Rivista "IBC" XXI, 2013, 3
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi
Il 16 settembre si è conclusa al Palazzo "Mauro de Andrè" di Ravenna la mostra "Carlo Levi. Il volto del Novecento", curata da Silvana Costa (dell'associazione culturale "Il Cerbero" di Russi). Pur se inconsueto all'interno di una manifestazione di partito ci piace pensare che questo appuntamento di fine estate divenga uno spazio consolidato, viste le numerose analoghe iniziative che si sono succedute nel corso degli anni, a partire da quella dedicata a Mattia Moreni nel 2000.
"Pittore, medico, scrittore, politico" - e anche molto altro, se nelle note biografiche troviamo elencate alcune pur sporadiche collaborazioni con il mondo del cinema (una delle quali documentata all'interno della mostra) - Levi fu un ingegno multiforme che abbracciò l'intero spettro della cultura del "Novecento", quasi a voler spremere tutto quanto la vita potesse offrigli nel cosiddetto secolo breve. A leggerla in questo senso si rischia di pensare a una figura di eclettico, precursore dell'artista totale o epigono di certe esperienze futuriste. Niente di tutto questo. La definizione più calzante compare in un ricordo tratteggiato all'interno di una serie di testimonianze riportate verso la fine del catalogo, dove Simone de Beauvoir scrive che Levi "fa rivivere un tipo d'uomo che illuminò la fine del Medio Evo - il Rinascimento - e non esiste ormai più in quest'epoca: l'uomo di cultura".
Il Levi pittore era rappresentato a Ravenna da un nucleo di circa 120 opere, dagli anni Venti quasi fino al momento della sua morte, avvenuta il 4 gennaio 1975. Tra i generi più rappresentati c'era il ritratto, da lui definito come "quella forma prima che sola dà il carattere di realtà all'oggetto isolato dal flusso storico" e "che sola fa reali le immagini transitorie ed effimere di un mondo esterno all'esistenza". I quadri dipinti nel periodo di confino a Grassano (Matera), tra il 1935 e il 1936, spesso figure quasi astratte nella loro dolorosa fissità, verranno confermati e "ritrovati" nella sua opera letteraria più celebre, Cristo si è fermato a Eboli, scritto tra il '43 e il '44. E non è difficile riconoscere le tracce Proust nelle righe finali della sua lunga riflessione sul ritratto, là dove Levi ricorda: "Longtemps je me suis levé de bonne heure", pensando alla luce del "mattino del tempo eterno [...] che poi si lascia per la malora e la notte adulta".
Ben chiari sono anche gli addentellati con gli artisti che gli furono contemporanei. Evidente l'influsso di Casorati, conosciuto nel 1923: Levi riesce a riproporne lo splendido nitore, soprattutto ne Il padre a tavola, un olio su tavola del 1926 o nell'ironico L'attendente medita, dipinto l'anno prima. Ritroviamo la presenza di Modigliani in Nudo con la sedia o in Figura (Autoritratto a torso nudo), entrambi oli su tela rispettivamente del 1929 e 1930. Fra i ritratti appare molto spesso la figura della madre: una sorta di narrazione interiore, un'immagine che riaffiora di continuo dalla memoria dell'artista, come a volersi riappropriare di un tempo lontano, quando la donna era ancora in vita. Le dense pennellate espressioniste di molte sue drammatiche opere della maturità rimandano infine a Soutine e a Kokoschka (La guerra, monotipo del 1944, Capretto scuoiato, olio su tela del 1971).
Carlo Levi. Il volto del Novecento, a cura di S. Costa, Russi (Ravenna), Il Cerbero, 2013, 175 pagine, senza indicazione di prezzo.
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