Rivista "IBC" XXII, 2014, 1
musei e beni culturali / immagini, pubblicazioni, storie e personaggi
Matematico, poeta, pittore, Lucio Saffaro è stato tra i più complessi ed emblematici intellettuali che hanno animato il dibattito culturale italiano e internazionale del XX secolo. A quindici anni dalla sua scomparsa, RAI Educational e Magazzini Einstein, con la collaborazione del Consorzio interuniversitario CINECA, hanno dedicato un documentario all’artista-scienziato triestino, per la regia di Giosuè Boetto Cohen. Il progetto, nato da un’idea di Gisella Vismara e promosso dalla Fondazione “Lucio Saffaro”, si pone nel solco della grande retrospettiva di Palazzo Poggi del 2004, di cui riporta anche il nome: “Lucio Saffaro. Le forme del pensiero”.
Nel 1945 la famiglia Saffaro si trasferisce a Bologna, scappando dalla crisi del capoluogo friulano devastato dalla guerra. Laureatosi in Fisica pura, intorno agli anni Sessanta Lucio Saffaro inizia ad avvicinarsi alla pittura e alla poesia. Dopo una prima fase giovanile in cui si mette alla prova con tele informali (successivamente distrutte) ne segue un’altra, alquanto singolare, ricordata spesso come fase “pseudometafisica”. In queste opere, le figure, isolate e immerse in una melanconica luce crepuscolare, fluttuano sospese tra architetture ad archi e forme geometriche pure, rievocando una surrealtà di chiaro stampo dechirichiano. Cavalieri e principesse, santi e musici: sono questi i soggetti scelti da Saffaro, protagonisti anche dei racconti che scriveva in quegli stessi anni. “Figure volanti di follia”: era solito definirle così.
Il 1962 è l’anno della sua prima personale, curata da Francesco Arcangeli alla Galleria “L’Obelisco” di Roma. Ne seguiranno altre quaranta, allestite in gallerie private e istituzioni pubbliche. Tra queste si ricordano le antologiche al Museo di Castelvecchio di Verona (1979), alla Galleria d’arte moderna di Bologna (1986), al Museo civico di Bassano del Grappa (1991) e, dopo la sua scomparsa, la già citata retrospettiva dedicatagli dall’Alma Mater Studiorum Università di Bologna al Museo di Palazzo Poggi (2004). Francesco Arcangeli è stato uno dei più accaniti sostenitori dell’opera di Saffaro. La sua stima è testimoniata dalle parole semplici e chiare con cui apre il testo critico che ha accompagnato la mostra di Saffaro alla Galleria “Forni” di Bologna (1972): “Prima di tutto, credo di dover affermare che le opere degli ultimi anni di Lucio Saffaro sono bellissime”.
Ma non è il solo critico che gli è stato vicino. L’elenco degli estimatori della sua opera comprende nomi illustri: Giovanni Maria Accame (che ha diretto la Fondazione a lui intitolata fino alla sua prematura scomparsa, nel 2011), Luciano Anceschi, Carlo Giulio Argan, Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Flavio Caroli, Claudio Cerritelli, Andrea Emiliani, Luigi Lambertini, Filiberto Menna e Federico Zevi. Maurizio Calvesi ha amato a tal punto la sua opera da fare di Saffaro il protagonista dalla sua Biennale del 1986, dedicata al rapporto tra arte e scienza. Come ricorda lo stesso Calvesi, intervistato da Boetto Cohen, le opere prodotte da Saffaro si caratterizzavano per una “combinazione inestricabile tra estetica e scienza e geometria, tra ingegno matematico e sensibilità pittorica, che faceva di questi suoi quadri effettivamente degli esempi unici”.
La passione per le forme nette, le geometrie solide e l’interazione dei piani arriva al centro della sua riflessione teorica a metà degli anni Sessanta. Nel 1966 Saffaro pubblica il Tractatus logicus prospecticus, corredato dalle 120 tavole grafiche (o “teoremi”, come preferiva definirle) con cui dimostra le infinite possibilità di rappresentazione spaziale di una semplice linea. Già dal titolo sono evidenti i riferimenti dell’autore, ovvero le analisi filosofiche linguistiche di Wittgenstein e quelle geometriche di Piero della Francesca, l’artista che ha reintrodotto lo studio dei poliedri nella cultura occidentale.
Nel 1968 il quadro L’ipotesi di Knossosegna la definitiva chiusura del periodo “pseudometafisico” e l’inizio di quello più noto, caratterizzato appunto dalle rappresentazione dei poliedri. Le sue tele sono ora dominate da complesse forme geometriche che vagano in spazi vuoti e indefiniti. Anche la tavolozza cambia. Abbandona i rossi e i verdi, e si avvicina a tonalità più chiare. Nelle sue tele compaiono il grigio, l’azzurro e la terra di Siena, in ogni loro sfumatura. Centrale diviene per Saffaro lo studio e la scoperta di nuovi poliedri, una continua ricerca di nuove forme che diviene anche oggetto di numerosi saggi e conferenze tenute in Italia e all’estero. Alla lucidità dell’uomo di scienza unisce le capacità visionarie dell’artista.
Una ricerca complessa e ambiziosa, che con coerenza porterà avanti per tutta la vita, pienamente sintetizzata dalle parole dell’amico matematico Michele Emmer, che ricorda come recuperare una tradizione antica è reinventarla: “non si può dire che questa è matematica, non si può dire che questa è arte, ma si può dire contemporaneamente che è arte matematica: questo era il grande sogno di Lucio Saffaro”.
Lucio Saffaro. Le forme del pensiero, regia di G. Boetto Cohen, da un’idea di G. Vismara, con la collaborazione del CINECA, RAI Educational - Magazzini Einstein, 2014, 52 minuti.
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