Rivista "IBC" XX, 2012, 2

Dossier: Le case delle parole - Viaggio nella Romagna dei poeti e degli scrittori

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

Il paesaggio intorno

Vittorio Emiliani
[giornalista e scrittore]

"La strada che porta a Dovia fra due filari di pioppi..." - "Non ti sei accorto che è un incipit manzoniano?", mi chiese, dopo aver letto un mio scritto, Antonio Cederna, cultore straordinario di Manzoni, spesso recitato a memoria, come molto Dante e Shakespeare (in inglese naturalmente). La strada che porta a Predappio Alta - il paese di nostra madre, borgo medioevale di origine romana (Petra Appii, probabilmente), e da lì in Toscana - sale invece fra i cipressi. Entrambe le strade non hanno subìto grandi cambiamenti, anche se la nuova edilizia è dilagata da un pezzo oltre la periferia di Forlì. Il borgo di Predappio Alta poi, la Prè, è semivuoto, nonostante l'aria lì sia migliore, l'inquinamento a zero, il clima ventilato, il paesaggio ornato da viti verdeggianti di Sangiovese sempre più rigogliose e accurate, malgrado le sue case costino ancora poco.

È così in tutta Italia. Centri storici grandi, medi e piccoli, o minimi, cinti da mura orgogliose, largamente conservati, e però ridotti a un pugno di residenti, per lo più anziani. Per contro, le campagne, anche quelle coltivate, riempite di sempre nuovi cubi e cubetti di cemento, di lottizzazioni, di grigi capannoni, di sempre nuovi nastri asfaltati, o, più recentemente, di parchi fotovoltaici, mentre sui crinali si alzano gigantesche pale eoliche (presto anche a Grizzana Morandi), tanto impattanti quanto immobili per la più parte dei giorni. Tutto a carico dei paesaggi, anche in Emilia-Romagna. Che secondo l'ISTAT, istituto scientifico statale, detiene col Veneto e con la Lombardia un record disperante di cementificazione. La sua popolazione è rimasta quasi immobile nel ventennio 1981-2001, mentre quella italiana aumentava poco (+2,1 per cento) e tuttavia aumentava. Nell'ultimo decennio la crescita demografica nella regione è stata più intensa, ma non tale da giustificare quella pioggia insensata di cemento, dovunque. Gru alzate fin sul mare, nell'entroterra di pianura, nella bella collina dove già compaiono gli olivi e i cipressi disegnano le strade in salita. Tutto ciò a fronte di un patrimonio di case antiche o vecchie largamente da risanare, da recuperare, in quartieri o in paesi dotati di tutti i servizi, primari e secondari.

Il consumo di suolo va dunque avanti anche qui a ruota libera, con pochi allarmi, con rare, e contestate, preoccupazioni. Contestate in nome dello "sviluppo", di uno sviluppo che peraltro non c'è più. Mi dicono che qualche sindaco ha mostrato segni di resipiscenza a un recente convegno di "Italia Nostra" dell'Emilia-Romagna, a Longiano. Ma ci vuol altro. C'è da rimontare un trentennio e più di laissez faire urbanistico. Eppure la Regione (assessore Felicia Bottino), avendo alle spalle le tante e fruttuose ricerche ed elaborazioni urbanistiche dell'Istituto per i beni culturali (IBC), era stata una delle poche a ottemperare alla legge n. 431 del 1985, detta legge "Galasso", adottando tempestivamente i piani paesaggistici. Disattesi non molti anni più tardi, come se quella pianificazione fosse soltanto un ingombro per gli enti locali e per chi venne dopo in Regione. Come se l'edilizia - risorsa economica per lo meno ottocentesca rispetto all'high-tech e alla new economy - fosse anche qui la sola a poter dare lavoro. Scemenze arretrate e suicide.

Rammento l'esemplare libro-dossier di Marina Foschi per l'IBC: Colonie a mare. Il patrimonio delle colonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale (1986). Un patrimonio immenso, ben 246 colonie superstiti: tante per le spalle dei comuni. Volevamo salvaguardare quel patrimonio pubblico che era composto anche di parchi, giardini, arenili, riutilizzarlo correttamente, a fini sociali e culturali. Per 150 ettari sul mare. Poi 19 di esse vennero vincolate dalla Soprintendenza, col sostegno di Antonio Iannello, e inserite nel piano paesistico. C'era un grande divario, certo, fra la realtà del patrimonio ereditato e le possibilità effettive, anche graduali, di non stravolgerlo abbandonandolo a sé stesso e/o alla speculazione, ma qualcosa di meglio, in mezzo, ci poteva ben stare. Le notizie che ricevo dalla riviera ribattono invece un vecchio tam-tam: si vogliono ancora alloggi, ancora residence, ancora seconde, terze case...

Soltanto nelle terre più alte il paesaggio della Romagna si ripresenta abbastanza integro e quindi di straordinario fascino. Penso ai panorami spalancati del Montefeltro, che si erge solenne in direzione delle Marche, dell'Umbria, della Toscana. Ma sono terre povere, ancora non appetite dalla speculazione immobiliare, dove, se ci vai in questa primavera, puoi sentire soltanto il rumore del vento. Quanto potrà durare? Nel 1959 - ventitreenne, una vita fa - "Comunità", splendida rivista di Adriano Olivetti e di Renzo Zorzi, ospitò un mio saggetto su Urbino (noioso anzi che no, a rileggerlo oggi, e però volenterosamente pieno di dati e di notizie), nel quale dicevo che soprattutto la povertà, la mancanza di capitali, avevano fin lì conservato i centri storici e i paesaggi di quella provincia tanto "eletta" quanto depressa. Discorso terribile, a ripensarci, e ahimè comprovato - soprattutto nel paesaggio - da quanto vi ha "scaricato" dentro lo sviluppo socioeconomico sopraggiunto poi di corsa. È mancata la cultura per fare piani e poi rispettarli rigorosamente.

Tutto già cambia, rispetto alle terre alte, se mi affaccio dalle mura di Bertinoro, dalle quali nostra nonna Domenica, una delle belle del borgo tanto ospitale, scese ragazza a Forlimpopoli per sposarvi il negoziante Andrea Emiliani (colori, chiodi, stufe, vetri e affini), proprio davanti alla Farmacia Briganti, il nonno dello storico dell'arte Giuliano, che negli ultimi anni rimpiangeva "quei paesi così ben tenuti". Sì, ma ora anche tanto costruiti. Dal balcone bertinorese lo spettacolo della pianura verso l'Adriatico è impressionante: case ovunque, ville, villoni, capannoni, fabbriche, fabbrichette.

Andavamo da Rimini verso Miramare in bicicletta, fino al tiro a volo dove sparavano, "pull!", al piattello e agli storni. Al di là dell'"esotico" Oriental Park, balerone di massa, bianco come un gelato alla crema, c'erano ancora tratti di spiaggia libera, con le dune fiorite nella bella stagione. "Era la nostra Africa", scrisse una volta Tonino Guerra, rifugiatosi poi nell'alta e silente Pennabilli, che ho potuto vedere, negli stessi anni Cinquanta, ancora popolata di pretini in fila per due, diocesi e seminario del Montefeltro.

Le dune adriatiche sono state cancellate al 90 per cento: nel primo Novecento ce n'erano, a uno o più cordoni, lungo quasi tutti i 1.240 chilometri da Trieste a Otranto; qualche anno fa ne restavano 120 chilometri appena, meno del 10 per cento, e la Romagna non brillava per la loro presenza. Tanto belle a vedersi, le dune, quanto utili per difendere le pinete retrostanti dalle raffiche di sabbia e di salmastro, cioè dal sicuro disseccamento, e per rilasciare sabbia preziosa agli arenili impoveriti dall'erosione. "Giorni fa mi hanno telefonato persino da Berkeley per informarsi sullo stato di salute delle pinete ravennati", ripeteva anni fa, accorato per l'italica incomprensione, il naturalista forlivese Pietro Zangheri.

Quando negli anni Settanta l'assessore comunale di Cervia, l'ex falegname Germano Todoli, riuscì a imporre la chiusura della vasta pineta comunale alle doppiette dei cacciatori, "successe l'universo": ci furono scissioni, liste di sparatori efferati e inconsolabili. Però Todoli tenne botta. Erano gli anni in cui nella vicina Cesenatico si recuperava una zona degradata oltre il cimitero, verso il campeggio-modello allora gestito dall'Azienda Turismo, per farne un parco comunale vicino al mare. Dopo, mi pare che nei pressi sia stato installato un Acquafan per attrarre altro turismo di massa. Svolte o giravolte, quasi sempre in peggio, della storia economica e quindi sociale. Quando ce ne renderemo conto in questo dissipato Paese?

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