Rivista "IBC" XXIV, 2016, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Bologna dopo Morandi 1945-2015

Claudia Collina
[Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna]

Quando Renato Barilli e io c’incontrammo a Prato, l’anno scorso in occasione del primo Forum sull’Arte Contemporanea organizzato da Fabio Cavallucci, gli chiesi se era soddisfatto di vedere che due dei suoi allievi della Scuola di Specializzazione in Arti Visive Contemporanee avevano trovato una soddisfacente e autonoma fisionomia professionale. Barilli, con squisitezza, rispose che non c’erano più professore e allievi, ma solo storici e critici d’arte insieme. E ora, eccomi qui come sua collega a recensire la sua importante mostra, Bologna dopo Morandi 1945-2015,ideata con Fabio Roversi Monaco e ordinata nelle sale di Palazzo Fava per continuare “a raccontare le qualità del Genus Bononiae, vale a dire della comunità bolognese e, nel corso della storia, delle sue peculiari e secolari caratteristiche” (Roversi Monaco, 2016); e quale ideale tassello mancante della precedente rassegna espositiva Da Cimabue a Morandi, curata allora da Vittorio Sgarbi e liberamente ispirata nel titolo alla famosissima raccolta di saggi di Roberto Longhi, edita nei Meridiani da Gianfranco Contini.

Bologna dopo Morandi, dunque. Renato Barilli, geografico e cogente al contempo e come sempre significativo, traccia un itinerario storico e critico suddiviso in dodici “stazioni”, tappe temporali e culturali in cui si confrontano le opere degli artisti, protagonisti attivi delle trasformazioni intellettuali di sette decenni a Bologna, con riflessi osmotici nazionali e internazionali. Un percorso organizzato e allestito per suites, con la dichiarata difficoltà del curatore “di dover concentrare in un’unica apparizione l’apporto multiforme e disteso nel tempo dei vari artisti, in genere provvisti di una loro diacronia, ma ci sono percorsi che esigono di prendere visioni distaccate e distinte delle loro trasformazioni” (Barilli, 2016, p.17).

Barilli è sempre fedele alla sua metodologia scientifica ed esegetica fondata, con rare concessioni alla storiografia dell’arte, sulla convinzione che lo sviluppo delle arti proceda in omologia, in “identità funzionale”, con quello della scienza e della tecnologia e che vi sia un minimo comune denominatore di corrispondenza generazionale tra gli artisti, anche con le dovute eccezioni che, a suo avviso, confermano più che mai la regola; anche quella di un processo artistico che cresce e s’innova grazie a un interscambio tra opposti contrastanti, poetici e formali.

Il suo viaggio bolognese inizia immediatamente dopo la Seconda Guerra, nel mezzo della complessità delle trasformazioni artistiche, il cui indicatore rimane la mostra nazionale Alleanza della culturatenutasi proprio a Bologna nel 1948. Egli prende le mosse da due maestri capostipiti, Giorgio Morandi e Virgilio Guidi: il primo capace di un rinnovamento segreto e dissimulato dalla costanza tematica della sua pittura attraverso “una serie di sottilissime varianti del suo mondo solo in apparenza immoto”, il secondo “per una continua ansia di rinnovamento, ma soprattutto per una effettiva incidenza sugli autentici protagonisti della nostra seconda metà del secolo”. Questa tappa sfiora l’originalità di Carlo Corsi per addentrarsi nella polemica artistica tra figurativi e astratti, Aldo Borgonzoni versusGiovanni Ciangottini, ove tra i due lo scultore Luciano Minguzzi riusciva ad “amministrare le due doti di fondo”, addensando e dilatando motivi espressionistici a sintesi astrattive. Sino ad arrivare a Sergio Romiti, raffinato interprete della stagione postcubista ed erede designato di Morandi, che però non resse all’ondata dilagante dell’Informale, europeo e statunitense.

La seconda meta è la straordinaria stagione dell’Ultimo naturalismo arcangeliano. Durante gli anni della Seconda Guerra erano cresciute e affermate, intersecandosi tra l’America e l’Europa, le nuove istanze che rilanciavano definitivamente esperienze figurative come il surrealismo e l’astrattismo geometrico e concreto; nonché l’esplosiva novità dell’espressionismo astratto americano, con l’action painting di Jackson Pollock e le sue propaggini evolutive nell’informale europeo. Il critico bolognese Francesco Arcangeli individuava, all’inizio degli anni cinquanta, un gruppo “padano” di artisti lombardo-emiliani che, in maniera del tutto indipendente, sganciandosi dall’ethos collaudato della mimesi, sviluppavano le proprie ricerche artistiche “frenati e animati da un rapporto: la natura” (Arcangeli, 1954). Egli scorgeva negli ultimi naturalisti gli autori capaci di un confronto viscerale ed espressivo con la vita, rinnovato esistenzialmente nel rapporto tra uomo e natura e nel suo linguaggio dall’arte informale, “componente ineliminabile della ricerca contemporanea”. Ennio Morlotti, Sergio Vacchi, Sergio Romiti, Leone Pancaldi, Bruno Pulga, Giuseppe Ferrari, Mattia Moreni inauguravano originalmente, nel territorio emiliano, la stagione dell’art autre; e alcuni di loro venivano presentati lo stesso anno dal critico alla mostra Dieci artisti bolognesipresso la galleria La Bussola di Torino. Queste esperienze d’avanguardia critica e artistica, durate lo spazio folgorante di un triennio, lasciavano un forte segno anche in Mario Nanni, Pirro Cuniberti, Andrea Raccagni, Alfonso Frasnedi, Germano Sartelli, Quinto Ghermandi, Luciano de Vita, Vittorio Mascalchi, Concetto Pozzati, Vasco Bendini e nella ricerca più isolata e romantica di Lidia Puglioli. Renato Barilli analizza nel dettaglio la situazione, approfondendo le declinazioni di ogni artista della corrente poetica arcangeliana e aggiungendo ricordi personali che accrescono l’importanza del climaxculturale cittadino dell’epoca, costellato di stelle della storia dell’arte come l’indimenticabile Carlo Volpe e l’autorevole Andrea Emiliani.

Lo scalo tra la stagione informale e quella Pop è segnato dalla necessità degli artisti di confrontarsi nuovamente con la figura, in una funzione squisitamente esistenziale, senza dimenticare la ricerca precedente e l’esempio radicale di Francis Bacon in Inghilterra. Ed ecco una Nuova Figurazione, cui aderiscono con modalità del tutto personali artisti attivi, ancora, tra Bologna e Milano, come Mario Nanni, Valerio Adami, Vasco Bendini, Concetto Pozzati, Bepi Romagnoni, Emilio Scanavino, Piero Ruggeri, Gianni Dova, Cesare Peverelli e Sergio Vacchi, riuniti in un’esposizione a Roma dal titolo Possibilità di relazione (Crispolti, 1960), in cui era evidente il ritorno a una narratività e al confronto con l’oggetto, esclusi dall’espressionismo astratto; e le indagini, tra ritorni e slanci d’avanguardia, convivono con le sperimentazioni tecniche e interdisciplinari che si sovrappongono, contaminandosi o differenziandosi, con una velocità pari al progresso crescente dell’elettronica. Tale fronda dava ulteriormente conto della nuova esperienza visuale nella mostra Nuove prospettive della pittura italiana, tenutasi a Bologna nel 1962 a Palazzo Re Enzo, e nella quale si comprendeva un’incidenza assai più ampia a livello nazionale della nuova corrente artistica figurativa.

La ricezione delle istanze della Pop Art, provenienti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, erano subito raccolte in territorio lombardo-emiliano da Valerio Adami, Emilio Tadini, Concetto Pozzati e, se pur nel decennio successivo, Piero Manai. E mentre Pozzati mantiene un “impegno feroce sul reale” espresso in forme plastiche e opulente, Manai esordisce con un felice gigantismo di oggetti della quotidianità che si trasforma in espressionismo esistenzialmente lacerato, in seguito a una devastante malattia. Sergio Vacchi attraversa ogni stagione artistica crescendo e trasformando con coerenza la sua poetica, in un numero finito di variazioni che lo portano a sviscerare con aneliti pop l’ambiguità del Concilioecclesiastico del 1962; e Carlo Gajani che, ispirato dal mezzo fotografico quale mediumartistico “si muove tra la fedeltà allo scatto con l’obiettivo e la ripresa truccata, potenziata, dove la traccia assume la potenzialità di un’ombra cinese, in una serie di memorabili ritratti” (Barilli, 2016, p. 19).

Lo Studio Bentivoglio, ideato da un gruppo di giovaninelle sale di Palazzo Bentivoglio a metà degli anni sessanta per dar corso anuovi progetti di installazioni, environment e performance, è stato anche una fucina di artisti importanti, come Pier Paolo Calzolari, esponente di punta dell’Arte Povera che coniuga “l’intelligente e intrigante compresenza tra elementi naturali, di sottobosco, e di ‘novissimi’ ritrovati tecnologici” (idem), e Luigi Ontani consacrato successivamente al successo nell’ambito della corrente dei Nuovi – nuovi, grazie al sostegno critico di Francesca Alinovi, Roberto Daolio e lo stesso Barilli che individuano nella figurazione teatrale di Ontani, in quella alchemica di Marcello Jori, in quella fantastica di Bruno Benuzzi, nei frammenti postmoderni di Giorgio Zucchini, una risposta alla Transavanguardia e all’Anacronismo calvesiano.

Inoltre, dal vivaio dallo Studio Bentivoglio scaturivano altri percorsi di ricerca artistica e critica d’avanguardia. Si era formato un cenacolo accademico di artisti e critici che si trovavano nel palazzo felsineo, in stretta relazione con i luoghi creativi del tessuto della città dislocati in maniera “distrettuale” nel quartiere Irnerio, ove nasceva una nuova astrazione aniconica, priva di qualsiasi immagine, che veniva elaborata da Maurizio Bottarelli, Bruno De Angelis, Vittorio Mascalchi, Gabriele Partisani, Vincenzo Satta, Severino Storti Gajani; e ai quali si aggiungeva la scultura processuale e filo poverista di Pinuccia Bernardoni.

Barilli riserva un’intera sala alla suggestiva installazione romantica di Nino Migliori che trasforma la macchina fotografica in “mezzo per alchimie sorprendenti” e dedica una contiguità di spazi alle metafore concettuali di Maurizio Osti e Nanni Menetti per passare al capitolo della nona arte, dei “fumettisti e delle altre espressioni grafiche”, che a Bologna ha avuto una notevole importanza nel corso dell’ultimo ventennio del millennio con Marcello Jori, Lorenzo Mattotti e Andrea Pazienza.

La penultima stazione testimonia le ricerche dei giovani bolognesi di fine millennio scaturiti dalla rassegna Nuova Officina Bolognese– realizzata dal gruppo di critici costituito da Adriano Baccilieri, Roberto Daolio, Walter Guadagnini, Dario Trento – e dal clima culturale della città in quegli anni; oggi artisti maturi, affermati nello sviluppo della pluralità delle personali poetiche, emersa sin da allora. Si tratta di Luca Caccioni, Giovanni Manfredini, Andrea Renzini, Cuoghi Corsello, Walter Cascio, Gabriele Lamberti, Alessandro Moreschini, Alessandro Pessoli, Pierpaolo Campanini, Eva Marisaldi, Sabrina Mezzaqui, Sabrina Torelli, Alessandra Tesi e Sissi.

L’ultima fermata, quella di arrivo è dedicata alla videoart e alla rassegna Videoart Yearbookche ogni anno organizza il Dipartimento di Arti Visive dell’Università di Bologna, realizzando “il lontano sogno wagneriano del Parola-Musica-Dramma […e] un traguardo avanzatissimo che mostra come la nostra città sia in prima linea nell’inseguire l’innovazione” (Barilli, 2016, p.24) e pulsioni d’avanguardia, seppur nel conservatorismo storico e sotterraneo che contraddistingue, come un ossimoro, il fascino di questa splendida Bologna.

Catalogo:

Bologna dopo Morandi 1945-2015, a cura di Renato Barilli, catalogo della mostra, Bologna, Palazzo Fava Palazzodelle Esposizioni, 23 settembre 2016-8 gennaio 2017, Bologna, Bononia University Press, 2016.

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