Rivista "IBC" XX, 2012, 2
musei e beni culturali, biblioteche e archivi / inchieste e interviste, pubblicazioni, storie e personaggi
Il 25 aprile di questo 2012 si è parlato del ruolo delle donne nella Resistenza in dibattiti, incontri, documentari e ricordi. Furono circa una ventina le donne partigiane decorate, spesso alla memoria, con medaglia d'oro al valore militare. Tra queste, Gabriella Degli Esposti, nome di battaglia "Balella", catturata nel dicembre 1944 dai tedeschi e giustiziata insieme a nove compagni di prigionia sul greto del Panaro. Prima di essere fucilata, Gabriella fu barbaramente seviziata: accecata, il ventre squarciato (era incinta) e i seni tagliati. Il suo martirio indusse molte donne della zona a unirsi ai partigiani: nacque così il distaccamento femminile "Gabriella Degli Esposti", forse l'unica formazione partigiana formata esclusivamente da donne.
E poi Iris Versari, che il 18 agosto 1944, in località Ca' Cornio (frazione di Tredozio), immobilizzata a causa di una ferita alla gamba, quando le truppe nazifasciste accerchiarono la casa in cui lei e Silvio Corbari si erano temporaneamente rifugiati insieme ad Arturo Spazzoli e Adriano Casadei, si sparò pur di non tradire i compagni. Nonostante il suo sacrificio, Corbari, Spazzoli e Casadei vennero catturati e uccisi durante la fuga.
Anche Irma Bandiera ebbe la medaglia d'oro al valore militare, alla memoria, come "prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà". Nome di battaglia "Mimma", partigiana combattente scelta (questo il suo ruolo), fu catturata dai fascisti dopo aver trasportato armi alla base di Castelmaggiore della sua formazione. Venne torturata a lungo ma non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Fu fucilata al Meloncello di Bologna il 14 agosto 1944. Il suo corpo fu esposto sulla strada adiacente alla sua abitazione per un intero giorno. Quell'estate, in suo onore, una formazione di partigiani a Bologna prese il nome di Prima Brigata Garibaldi "Irma Bandiera".
A Gabriella, Iris e Irma tornano i ricordi delle 10 partigiane attive nella nostra regione e intervistate nel 2009 da Giuliano Bugani e Salvo Lucchese per il documentario La mia Bandiera. La Resistenza al femminile, prodotto da Elenfant Film. Il titolo è certamente un omaggio a Irma Bandiera, ma anche alla scelta precisa che queste donne coraggiose seppero fare, "perché in quel momento non si poteva stare al di sopra delle parti". Lo dicono tutte, parafrasando quasi alla lettera il famoso testo di Gramsci che già nel 1917 scriveva: "Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita." I loro nomi: Ida Camanzi, Vinka Kitarovic, Italina Lolli, Anita Malavasi, Assunta Masotti, Nera Neri, Laura Polizzi, Pierina Tavani, Amedea Zanarini, Adelina Zaffagnini Grossi.
Le testimonianze, alternate a immagini e filmati d'epoca, offrono uno spaccato inedito delle loro esperienze di lotta e di vita quotidiana come madri, figlie e sorelle. L'esperienza partigiana, per molte di loro, è stata l'occasione per prendere coscienza della difficile condizione della donna. Da "oggetto nelle mani del padre e dei fratelli, senza diritto alla parola" - così racconta Anita Malavasi, nome di battaglia "Laila" - escono dalla sfera domestica a cui erano relegate e diventano protagoniste attive della storia. Lo fanno con coraggio e determinazione. Staffette a piedi o in bicicletta, trasportano nelle loro borse documenti, messaggi, armi.
Vinka Kitarovic racconta la sua prima "prova": il trasporto di una pistola da via Massarenti a via San Felice, a Bologna, sotto gli occhi dei nazifascisti. Fu un successo e per questo le fu in seguito affidato il trasporto, dentro una pesantissima valigia, di una bomba per il sabotaggio di un ponte a Ferrara. Ironia della sorte, fu proprio un tedesco ad aiutarla a caricare la valigia sul treno Bologna-Ferrara e a farle evitare un posto di blocco. Tra staffette raramente ci si conosceva, e quasi sempre con nomi di battaglia, per evitare di compromettere l'organizzazione in caso di cattura. Tra tutte una grande solidarietà, comunque, e il terrore - lo ribadiscono all'unisono - di tradire le compagne e i compagni se arrestate, di non essere in grado di resistere agli interrogatori e alle torture.
"Questo documentario" - affermano i due registi Bugani e Lucchese - "vuole fare chiarezza su una parte della storia che gli studiosi, spesso o quasi sempre, hanno evitato di prendere in considerazione. La storia delle partigiane, delle madri, delle figlie, delle staffette, la storia delle donne della Resistenza. La figura della donna all'interno della Resistenza; il codice di comportamento con i partigiani di sesso opposto; la consapevolezza delle proprie forze, dei propri compiti; i rischi a cui andavano incontro se fossero state catturate, spesso molto più agghiaccianti e spaventosi rispetto ai partigiani; l'atteggiamento della popolazione civile nei loro confronti; le verità sulle torture subite, in molti casi emerse dopo decenni per motivi etici. Tutto questo, meritava di essere raccontato attraverso la loro voce. La loro memoria. La loro testimonianza lucida e pronta." Il documentario, proiettato in diverse sale in Emilia-Romagna durante le celebrazioni del 25 aprile, continua a essere programmato. Per le date consultare il sito www.elenfant.com. Lo si può anche acquistare, facendone richiesta dal sito, con un piccolo contributo alle spese. Perché il 25 aprile e la Resistenza siano tutti i giorni.
G. Bugani e S. Lucchese, La mia Bandiera. La Resistenza al femminile, Italia, 2011, 52 minuti.
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