Rivista "IBC" XXII, 2014, 3

Dossier: Imperiituro - Renovatio Imperii. Ravenna nell'Europa ottoniana

musei e beni culturali, dossier / progetti e realizzazioni

Il progetto "CEC" e il patrimonio culturale come strumento attivo di costruzione dell'Europa

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Il ruolo della cultura e del patrimonio culturale all'interno del progetto di costruzione di un'Europa unita, pur riconosciuto fin dalle prime fasi postbelliche, venne decisamente rafforzato dal trattato di Maastricht (1992) in poi, quando si ritenne che una delle strategie vincenti per far decollare il processo di integrazione fosse proprio quella di incentivare la condivisione di comuni valori culturali, utili a costruire quell' Europe feeling che non riusciva a emergere esclusivamente da opportunismi economici.

Tutti i programmi di finanziamento europeo, da allora, hanno compreso questo tema, fino a quello tuttora in corso - "Culture 2007-2013" - all'interno del quale si inserisce "CEC, Cradles of European Culture".

In realtà, così come il processo di costruzione politica è stato più lungo e tormentato del previsto, così anche il contributo del patrimonio culturale alla costruzione dell'idea europea, si è rivelato denso di rischi e tutt'altro che lineare.

Era d'altro canto inevitabile che di fronte alla complessità irriducibile dell'orizzonte culturale, ogni tentativo di assoggettamento a un'idea, per quanto nobile come quella dell'unità europea, si sarebbe prestato a pericoli di riduzionismo e di semplificazione banalizzante. Esemplare, in tal senso, la discussione che accompagnò l'elaborazione della Costituzione Europea, raggiungendo, sul tema delle radici culturali, punte di oscurantismo neofeudale.

Oggi, in tempi di feroce crisi economica, si stanno riproponendo quelle pulsioni che già avevano attraversato l'Europa negli anni Novanta, all'indomani del crollo del muro di Berlino, alla ricerca di nuove identità nazionali o sovranazionali e di fronte alle sfide dei fenomeni migratori e all'allargamento a est dell'Unione. Nuovi nazionalismi risorgono ora, l'uno contro l'altro, in questo caso non per opporsi a chi sta dall'altra parte della frontiera, ma dentro casa: il migrante, le minoranze.

Sul versante dell'analisi culturale questo passaggio ha ridato vigore ad alcuni filoni di ricerca in cui la ricostruzione della storia europea privilegia taluni aspetti etnici o ideologici o culturali, oscurandone altri, a danno dei percorsi interculturali e utilizzando il patrimonio culturale come sigillo identitario e a supporto di tesi precostituite.

In tale contesto, nel 2010, il progetto "CEC" ha iniziato il suo cammino e sta ora entrando nell'ultimo anno di attività. Che il tema delle radici della cultura europea fosse a dir poco complesso, per un gruppo che comprendeva una trentina di istituzioni di 9 differenti paesi europei, lo si è compreso da subito.

"CEC", avviato una decina di anni fa con la denominazione " Francia Media", era in origine concentrato su di un breve periodo della storia carolingia, ovvero sia il momento della suddivisione, avvenuta con i nipoti, dell'Impero di Carlo Magno in tre regni diversi: Francia Orientalis, Francia Occidentalis e, nel mezzo, Francia Media. Quest'ultimo regno ebbe in realtà una vita politicamente brevissima (843-855) per poi essere nuovamente dilaniato da conflitti dinastici, ma il suo periodo di influenza può essere protratto fino al 1033.

Dal punto di vista metodologico, obiettivo costitutivo di "CEC" era quello di rivolgersi, attraverso adeguati strumenti comunicativi, ad ampi settori della cittadinanza europea pur focalizzandosi su un periodo poco conosciuto a livello popolare, quale l'epoca ottoniana. L'utenza di "CEC" vuole essere, in particolare, quella giovanile, in genere scarsamente attratta da trattazioni storiche a carattere accademico specialistico. Per questo, alla ricerca di una maggiore attrattività, il tema Francia Media si è stemperato in un più generico riferimento all'alto Medioevo, considerato come periodo cruciale per la nascita dell'idea europea in particolare per quanto riguarda l'età carolingia.

Alla fine, il progetto si è dunque indirizzato a una più ecumenica riflessione sull'eredità, in senso complessivo, di Carlo Magno, anche per agganciare la coincidenza con l'anniversario della morte dell'imperatore franco (814), che ha inevitabilmente rilanciato mediaticamente l'assimilazione del re dei Franchi a pater Europae, per quanto, come ci ha insegnato Le Goff, priva di reale fondamento storico.

La mostra internazionale, primo frutto del lavoro collettivo di "CEC", inaugurata a Ename l'8 maggio scorso - " The Legacy of Charlemagne 814-2014" - ha saputo alla fine declinare il concetto di unity in diversity, il motto europeo, riuscendo a sottolineare, in particolare nella sezione "Uso e abuso della storia", come lo stesso patrimonio culturale dimostri la sua inestinguibile ambiguità quando lo si voglia usare come fil rouge di una presunta cultura "europea", dopo aver servito da instrumentum regni di nazionalismi di ogni colore.


"Imperiituro": un'idea che si rinnova nel tempo

In questa situazione che ben rappresenta la stessa situazione di incertezza che sta attraversando il progetto di costruzione europeo più in generale e, in ambito culturale, le difficoltà epistemologiche che affiancano la definizione di un patrimonio europeo in senso identitario, il gruppo di lavoro dell'Istituto Beni Culturali, unico partner italiano di "CEC", ha scelto di concentrarsi su di un filone consolidato della storia della cultura europea: la sopravvivenza della cultura classica. La scelta di Ravenna, quale tappa italiana dell' heritage route, il circuito culturale che collega alcuni siti-testimonial del progetto (da Praga a Nijmegen, da Montmajor a Hildesheim, a Ravenna) era, in questo senso, di straordinaria valenza: il sito, sorto in età romana alle foci del Po, è divenuto, dalla tarda antichità, uno dei luoghi privilegiati di rielaborazione del linguaggio figurativo di derivazione greco-romana e assieme, della coeva esperienza bizantina: un ponte nello spazio, fra l'Oriente, Roma e l'Europa continentale, e nel tempo, fra l'antichità classica e la rinascenza carolingia.

Ravenna diviene quindi uno dei fulcri di quel fenomeno politico e culturale della Renovatio imperii che i successori di Carlo, gli imperatori della dinastia ottoniana, perseguiranno tenacemente e che non si estinguerà con il fallimento del Sacro Romano Impero, ma attraverserà, carsicamente, la storia europea per riesplodere con l'epopea napoleonica e in modo più tragico con le dittature novecentesche. Come suggerisce con doppia suggestione il titolo della mostra ravennate, "Imperiituro", senza limiti nel tempo parrebbe quindi, questa attrazione verso l'idea di un impero universale che si nutre di materiali antichi per costruire tradizioni nuove.

Alla fine di questo percorso, ciò che la nostra ricerca evidenzia con nuove sottolineature è che in questa straordinaria varietà culturale di cui è intessuta la storia europea, uno dei pochi elementi di continuità risale nella volontà, costante nel tempo, di un rapporto con l'antico, declinato in modalità pur diverse ma che hanno spesso compreso l'appropriazione fisica, oltre che simbolica, del patrimonio culturale tramandatoci dall'antichità.

Che l'antichità greco-romana abbia costituito un modello politico, filosofico, culturale, anche quando non esplicitamente riconosciuto, ineliminabile in tutta la vicenda europea, naturalmente non è affermazione di straordinaria novità, ma di qualche interesse ci pare l'aver evidenziato con nuove testimonianze come questo rapporto con l'antico si attui attraverso molteplici e insospettate mediazioni culturali.

Così, "Imperiituro" ci ha aiutati a svelare nuove complessità nell'unità nella diversità: i markers etnici - linguaggio, religione o specifiche immagini del passato - tendono a perdere importanza, non perché ne venga ignorato il rilievo storico, ma perché al contrario se ne sono evidenziati anche i limiti di fattori di esclusione, isolamento, nel rapporto "noi-loro", a favore di un uso più universale del patrimonio come affiliazione a una comunità più ampia.

Attraverso il percorso di "CEC", nonostante o forse anzi soprattutto attraverso le incertezze e i ripensamenti che lo hanno caratterizzato, è risultato evidente come, piuttosto che di un patrimonio culturale "europeo", si possa oggi parlare e interrogarsi su fenomeni e pratiche culturali ricorrenti, una delle quali è senz'altro l'uso dell'antico e, in buona sostanza, il rapporto dell'uomo con il passato.


Verso un patrimonio culturale "attivo"

Questo rapporto con il passato subisce, con la modernità, una trasformazione genetica che va di pari passo con la crisi del paradigma identitario.

Nella nostra società liquida, l'ideologia identitaria ha ritrovato nuovo vigore come contrasto alla paura del contrario, dell'omologazione: in un mondo globalizzato in cui ci dobbiamo misurare quotidianamente con il confronto con l'altro, il diverso e la carica di destabilizzazione che ciò comporta, costruire la propria identità, restarne aggrappati, diventa una forma di sopravvivenza, una difesa, spesso di puro contrasto.

I mezzi di costruzione di questa identità sono molteplici: la religione ne è ridiventato uno dei più potenti, ma anche il passato e il patrimonio culturale lo possono essere.

Come anche "Imperiituro" ha cercato di indicare, pur da un osservatorio ristretto nel tempo e nello spazio, questo patrimonio culturale - e ovviamente la cultura che lo ha prodotto - non sarà mai "puro", ma il risultato di interazioni, scambi, influssi e assume una identità - precaria - solo in una costante negoziazione con le altre culture e con il tempo.

Così, più che riconoscersi in un patrimonio culturale monolitico e statico, l'Europa dovrebbe piuttosto perseguire una pratica politica tesa al multiculturalismo, basata su valori etici trasparenti, fondati sul presente e senza la pretesa di giustificazioni storiche che, come la nostra storia dimostra, si rivelano molto spesso (quasi sempre) pretestuose e pericolose, oltre che scientificamente risibili.

Fra questi valori europei deve trovare posto un uso "attivo" del patrimonio, cioè storicamente fondato senza essere teleologico.

D'altro lato un uso attivo, che quindi implichi, come ribadisce la convenzione di Faro del 2005, un'ampia partecipazione da parte delle comunità cui appartiene, potrà compiersi solo sulla base di una conoscenza non superficiale o banalizzata dei problemi che tale patrimonio incarna.

Il tema dell'educazione si rivela quindi fondamentale: per questo, come partner italiani del progetto abbiamo puntato a un approccio didattico. "Imperiituro" non presenta opere feticcio, ma le immagini di alcuni oggetti di grandissima importanza e valore, e libri e manoscritti e mappe, in cui l'importanza del messaggio non è nel singolo oggetto, ma nel discorso che li lega, nell'ipotesi interpretativa che ne crea il contesto di lettura.

Per raggiungere l'obiettivo di "CEC" di sperimentare forme comunicative in grado di coinvolgere, su temi di nicchia quali quelli della storia altomedievale, un uditorio allargato e in particolare quello giovanile, il nostro racconto ha utilizzato codici diversi in grado di arrivare a pubblici diversi, mantenendo però un obiettivo di comunicazione "alto", cioè senza indulgere in banalizzazioni. Senza appiattirsi, dunque, sulle esigenze e le aspettative di un pubblico indifferenziato, non perché di queste non si debba tener conto, ma al contrario perché tali esigenze e aspettative devono essere uno degli elementi del processo comunicativo: un elemento irrinunciabile, ma non il solo e non quello finale. Insomma, l'evento - mostra, conferenza, catalogo - deve restituire qualcosa che va al di là di un'esperienza emozionale, o più spesso solo mediatica.

Se il sapere "chiuso" della cultura alta, inaccessibile e quindi inutile, può essere considerato tra i massimi responsabili della mancata democratizzazione del nostro patrimonio culturale, sull'altro versante, decine di mostre, eventi, revival, festival, in nome di un approccio accattivante, propongono spesso esperienze superficiali o peggio addomesticate, il cui fine principale è di intercettare i gusti di un pubblico generico, prevalentemente turistico.

Nel mezzo, come dimostrano tante esperienze soprattutto dell'Europa del Nord, c'è una terza via, attraverso cui si può riuscire a innalzare il livello della percezione verso la cognizione vera e propria, sfruttando modalità di interazione di vario tipo - non necessariamente tecnologiche - e il cui fine ultimo diventa, oltre a una conoscenza non superficiale su di un determinato tema, personaggio, evento storico, la trasmissione di un percorso di ricerca e l'avvicinamento a quello spirito critico che rappresenta uno dei tratti distintivi della storia culturale europea.

A questa concezione, nella limitatezza del suo ambito, si è ispirata dunque l'esperienza di "Imperiituro", con esiti che potremo giudicare nel loro insieme solo a conclusione delle attività, ma che ci sembrano comunque degni di interesse per più di un aspetto.

Respingendo le scorciatoie che sembrano suggerire come possibile e preferibile un rapporto diretto, senza mediazioni, con la storia o i fenomeni culturali, la mostra propone una lettura guidata di oggetti e documenti poco conosciuti al grande pubblico, svelandone la complessità e usandoli come testimoni di una storia lontana 1200 anni fa e oltre.

Quella stessa storia, interpretata attraverso altri codici, quelli di alcuni artisti del fumetto, si colora di altre suggestioni, diverse, ma ugualmente efficaci dal punto di vista conoscitivo, perché complementari a quelle "tradizionali".

Oltre alle due sedi ufficiali della mostra, in realtà (Museo TAMO e Biblioteca Classense), è la città di Ravenna con l'insieme dei suoi monumenti, e in particolare quelli che si ricollegano direttamente alla vicenda ottoniana, a costituire una sorta di terza sede contestuale in grado, a sua volta, di apportare nuovi elementi di lettura.


Raggiunta la pace, l'obiettivo principe delle origini, l'Europa di oggi deve puntare a una crescita oltre che economica, sociale, che sappia usare, per raggiungere questo traguardo, il patrimonio culturale come uno strumento per il riconoscimento della diversità, nei processi di dialogo interculturale e di inclusione.

Come anche "CEC" ha dimostrato, non esiste un patrimonio culturale "europeo", ma, soprattutto, un patrimonio culturale a vocazione identitaria non ci serve, come non ci serve ciò che si focalizza sull'unità, ma ciò che analizza la complessità, perché un buon uso di tale complessità è alla base di ogni fattore di progresso sociale, civile, culturale.

Allo studio di questa ineliminabile complessità, l'Europa e i suoi cittadini dovranno applicarsi, pronti a una costante negoziazione di significati e valori nella costruzione delle diverse prospettive: politiche, sociali, storiche.

In questo risiede in fondo il senso della testimonianza europea, la sua specificità. E in questa direzione il patrimonio culturale può diventare uno strumento fortissimo proprio perché geneticamente portatore di pluralismo culturale e di una complessità storica e semantica nella doppia dimensione spaziale e temporale. Uno degli strumenti più efficaci perché l'Europa torni a essere, secondo la fortunata espressione di Paul Hazard, "un pensiero che mai si accontenta".



Giovani europei crescono

Uno degli obiettivi prioritari del progetto "CEC" risiede nel tentativo di coinvolgere le giovani generazioni sui temi delle origini dell'idea europea, rendendo più familiare un periodo storico quasi sempre superficialmente trattato nel percorso scolastico e facendo esplorare il concetto dell'"unità nella diversità". "Imperiituro" si è cimentato con questa sfida, proponendo alcuni progetti di diversa concezione, destinati a differenti classi di età.

Per coinvolgere i ragazzi più giovani, è stata creata una speciale sezione dedicata al progetto "CEC" all'interno del concorso "Io amo i beni culturali". Si tratta di un'iniziativa giunta ormai alla sua quarta edizione, attraverso cui l'Istituto per beni culturali della Regione Emilia-Romagna è arrivato a coinvolgere, in questi ultimi anni, centinaia di studenti e decine di scuole e istituzioni culturali in tutta la regione. "Io amo i beni culturali" è un concorso di idee per la valorizzazione dei beni culturali: le scuole secondarie di primo e secondo grado sono chiamate a presentare un progetto che valorizzi un museo o un archivio, oppure un bene culturale contenuto al suo interno o nel territorio.

Per quanto riguarda la sezione "CEC", i progetti selezionati e sviluppati nel corso dell'anno scolastico 2013-2014 sono due:

"Tessere d'Europa" ha visto collaborare la scuola secondaria di primo grado "Damiano Novello" di Ravenna con il Museo Natura di Sant'Alberto (Ravenna) gestito dalla cooperativa sociale "Atlantide".

Per "Gli Europeenses e l'Europa dei pupi" la scuola media "Alfredo Oriani" di Casola Valsenio ha lavorato insieme al Museo "La Casa delle marionette" di Ravenna, con la collaborazione del Comune di Casola Valsenio.



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