Rivista "IBC" XX, 2012, 4

musei e beni culturali / convegni e seminari

"Le chiese di San Felice, Rivara e San Biagio tra Riforma e Controriforma nel Cinquecento", San Felice sul Panaro (Modena), 20 ottobre 2012.
Nelle chiese della Bassa

Alberto Calciolari
[IBC]

Il convegno tenutosi a San Felice sul Panaro il 20 ottobre scorso, dedicato alla vita sociale e all'arte sacra ai tempi della controriforma in quel centro e, più in generale, nella Bassa modenese, sarebbe passato inosservato se non fosse per due più che validi motivi. Innanzitutto perché si è trattato della prima iniziativa del genere in uno dei centri colpiti dal recente terremoto. E in secondo luogo perché, paradossalmente, proprio i luoghi e i relativi beni culturali oggetto del convegno sono stati duramente flagellati dal sisma: pressoché rasi al suolo il duomo di San Felice sul Panaro e la vicina chiesa di San Biagio in Padule, gravemente lesionate quelle di San Giuseppe e della località di Rivara; per fortuna salva una significativa parte delle tele e delle suppellettili sacre che arredavano quegli edifici di culto.

Nello specifico i relatori hanno restituito, delle campagne della Bassa modenese nel corso del Cinquecento, un'immagine almeno in parte poco nota, come di una terra pervasa da laceranti inquietudini. In apertura, Matteo Al Kalak, giovane e attento studioso di storia moderna, ha proposto un quadro significativo della condizione della chiesa, sospesa tra decadenza dei costumi e tentativi di moralizzazione del clero, tra le spinte della riforma protestante e alcune figure di vescovi illuminati e rinnovatori quali Giovanni Morone ed Egidio Foscarari, a loro volta ora protagonisti e ora vittime delle vicende e dei travagli della cristianità in quel periodo. La campagna, come dimostra il relatore, diventa allora il principale luogo dove misurare e valutare l'efficacia delle forme di controllo e degli esperimenti di riorganizzazione della chiesa locale, ancor più di quanto potesse valere per la città e la montagna.

Ma la moralità del clero e la diffusione dell'eresia protestante non erano i soli problemi a destabilizzare la chiesa nella Bassa: attestato in quelle terre era anche il fenomeno della stregoneria, soprattutto nell'area del Mirandolese. Su questi temi è stato illuminante il contributo di chiusura di Grazia Biondi, che da anni studia il fenomeno sulle orme del padre, il compianto Albano, per anni docente all'Ateneo bolognese. La studiosa ha illustrato il funzionamento del tribunale dell'Inquisizione, le tecniche procedurali, fino ad arrivare a indagare gli aspetti antropologici della stregoneria e le sue contaminazioni con le permanenze di antichi culti pagani.

Se le carte degli archivi restituiscono l'immagine di una società pervasa da fermenti e inquietudini, le testimonianze artistiche degli edifici sacri, come ha dimostrato Graziella Martinelli Braglia, hanno invece consegnato fino ai nostri giorni le narrazioni degli sforzi operati dalla chiesa fedele a Roma per l'affermazione della controriforma.

Tra gli esempi più tangibili dell'adesione ai dettami del concilio di Trento c'è il risalto della figura di Maria, dominante nelle opere presenti nelle quattro chiese sanfeliciane. Spicca così, attestato da un'importante pala di Rivara, il culto della Madonna del rosario, affermatosi dopo la battaglia di Lepanto del 1571, che secondo la tradizione fu vinta dai Cristiani grazie alla devozione per la corona mariana; sempre a Rivara, la pala della Natività della Vergine, con la sua carica di pathos, tradisce l'adesione a un altro aspetto proprio del clima della controriforma: il coinvolgimento emotivo dello spettatore come prodotto di una devozione legata anche agli affetti.

Nella chiesa di San Biagio la presenza di una formella mariana in terracotta, di manifattura carpigiana, rinvia invece a un fenomeno di introiezione dei culti spontanei che nascevano nelle campagne e che, ancora nello spirito postridentino, venivano riconosciuti e portati all'interno delle chiese, assurgendo così a veicolo di fidelizzazione a vantaggio alla chiesa romana. Ma diverse pale rinviano anche al culto dei santi guaritori: sia remoti, come Rocco, Antonio abate, Lucia, Agata, Apollonia, sia recenti, come Carlo Borromeo, famoso per aver curato i malati di peste. Se i primi richiamavano i fedeli allo spirito puro delle origini della cristianità, quest'ultimo rappresentava uno dei più recenti esempi di uomo di fede, aderente a modelli di rigore morale, ma anche di santo esorcista (elemento che, ancora una volta, tornava utile al pensiero controriformista).

Una menzione specifica non poteva mancare per un'opera fondamentale, seppure precedente al periodo della controriforma: il trittico di Bernardino Loschi, datato 1500, splendida espressione di arte tra umanesimo e rinascimento, tratta in salvo dalle rovine del duomo da un impegnativo intervento dei vigili del fuoco. E a chi scrive queste parole piace pensare che tale salvataggio sia la rasserenante metafora di una nemesi di cui c'è davvero bisogno.

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