, pronte allo scontro con Ruggero: “questi monstri potranno servire per lo Palazo d’Alzina” meditava tra sé.
Ma se per il suo mondo di fiaba non gli mancavano i modelli, quale volto poteva dare ai suoi paladini? Come rappresentare un guerriero antico, un cavaliere vissuto nell’VIII secolo? A quali immagini guardò, il poeta, e ancor più quali fisionomie sognarono i suoi lettori leggendo le peripezie di Orlando, del valoroso Rinaldo o di Bradamante e Marfisa, le bellissime donne guerriere?
Risponde a questo interrogativo una carrellata di opere, proponendo una fisionomia per gli eroi del Furioso; i paladini potevano assomigliare all’ Ettore del Filarete, al San Giorgio di Cosmè Tura o allo splendido condottiero Ritratto con lo scudiero, capolavoro di Giorgione dove un cavaliere androgino inclina a un sentimentale che piaceva molto all’estetica cortigiana, coinvolgendo l’universo della donna d’armi: dalla Giuditta di Vincenzo Catena, più seduttiva che bellicosa, alla giovane con cimiero disegnata a sanguigna da Marco Zoppo, una ragazza ritratta di profilo con un copricapo fantastico. “sopra l’elmo una fenice”, scriveva infatti nel Furioso (XXXVI).
L’atmosfera onirica del San Giorgio e il drago di Paolo Uccello, perla del Jaquemart-André di Parigi, ci introduce alla sezione dedicata al “meraviglioso” e alla ricaduta, sulla fantasia dell’Ariosto, della favola, mediata dal romanzo epico francese; ma con un occhio alla mitologia. Così, forse, La liberazione di Andromeda raccontata da Ovidio e interpretata in mostra da un Piero di Cosimo “surreale” (Firenze, Uffizi) ispirò l’Ariosto, quando, ospite di Giovanni Vespucci, vide le opere del pittore, e cominciò a pensare a come raffigurare l’episodio di Ruggero che libera la bella Angelica.
L’aspetto della “meraviglia” ci accompagna nella sala successiva, riservata alle scoperte geografiche e alle relazioni di viaggi in terre sconosciute, sulle quali si poteva solo fantasticare. Magari, consultando la Carta del Cantino, capolavoro della cartografia rinascimentale che tracciava la via marittima per il nuovo mondo indicata da Vasco de Gama e apriva nuove possibilità al commercio, e insieme all’egemonia extraeuropea dei governi; un documento probabilmente non ignoto al reggiano, il quale, poi, nel XV canto del Furioso elogiava “Quel Doria che fa dai pirati / sicuro il vostro mar per tutti i lati” rendendo onore all’ammiraglio Andrea Doria, ritratto, in mostra, da Sebastiano del Piombo.
Poi, cuore pulsante dell’esposizione, ecco la sezione sulle fonti letterarie e le edizioni dell’ Orlando Furioso (approfondite in catalogo da saggi fondamentali), integrata da una divagazione sulla Bellezza, ideale e astratta, interpretata da una Venus pudica del Botticelli: “con bionda chioma lunga et annodata”.
Ma, nell’età di Erasmo, il desiderio e l’inseguimento del Bello, una pulsione inappagata, provocano la Follia. Ecco, allora una riflessione sulla pazzia d’Orlando, e un excursus originalissimo sull’elemento lunare: l’astro descritto dal poeta è una sfera lucida, riflettente, che nel Furioso assomiglia straordinariamente al Globo già sull’obelisco vaticano, e oggi esposto a Palazzo dei Diamanti.
Il percorso prosegue e, sala dopo sala, attraverso una panoramica formidabile sulla civiltà di un secolo, il ‘500, il visitatore viene introdotto alla maturità del poeta quando, al volgere del terzo decennio, il Furioso conosce il successo. A due anni dalla prima edizione, Dosso Dossi si ispira al poema, e dipinge il suo capolavoro, la Melissa, giunta a Ferrara dalla Galleria Borghese (1518) per testimoniare una fortuna figurativa senza precedenti.
In quegli anni, e sono anni cruciali, il mondo cambia radicalmente. Finisce l’egemonia della Francia, segnata dalla battaglia di Pavia (1525) richiamata in mostra dalla spada di Francesco I° e da un arazzo monumentale dove si racconta la cattura del sovrano. Carlo V trionfa, e rimane arbitro dell’Europa. Il suo potere si allarga sulle corti padane.
Ludovico rielabora continuamente i suoi manoscritti: nel 1521 mette mano a una seconda edizione, e nel 1532 ne licenzia una terza. Ma l’attività letteraria non lo isola dai fatti storici che si succedono in quel momento. L’eco di quegli sconvolgimenti attraversa il poema, e lascia traccia; specialmente nell’ultima versione del poema, dove si avverte il passaggio a una classicità nuova. Purificato dalle inflessioni locali, il Furioso diventa un “capolavoro italiano”, e un simbolo della letteratura del Rinascimento.
E mentre cambia il linguaggio, si trasformano le arti figurative. Maturano espressioni nuove, e prende forma la Maniera moderna, un linguaggio pienamente italiano che si affaccia a partire dalle novità introdotte da Raffaello e da Michelangelo, ricordato in mostra da una copia della Leda perduta.
Di questo mutamento, l’Ariosto è testimone, e assiste alla nascita dei capolavori eseguiti per il duca Alfonso che daranno vita a una delle più belle pagine della storia dell’arte del ‘500: è il camerino delle pitture, rappresentato, a conclusione della mostra, dal Baccanale degli Andrii (1522-1524), capolavoro di Tiziano conservato al Prado e ora di ritorno in Italia dopo più di quattrocento anni.
Il dipinto e il poema condividono gli stessi orizzonti e i medesimi riferimenti letterari e figurativi, sia moderni che antichi (nella tela, l’ispirazione alla fabula). Caratterizzate da un linguaggio pienamente rinascimentale, capace di dare vita a un insieme narrativo unitario, intensamente dinamico, queste opere aprono la cultura europea a una classicità nuova, e inaugurano l’età moderna.
Mostra: Orlando Furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi, Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 24 settembre 2016-8 gennaio 2017
Catalogo: Guido Beltramini, Adolfo Tura, Orlando Furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi, catalogo della mostra, Ferrara, Fondazione Ferrara Arte, 2016
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