Rivista "IBC" XX, 2012, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini

Nelle foto dell'agenzia "Meridiana Immagini" il racconto di ciò che resta dopo le scosse che hanno colpito abitazioni, fabbriche e chiese della nostra regione.
Maggio 2012, terremoto in Emilia

Andrea Samaritani
[Meridiana Immagini]

Gesù è sceso per primo, da solo. Senza protezione, dal punto più alto, un volo giù diritto sul sagrato. I suoi cocci sono ancora a terra. Sant'Agostino si è appoggiato sul tetto, con la testa staccata vicino alle gambe, ci è rimasto due mesi, poi è sceso tra le braccia di due vigili del fuoco. La Madonna è ancora là, guarda il cielo, ma anche il suo destino è a terra, in attesa della stessa presa sicura ed esperta di due pompieri.

Tutti e tre insieme ne hanno viste tante, da secoli. Fino all'esplosione guidata del municipio, danneggiato in modo irreparabile dal terremoto. Adesso per queste statue, attori e attrici silenti, il teatro in piazza è finito. Le piazze sono cambiate, prima per quelle scosse terribili, continue, tremende come un bombardamento, poi per le pale e gli escavatori comandati dall'uomo per metterle in sicurezza, per liberare le strade coperte dalle macerie.

Il 20 e il 29 maggio 2012 due violenti terremoti hanno cambiato il volto delle terre di pianura che stanno tra Reggio Emilia, Modena, Bologna e Ferrara.

"Il campanile non viene giù perché l'ho benedetto", dice sornione l'anziano parroco di campagna. "Don, guardi che tutte le chiese che oggi sono distrutte erano benedette!", gli risponde secco e ironico il vigile del fuoco. Secondo la diceria popolare che si è fatta strada in questi mesi, questo è il "terremoto del diavolo", perché oltre a colpire le fabbriche di uno dei distretti industriali più importanti d'Italia, provocando la morte di operai che stavano lavorando di notte sotto quei capannoni, ha colpito soprattutto le chiese, di città e di campagna, le ha scoperchiate e ha fatto crollare i muri ricolmi di quadri e sculture.

Chi non ha in qualche modo frequentato le nostre chiese di pianura? Da piccoli, da adolescenti, da giovani, da adulti; a molti, forse a noi tutti, sembravano immense, immutabili, avevano l'aura della trascendenza, una "grande cabina magica" capace di metterci in contatto misteriosamente con il divino. Oggi queste chiese sono in gran parte colpite a morte.

La percezione dei danni agli edifici di culto è, nella maggior parte dei casi, fuorviante. Da fuori sembrano a posto, mantengono un decoro di facciata, anche se si vede che hanno subìto dei danni, delle crepe; ma, entrando, lo spettacolo non è diverso da un film ambientato nel day after postatomico. Non sono più dei grandi e affascinanti teatri della ritualità religiosa: dentro, sono cattedrali sventrate, implose, sono solo macerie e rovine. Quelle che hanno ancora un tetto provvisorio, non è detto che resistano alle piogge e alle intemperie del prossimo inverno.

Le stesse macerie si possono vedere nelle case di campagna, edificate sulle secolari terre delle partecipanze agrarie, costruite con mattoni, cotti o crudi, tenuti insieme dalla malta (l'antico impasto naturale composto da argilla, sabbia e acqua). Case che oggi assomigliano più a mucchi irregolari di cubetti di zucchero che ad abitazioni in grado di proteggere, per secoli, famiglie e generazioni di contadini.

Prima del terremoto, in molti sognavano di rivedere ristrutturate e ripopolate le case di campagna abbandonate dal progressivo esodo iniziato nel dopoguerra verso le città, in molti speravano nel ritorno al borgo rurale antico che fino a qualche mese fa era pensabile, e c'erano progetti di recupero in quel senso. Il crollo definitivo delle case di campagna, ora, ha spento definitivamente questa possibilità.


Stare dentro il post terremoto, da fotografi, è una esperienza forte e stimolante, se così si può dire. Io e il mio socio Paolo Righi siamo partiti subito, il 21 maggio. Ci siamo divisi i compiti e le zone geografiche, per realizzare una documentazione fotografica a cuore aperto, nel vivo della tragedia, cercando di raccontarla da dentro, ma allo stesso tempo in modo distaccato e quando era possibile con un occhio storicizzato, in accordo da subito con Vittorio Ferorelli e Valeria Cicala, con i quali abbiamo collaborato a progettare il numero di "IBC" che avete tra le mani.

Da dentro si vede tutto chiaro: vedi il film, vedi il backstage, capisci e apprezzi il lavoro instancabile e professionale dei vigili del fuoco e dei tecnici delle soprintendenze, osservi in diretta la messa a punto continua delle procedure mai abbastanza sperimentate degli interventi, delle schedature e delle valutazioni dei danni e la scelta delle soluzioni da applicare. Decisioni sofferte, tante volte prese al volo, in un equilibrio difficile tra le ragioni storico-artistiche e l'insofferenza quotidiana dei cittadini, che hanno bisogno di rientrare in casa anche se c'è da abbattere un campanile.

Ho visto vigili del fuoco staccare i quadri dalle pareti pericolanti con la stessa attenzione di un'ostetrica. Ho visto i tecnici della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna, diretti dall'architetto Carla di Francesco, coordinare i recuperi con una dedizione assoluta, una autorevolezza riconosciuta, una precisione maniacale nel controllare gli elenchi delle opere che venivano trasportate in magazzini più sicuri, in attesa di essere ripulite e restaurate. Ho visto parroci e direttori dei musei rimboccarsi le maniche e aiutare i tecnici a mettere in salvo i beni artistici e culturali.

Ho visto la gente piangere, fuori dalla Collegiata di Pieve di Cento, all'uscita del Crocefisso Miracoloso, con i vigili del fuoco disposti in modo naturale come in un compianto: quel Cristo, che ogni vent'anni esce in piedi, svettando sulle strade del borgo, in questa occasione è sfilato coricato, in orizzontale, come un ferito di guerra. Ho visto il popolo colorato assieparsi intorno al Dalai Lama a Mirandola. Ho visto il Castello della Galeazza trasformarsi in pochi minuti in rovina, da luogo di riflessione che era, pacato e stimolante angolo di lettura, a triste simulacro di un tempo che non ci sarà più. Ho visto una donna anziana che recuperava tra le macerie, con dedizione e cura, i paramenti del parroco, perché potesse dire messa all'aperto.

Ho visto al lavoro i tecnici del Palazzo Ducale di Sassuolo che è diventato un grande contenitore delle opere d'arte recuperate dalle chiese e dai musei, e al tempo stesso un originale e attrezzatissimo laboratorio, gestito e coordinato dall'Istituto superiore per la conservazione e il restauro di Roma (con un gruppo di allievi tirocinanti) e dall'Opificio delle pietre dure di Firenze. "Unità depositi temporanei e laboratorio di pronto intervento sui beni mobili": è questo il nome tecnico di un progetto ambizioso che vede la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna impegnata in prima fila nel recupero e nella tutela dei beni religiosi e civili che sono scampati al sisma.

Ho visto la capacità e l'intuizione del sindaco, dei funzionari e degli assessori del Comune di Pieve di Cento, uniti nel trovare una soluzione giusta per la messa in sicurezza delle importanti opere d'arte conservate nella Collegiata di Santa Maria Maggiore, che in accordo con la Soprintendenza sono state collocate nel locale "MAGI'900. Museo delle eccellenze artistiche e storiche" (fondato dall'imprenditore Giulio Bargellini), dove verrà avviato un laboratorio di restauro.


Tutto questo, adesso, è dentro una macchina fotografica. Le immagini sono già state in parte pubblicate,1 e la documentazione va avanti. Durante i miei numerosi giri di perlustrazione, fuori e dentro i luoghi del terremoto, ogni tanto mi chiedevo: se ci fosse ancora Luigi Ghirri, cosa farebbe? Andrebbe in giro anche lui con la sua macchina fotografica, oppure no? Non ricordo sue foto di rovine o disastri. Credo che qualcosa avrebbe fatto, perché lo sguardo d'autore prima o poi si vuole, si deve, misurare con dei traumi così inaspettati, violenti, imprevedibili, che cambiano inesorabilmente i caratteri di un paesaggio.

Ho visto autori provenienti da Milano, da Roma e da altre parti d'Italia; ognuno ha portato il suo sguardo, il suo stile, ha interpretato l'evento nel modo più originale possibile. Però della produzione cosiddetta d'autore, in giro, se ne è vista ancora poca; probabilmente la vedremo più avanti, raccolta in pubblicazioni monotematiche.

Umberto Eco - in una recente lectio magistralis dedicata all'imperfezione nell'arte, tenuta alla "Milanesiana", il festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi - ha ripreso il tema dell'estetica delle rovine: "Prima del Settecento si traeva pretesto dalle rovine per riflettere sulla fragilità delle umane sorti, su un passato non più recuperabile [...]. Lentamente la riflessione moralistica ha lasciato il posto a una contemplazione della rovina in quanto tale, in cui s'inserisce il gusto per l'irregolare [...]. Nell'estetica delle rovine l'opera può essere goduta non solo malgrado, ma grazie al suo deperimento. Ed ecco perché ci piace la Venere di Milo così com'è, più che se avesse quelle sue inutili braccia". Un intervento che può aiutarci a pensare ai modelli della ricostruzione del nostro terremoto, e a osservare e catalogare le immagini prodotte intorno al sisma.

Il terremoto dell'Emilia, finora, è stato sintetizzato nell'immagine-simbolo della Torre dei Modenesi di Finale Emilia, con l'orologio spezzato in due da un taglio verticale (un'immagine che in qualche modo evoca anche l'orologio fermo all'ora della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna). Questa foto ha condizionato, nel bene e nel male, tutte le pubblicazioni sul tema. Pubblicare pedissequamente quell'immagine-simbolo è rassicurante: tutti, editori ed enti pubblici compresi, non esitano a utilizzarlo, schiacciati da un certo conformismo. Tanti paesi di questo territorio hanno subìto lo stesso sisma, ma in ognuno esso ha prodotto effetti diversi, diverse modifiche estetiche del paesaggio, delle chiese, dei palazzi storici. Ci sono segni minori ma altrettanto simbolici dei crolli, oltre a quello evocato dalla Torre dei Modenesi di Finale Emilia.

Al Cristo di Santa Bianca, una frazione di Bondeno, è caduta la croce, ma è rimasto su caparbio, con le braccia stagliate nel cielo, tese, in una geometria metafisica (ringrazio per la segnalazione due amici ferraresi: l'architetto Moreno Po e don Andrea Zerbini). Il braccio penzolante del Cristo, nella chiesa di San Francesco a Mirandola, è un'immagine agghiacciante, quasi splatter. La merlatura del Palazzo del Governatore di Cento, in parte crollata e in parte tagliata e appoggiata per qualche giorno nella piazza, ha creato anch'essa una visione decisamente straniante. Nell'oratorio Ghisilieri di San Carlo, frazione di Sant'Agostino, sono rimasti in piedi pochi pezzi delle fiancate e l'altare maggiore è scontornato a cielo aperto, con gli angeli che sembrano voler uscire dalla fissità dell'architettura.

Sulla lettura e sull'analisi di immagini come queste, definite "cartoline dall'inferno", ci possono aiutare alcuni semiologi dell'Università di Bologna, che hanno fondato "TraMe. Centro di studi interdisciplinare su memorie e traumi culturali", coordinato da Patrizia Violi, docente di semiotica. Tra i diversi membri del centro c'è Federico Montanari, che è stato uno dei soci fondatori della agenzia fotogiornalistica "Meridiana Immagini", nata nell'ambito delle attività culturali della Cooperativa La Luna nel Pozzo nel 1990.

Montanari - che attualmente lavora a un progetto di ricerca sui processi di memorializzazione, lutto e trauma all'interno di diari di guerra, lettere e memoir e sui loro effetti sulla tradizione culturale europea e l'ideologia - analizzando una serie di fotografie di reportage sull'eccidio di Srebrenica ha sottolineato che in queste immagini gli enunciati si accumulano e rappresentano solo parti emerse di più ampie zone del discorso: al di sotto c'è un arcipelago di segni da districare.2

Questo passaggio potrebbe spiegare anche il rapporto che intercorre tra l'immagine-simbolo del terremoto (la torre di Finale Emilia) e le altre immagini, altrettanto simboliche ma non ancora emerse. Ci auguriamo che il Centro "TraMe" possa offrire dei contributi per alimentare il dibattito sulle immagini prodotte, tutte, e per andare oltre gli stereotipi.


Nei mesi che hanno preceduto il terremoto sono stato coinvolto nella redazione di una guida sul Comune di Cento e in un progetto divulgativo sulle opere d'arte presenti nel territorio centese.3

La guida era in fase di completamento pochi giorni prima delle scosse: avevamo fotografato la chiesa di Casumaro il sabato mattina, dodici ore prima della grande scossa del 20 maggio. Molte chiese che oggi sono chiuse sono state fotografate l'ultima volta per questa guida. Il lavoro era finito, non ne era rimasta fuori nemmeno una. Il terremoto ha aspettato che terminassimo? Ovvio che non è così, ma sulla pelle ci portiamo ancora questo brivido.

Il contrappunto che lega la guida sono le immagini degli angeli. Li abbiamo cercati, studiati e fotografati da vicino per esaltare il loro ruolo di guida, di custodi dei tesori artistici delle chiese. Qualcuno però è caduto rovinosamente giù, a terra, si è sbriciolato, rotto, spezzato. Gli angeli caduti, ora, rappresentano le lacrime di questa terra ferita.

Avevamo pensato fin dall'inizio questa guida come un quaderno di appunti per invitare a un viaggio dell'anima. Prima era solo una suggestione, un invito simbolico, adesso questo invito ha anche un'implicazione reale, più concreta e oggettiva. In alcune chiese non si può entrare per motivi di agibilità, non sappiamo quando potranno essere messe in sicurezza. La guida, allora, diventa davvero una guida dell'anima, attraverso quello che c'era, quello che ci ricordiamo, quello che vogliamo rimanga per sempre. Anche se solo per qualche anno, i luoghi raccontati e descritti non posso essere visti dal vivo. Devono bastare le fotografie.

L'altro progetto mirava alla riedizione divulgativa del volume intitolato Visita alle pitture di Cento di Girolamo Baruffaldi. Baruffaldi è stato arciprete della collegiata di San Biagio dal 1729 al 1755, e in quegli anni scrisse un lungo manuale che catalogava e presentava "le pitture della terra di Cento, per istruzione del passeggiere, o de' dilettanti del disegno". La collocazione delle opere presenti nelle chiese del Settecento, ovviamente, è oggi in parte cambiata, così lo sforzo importante dei due autori della riedizione (Tiziana Contri e Lorenzo Lorenzini) è stato quello di indicare le nuove collocazioni ed evidenziare i quadri o le sculture che, per motivi spesso ignoti, non sono più presenti. Pensavamo di fare un rilievo fotografico a colori, con una mappatura aggiornata e i brani originali del Baruffaldi per rendere il tutto più accattivante e divulgativo. Questo "museo del territorio", visitabile di chiesa in chiesa, purtroppo non è più pensabile, perché, come è stato per la guida già descritta, oggi non è possibile pubblicare un libro su opere che nella maggior parte dei casi non sono più dove erano. Possiamo solo chiederci chissà quando torneranno. Chissà quando queste chiese riapriranno.


Note

(1) Si vedano le immagini della campagna fotografica di Paolo Righi e Andrea Samaritani (Meridiana Immagini) pubblicate nel fascicolo intitolato Ricostruiamo, allegato al quotidiano "Corriere dello Sport - Stadio" del 21 giugno 2012 (realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali srl Bologna).

(2) "La forma e l'impronta del dolore. Percorsi nella fotografia della sofferenza", atelier a cura di Patrizia Violi, Centro "TraMe", Università di Bologna, 8 ottobre 2010 (www.trame.unibo.it).

(3) Cento, conoscerla amarla. Guida di Cento, a cura di V. Tassinari, fotografie di A. Samaritani, Cento (Ferrara), Siaca Edizioni, 2012; Visita alle Pitture di Cento di Girolamo Baruffaldi, a cura di T. Contri e L. Lorenzini (Centro studi "Girolamo Baruffaldi", Cento), Ferrara, Edisai, 2007.

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